In occasione della terza edizione di Musica e Spiritualità Federico Dragogna, musicista e componente di I Ministri, ospite del Festival, riflette sul suo rapporto con la spiritualità. E di come nella musica anche «quando ne scorgiamo l’architettura e smascheriamo i trucchi che ci fanno piangere ed esultare, qualcosa ancora splende misteriosamente, qualcosa mantiene un’affinità, un rapporto preferenziale con lo spirito»
Musica e Spiritualità è il nome di una rassegna di incontri organizzata dall’Associazione Kunpen Lama Gangchen, che sul lago Maggiore ha messo in piedi, più di trent’anni fa, un tempio buddista e un centro di meditazione che sembrano creare un varco, un passaggio segreto, dal Tibet alla provincia di Verbania-Ossola. Mi hanno invitato per la sera di venerdì 11 luglio in piazza a Baveno, a parlare di cose di cui credo di sapere qualcosa, cioè appunto Musica e Spiritualità (la prima in quanto musicista, la seconda in quanto appassionato studioso di questo slancio verso l’assoluto che ci abita), e a parlare di cose di cui credo di non sapere nulla, come Musica e Spiritualità (la prima in quanto pessimo nel solfeggio, la seconda in quanto, a conti fatti, il mio credere non è mai andato molto oltre il monologo finale di Woody Allen in Manhattan).
Lo spirito
Parlare di spiritualità presuppone un accordo su cosa si intenda per spirito? Forse no. Io lo spirito lo cerco da sempre, seguendo false piste e vere illuminazioni, grandi maestri e poveri diavoli. Lo cerco da solo, sui prati d’alta montagna, guardando la roccia nuda e muta, lo cerco insieme, nei canti di una manifestazione di fine aprile, lo cerco nel mare e negli sguardi che si incontrano, lo cerco nel silenzio e nella techno. Come quasi tutti non l’ho trovato, come quasi tutti l’ho sfiorato più volte. E l’ho cercato nella musica, tanto da innamorarmene e fermarmi lì per un po’, come Ulisse che temporeggiò sette anni da Calipso. Poi la musica ho cominciato a studiarla, a capirla almeno un poco – scoprendo che quel passaggio che lanciava il mio cuore lontano era un semplice accordo di nona, e che era colpa di due accordi minori a distanza di un tono e mezzo se mi sentivo inquieto e guardingo. Qualcosa di simile a rendersi conto che il mago di Oz è un innocuo vecchietto. Eppure, anche quando della musica si riescono a vedere i fili, anche quando ne scorgiamo l’architettura e smascheriamo i trucchi che ci fanno piangere ed esultare, qualcosa ancora splende misteriosamente, qualcosa mantiene un’affinità, un rapporto preferenziale con lo spirito.
La musica
Credo che una parte di aura dipenda dalla sua natura invisibile e inafferrabile. La scienza ci dice: corpi che vibrando muovono nell’aria particelle, che trasmettono questa vibrazione ad altre, creando onde che fanno vibrare il nostro timpano, da cui procede una decodifica di queste onde in segnali elettrici che il nostro cervello ritraduce in quello che chiamiamo suono – o musica, cioè suoni organizzati. È una spiegazione convincente, certo, ma in-credibile. E quando una musica dolce giunge a noi, o quando siamo nella stessa stanza in cui sta suonando un violoncello, non pensiamo alle particelle, ma alla magia, a una fortunata connessione del nostro corpo con il Tutto che lo circonda. Vibrare dunque, un punto di partenza ugualmente vicino a molte pratiche spirituali come alle più recenti teorie sull’universo (curiosamente la Theory Of Strings, evidentemente debitrice alla musica sin dal nome, in italiano è stata tradotta in Teoria delle stringhe, una parola che per i non-informatici evoca solo liquirizia e scarpe da ginnastica). E poi ancora, il Tempo: la musica scorre, procede, è tutta un’attesa e un ricordo. Pittura e scultura cercano di fermare il tempo, la musica lo incarna. Anche il cinema scorre ma provate a fermare la pellicola: avrete un’immagine. Ora provate a fermare la musica: avrete il nulla. E se consideriamo che il tempo, la nostra esperienza del tempo, e perciò del vivere, ha come punto di arrivo la Morte, quel punto dove il nostro tempo si ferma, e se consideriamo quanto il nostro rapporto con la Morte sia responsabile proprio di quel nostro slancio verso l’assoluto di cui parlavamo sopra, si capisce bene come la musica – che è tutta tempo e niente corpo – diventi un’ancella dello Spirito, quasi una sua altra forma.
Nelle chiese
Zoomando un poco di più sul rapporto tra musica e spiritualità nelle nostre terre e nei nostri tempi, credo sia interessante rilevare un fatto: per secoli, la musica con ambizioni spirituali è stata caratterizzata da un certo tipo di armonia e di battito, da caratteristiche funzionali ai luoghi in cui veniva riprodotta (cioè le chiese). Curiosamente, quando nella seconda metà del Novecento molti movimenti spirituali non-cristiani sono sorti o si sono sviluppati in Occidente, la proposta musicale non è cambiata poi di molto, spesso replicando con altri timbri delle soluzioni antichissime. Molti degli esperimenti musicali dal 70 ai primi 2000 sono, con le dovute differenze, messe – anche se la chiesa intorno non c’è più. Questo ci dice qualcosa? Ci dice che la musica che tende al silenzio, e a rallentare il battito, ha più a che fare con lo spirito? Credo di no, e non serve andare in gita con qualche antropologo per scoprirlo: parallelamente alla sperimentazioni world e ambient che sono procedute negli anni, la musica elettronica e segnatamente quella che discende dalla cultura rave degli anni ‘90, quella che può procedere quasi identica per un numero imprecisato di battute, ha trovato nuovi sentieri per arrivare allo Spirito – nuove estasi da raggiungersi con la ripetizione (come la preghiera, la cui pratica era per Pascal il modo migliore per credere) e una pressione sonora importante, estasi che potrebbero non avere nulla da invidiare a quelle che altri in altre epoche hanno provato con Handel o i Tangerine Dream. Con un aspetto nuovo: il recupero del corpo. Per secoli in Europa il corpo – contrapposto allo spirito – è stato trattato come un cavallo impazzito, un ostacolo, un traditore. Ma ora che le nostri menti sono ipnotizzate dagli schermi che ci seguono ovunque, il corpo diventa un rapporto da recuperare, ci sembra persino garante di una qualche verità sulla vita tutta. Forse perché stiamo scoprendo grazie alle intelligenze artificiali che le nostri menti non erano poi questo granché, e che quindi il mistero dev’essere da un’altra parte. E dove? Nel corpo e nel miracolo del sentire? In questa nostra incrollabile disposizione a credere che non sia tutto qui?
La musica e le macchine
Fatto è che, corpo o non corpo, nel nostro paesaggio spirituale sono ormai entrate le macchine, sono entrate nelle nostre vite, nella nostra musica, nel nostro spirito. Alvo Noto ci rifletteva già 30 anni fa, inaugurando una serie di album dedicati alla fotocopiatrice Xerox. Provate ad ascoltare la sua Haliod Xerrox Copy 3 (Paris), una sinfonia di rumore bianco che pare un misto tra Georges Delerue e vostra nonna che ha lasciato la tv accesa a tutto volume con l’antenna staccata. Provateci, lasciandovi travolgere dal suono senza farvi domande, e vedrete dove vi porterà. Fu l’ultimo consiglio che mi diede Ryuichi Sakamoto, che non ho mai conosciuto ma che prima della sua morte diede ai suoi eredi la playlist da mettere al suo funerale, e gli disse anche di renderla pubblica. Ora sapete qual è la prima canzone. Musica per l’assoluto, ma fatta dalle macchine. A ripensarci anche il pianoforte era una macchina, anche piuttosto complessa. La differenza è che i corrispettivi di oggi, i nostri nuovi pianoforti, non li suoniamo, li programmiamo. Lasciando loro sempre più spazio: una sempre più diffusa implementazione sui sintetizzatori di oggi è la probabilità – vale a dire la possibilità che la macchina segua o meno il programma assegnatole. Un modo per togliere la ripetizione, la predeterminazione tipica della musica elettronica, ma anche un modo per darle libertà. O forse un modo per togliere a noi il controllo, per liberarci le mani e lasciarci riposare tra le nuvole, sperando segretamente che quella musica celestiale non si fermi mai, e vada avanti anche dopo di noi.
Federico Dragogna, «canzonista, chitarra agitata per I Ministri», venerdì 11 luglio sarà ospite della terza edizione di Musica e Spiritualità nella piazza della chiesa di Baveno (VB). Il Festival si apre domenica 6 luglio a Vignone (VB), in zona Pianezze di Bureglio, con Franco Mussida (co-fondatore della Pfm) e si conclude il 20 luglio. Info: https://kunpen.ngalso.org/musica-e-spiritualita/
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