Domenica 8 novembre, ultima di campionato prima della sosta per le gare delle nazionali, tre partite su dieci della settima giornata di Serie A si sono concluse sullo 0-0: Sassuolo-Udinese, Parma-Fiorentina e Torino-Crotone.

Un’abbondanza straordinaria, se si pensa che nelle 60 partite disputate durante i precedenti turni soltanto una si era conclusa senza reti: Hellas Verona-Genoa della quarta giornata. A dire il vero, anche un’altra gara del Verona si era conclusa con lo stesso risultato: era successo alla prima di campionato contro la Roma al Bentegodi, ma poi il risultato è stato corretto a tavolino dal giudice sportivo in 3-0 per la squadra gialloblu, causa l’errata iscrizione di Amadou Diawara da parte dei giallorossi.

Al di là della differenza fra dato formale e sostanziale rimangono due indicazioni di tendenza: sei giornate quasi senza 0-0 e poi la settima giornata che registra tale punteggio nel 30 per cento dei casi. Ciò invia un messaggio ai fedeli del rito: il calcio resiste e prova a conservarsi. E lo fa cercando di mettere al sicuro lo 0-0, che è la sua vera essenza.

Giocare per pareggiare

Si dice che il fine ultimo del gioco del calcio è fare gol. In realtà il fine ultimo del gioco del calcio è fare risultato, come in qualsiasi altro sport. A questo punto qualcuno insisterà: appunto, fare risultato vuol dire vincere, ergo fare gol. E invece no. Cercare il risultato, nel calcio, significa anche provare a pareggiare. Giocare per non vincere.

Il calcio è il solo sport in cui il punteggio di partenza, lo 0-0, ha buone probabilità di essere anche quello finale. Se si fa una ricognizione fra gli sport di squadra le cui partite si giocano sul limite di tempo (due o più frazioni di durata prestabilita) e non sull’accumulo di punteggio (il volley, che assegna la vittoria per sommatoria di set), si scopre che fuori dal calcio soltanto qualche rarissima partita di hockey su prato finisce 0-0.

E sarà anche perché il campo è egualmente grande e la gestione della sfera resa difficile dall’assenza di prensilità (non è possibile usare le mani, strumenti umani che plasmano la precisione). Ma resta il fatto che nessuno sport annoti tanti 0-0 quanto il calcio.

Qui segnare un gol è difficile, quando invece è soltanto “abbastanza complicato” farlo a hockey su ghiaccio, mediamente complicato a pallanuoto, facile a pallamano. E allo stesso modo, è faticoso fare meta a rugby (ma infine ci si riesce e poi ci sono anche i calci piazzati) mentre è un giochetto fare canestro a basket.

Se ne desume che in queste discipline sportive il pareggio venga fuori per caso. Se a pallamano si pareggia 20-20, significa che ciascuna squadra ha fatto l’enorme sforzo offensivo necessario a segnare 20 gol. Dunque ha provato a vincere, perché non altro poteva fare. Non poteva amministrare il punteggio, perché con palla all’avversario il gol subìto è altamente probabile. Sicché, se infine pareggia, lo fa per caso e vive il risultato come una mezza sconfitta.

Invece nel calcio la difficoltà a sbloccare lo 0-0 dà facoltà di scelta. E si tratta di una scelta messa a disposizione del più debole: giocare il gioco della conservazione, anziché affrontare apertamente l’avversario più forte.

Per il concorrente debole lo 0-0 è la realizzazione del principio teorizzato dal filosofo statunitense John Rawls nell’opera Una teoria della giustizia: l’equa eguaglianza di opportunità. Il principio rawlsiano sostiene che una società giusta, perché lo sia davvero, debba essere equa. E l’equità dice che non basta dare a tutti le medesime chance di partenza, perché non tutti hanno le medesime doti né arrivano allo start in condizione davvero paritaria.

Bisogna dare qualche dotazione supplementare ai più deboli perché abbiano davvero delle chance nella gara, non prima della gara. E in alcune circostanze questa chance può essere sfruttata in modo talmente abile da portare al rovesciamento delle forze, ciò che negli altri sport di squadra avviene quasi mai. Questo è il motivo per cui nel calcio bisogna avere massimo rispetto dello 0-0, e proteggerlo.

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