- In molti percepiamo la mancanza di un altrove fisico e mentale che però immaginiamo come il luogo dove dovremmo stare. Non si tratta per forza del desiderio di un viaggio all’altro capo del mondo, ma di una mancanza strutturale che produce un disagio strisciante e diffuso.
- L’agire quotidiano, però, ci induce a rimuovere l’altrove dall’immaginario, a ingabbiare l’extra-ordinario nell’ordinario, a ripiegarci sul presente e a restare chiusi dentro un guscio individuale molto robusto.
- L’antidoto a questo disagio diffuso si condensa in una parola: avventura, quell’esperienza (un viaggio, un incontro erotico, la scoperta di un’opera d’arte, una gioia intensa condivisa con gli amici…) che rompe gli schemi e ci apre all’imprevedibile.
Quando arrivò a Londra nella primavera del 1790 dopo quattro mesi di vagabondaggio per l’Europa, Alexander von Humboldt aveva vent’anni. Insieme all’amico Georg Forster rimase estasiato dallo spettacolo che offriva il Tamigi: il fiume brulicava di vascelli all’ancora carichi di spezie delle Indie orientali, di zucchero dei Caraibi, di tè proveniente dalla Cina, di legname dalla Russia... Una «foresta nera di alberi», annotò nel diario, che fece divampare in lui il desiderio di viaggiare in po



