La teoria dei quanti ci ricorda, come ha detto Bohr, la vecchia saggezza per cui, nella ricerca dell’armonia nella vita, non dobbiamo dimenticare che nel dramma dell’esistenza siamo insieme attori e spettatori». Questa frase di Werner Heisenberg, uno dei padri fondatori della fisica quantistica, continua a spiazzare.
Oggi si è celebrato il World Quantum Day, in onore della fisica quantistica che supera i limiti di millenni di conoscenza e spiega l’infinitamente piccolo. L’immaginario moderno a essa associato è fatto delle sue applicazioni come laser ed elettronica, supercomputer e intelligenza artificiale, di tecnologie d’avanguardia in laboratori immacolati e di formule incomprensibili ai più. Il parallelo tra la teoria dei quanti e quella ricerca dell’armonia della vita che rappresenta la nostra più profonda aspirazione «nel dramma dell’esistenza» – dove “dramma”, non dimentichiamo, deriva dal greco antico “drama”, «qualunque componimento letterario, sia tragico sia comico, destinato alla rappresentazione sulla scena» (dal vocabolario Treccani) – non è quindi il primo che viene in mente.
Attori e spettatori
Ma il parallelo di Heisenberg, che esattamente cent’anni fa nella remota isoletta di Helgoland, nel Mare del Nord, gettava le basi teoriche della fisica quantistica (il 2025 è Anno internazionale della scienza e tecnologia quantistica), è fondato. Il palcoscenico diventa quello delle nostre vite, dove sperimentiamo l’essere insieme «attori e spettatori», dove l’ambizione di controllare gli eventi si scontra con il caso e, allo stesso tempo, una parte non piccola del futuro è nelle nostre mani in un intreccio tanto complesso quanto inevitabile. Per descrivere il mondo microscopico, la quantistica deve abbandonare certezze consolidate e affrontare crisi di identità, luce e materia possono essere al contempo onde e particelle. Vivere significa navigare in un dualismo nel quale Heisenberg vede, citando Niels Bohr – altro pioniere del campo – suggestive analogie con la fisica dei quanti, che costringe a rinunciare a un confortevole approccio binario nella descrizione degli aspetti microscopici della natura. Fin dai tempi di Galileo Galilei la fisica classica osservava e costruiva teorie di fenomeni deterministici, nei quali la previsione del futuro è certa. Con la fisica quantistica i contorni diventano più sfumati: le misure, i nostri occhi sul mondo, non sono più neutre, ma influenzano ciò che si sta osservando, tanto che l’incertezza e la probabilità diventano parti integranti della conoscenza del futuro.
Complessa, astrusa, ma funziona
La fisica quantistica è complessa, non ancora capita fino in fondo dagli scienziati che la studiano, per le persone profane tanto respingente quanto affascinante. Però funziona: l’intelligenza artificiale, l’internet of things, le comunicazioni, la sensoristica, la medicina di frontiera, le tecnologie per la conversione dell’energia sono solo alcuni dei settori dove la fisica quantistica è stata feconda.
La sua genesi è però corale e permeata di umanità. Non è stato il geniale momento fatale di un singolo, quanto un travagliato e umanissimo cammino di scoperta che ha messo in crisi un impianto che solo pochi anni prima sembrava aver trovato finalmente ordine e completezza.
Poche branche della fisica hanno coinvolto tanti aspetti della nostra umanità in una enorme rivoluzione del sapere: l’entusiasmo di giovani che mettono in crisi i maestri; la tragedia, con il vecchio e celeberrimo Max Planck che invano chiede pietà a Hitler per suo figlio Erwin, antinazista coinvolto nell’operazione Valchiria e poi giustiziato; il timore della hybris, dell’essersi spinti troppo oltre, con Erwin Schrödinger – colui che teorizza una delle equazioni chiave e poi spaventato la rinnega – e Albert Einstein, che vince il Nobel per le sue scoperte quantistiche ma resta convinto che Dio non stia giocando a dadi; l’amore che trionfa, con la romantica testardaggine di Margit, donna innamorata che riesce a vincere la ritrosia di Paul Dirac, altra figura fondamentale della fisica; l’incomprensione, con l’incontro nel 1941 a Copenaghen tra Bohr e Heisenberg, maestro e allievo che si confrontano senza capirsi sui programmi atomici di nazisti e alleati e si separano per sempre; la contaminazione di tanta cultura dell’epoca, che vedeva la nascita dell’astrattismo, della dodecafonia, della psicanalisi, del Bauhaus.
Quella fisica inizialmente procede a tentoni, esplora strade nuove con errori, travagli, dubbi, sfumature: un percorso analogo a quello delle nostre vite. Dopo una conferenza di Heisenberg nel 1958 – se ne parla nel libro Discussione sulla fisica moderna – il linguista Giacomo Devoto afferma che «fino al secolo decimonono la scienza sperava o pretendeva di fotografare la natura. La scienza del secolo ventesimo si limita a descriverla. La scienza del ventesimo secolo è una lingua». Con l’avvento della meccanica quantistica rinunciamo all’immagine fotografica risolta nei minimi dettagli e alla pretesa di un’esatta conoscenza del futuro.
La fisica è un linguaggio
In cambio guadagniamo la ricchezza di una lingua, con le sue sfumature, le sue infinite possibilità di descrivere anche ciò che in apparenza pare irrazionale o incontrollabile, sempre in evoluzione, dove ciò che è normale diventa norma e le parole fanno la realtà, così come accade con le misure nella fisica microscopica.
Se penso a cosa mi ha spinto a raccontare in un libro una delle architetture più geniali della conoscenza, ebbene, credo che la risposta stia proprio in questa umanità. In un’epoca nella quale quelle tecnologie che molto devono alla quantistica rischiano di mettere in secondo piano gli esseri umani; dove la comunicazione è sempre più distaccata dalla realtà e basata sulla post-verità, dove la politica rinuncia all’arte della mediazione e impone invece il conflitto e la paura; in una società dove ci si arrocca su visioni binarie per la paura di confrontarsi con la diversità che è invece ricchezza, dove si preferisce rinchiudersi nel passato piuttosto che allargarsi al futuro: ecco, ripensare all’esperienza della scienza, e in particolare della fisica quantistica, può offrire chiavi di lettura del presente alternative e generatrici.
Con Questo è quanto. La fisica quantistica in cinque idee, che ho recentemente pubblicato con Laterza, non voglio illudere che basti un libro divulgativo per diventare persone esperte di quantistica, o che la meccanica quantistica si applichi a tutto. Fa tante cose, ne farà sempre di più, ma, giusto per fare un esempio noto, l’equazione di Dirac – tra le più tatuate in varie parti del corpo – non ha nulla a che fare con l’amore.
L’equazione dell’antimateria
Per quello possono andar bene passione, gentilezza, piante, psicoterapia, inviti a cena, cura, attenzione verso il partner, sesso; ma non le equazioni.
Le cinque idee, discontinuità, identità, futuro, indeterminazione, relazione, sono fondamentali per la fisica quantistica, ma appartengono anche al vocabolario della nostra umanità. E magari ci offrono spunti per quel domani che dobbiamo costruire «alla cieca, a tentoni» come scrive Primo Levi in L’altrui mestiere, «dalle radici, senza accedere alla tentazione di ricomporre i cocci degli idoli frantumati, e senza costruirne di nuovi».
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