Fino a poche settimane fa non avevo dubbi su quale fosse il miglior incipit italiano del decennio: «La realizzazione personale di un borghese non vale il denaro che costa». Così nel 2014 si apriva Class di Francesco Pacifico, e l’intero romanzo s’incaricava di dimostrare quel teorema mettendo in scena (diceva il sottotitolo) vite infelici di romani mantenuti a New York.

Prima ancora d’iniziare a raccontare le disavventure di Ludovica e Lorenzo nel magico mondo delle velleità artistiche, in sole dodici parole l’autore aveva già riassunto una serie di paradossi che reggono la nostra società. Innanzitutto il fatto quella condizione psicologica che chiamiamo “realizzazione” – ovvero diventare per gli altri quello che in cuor proprio si ritiene di dover essere – ha un costo materiale, il costo di tutti i tentativi che dobbiamo fare per sperare di raggiungerla: studiare, fare tirocini, frequentare persone, modificare la nostra apparenza, acquistare materiale, trasferirsi in un’altra città… Secondo, che quel costo è altissimo perché in seno alla borghesia vige una spietata concorrenza per i posti più ambiti; e quindi bisogna tentare di più, fare più tirocini, frequentare più persone, trasferirsi in una città più grossa e se non basta ricorrere ai colpi più bassi per far fuori i propri rivali. Infine la constatazione più amara, cioè che quello che avremo ottenuto al termine di questa lotta per il riconoscimento sarà ben poca cosa se confrontato con tutto quello che avremo speso: le decine, le centinaia di migliaia di euro, su dieci, venti o trent’anni.

La realizzazione personale di un borghese non vale il denaro che costa, ecco la ricetta di una tragedia infinitamente comica: quella di una classe sociale costretta a inseguire i suoi sogni anche se non ne trarrà alcuna felicità. Nel frattempo consuma risorse economiche che drena dall’intero corpo sociale. Incipit di un romanzo, epitaffio di un’epoca: in Class, la brillante satira di costume nasconde una cronaca di fine impero.

Dal denaro all’oro nero

Ma quell’incipit non esiste più. Francesco Pacifico ha lavato i panni nell’Hudson, il fiume che bagna New York, e ha riscritto il suo libro per la terza volta. La seconda era, appunto, l’edizione americana, celebrata dalla critica e addirittura da Jonathan Franzen. La terza è uscita da pochi giorni per Mondadori ed è un libro nuovo, che inizia in modo leggermente diverso: «La realizzazione personale di un borghese non vale il petrolio che costa». Cambia poco eppure cambia tutto, perché dietro al segno convenzionale della ricchezza – i soldi, che comunque appaiono continuamente nel libro, lubrificando relazioni, successi e insuccessi – appare finalmente la ricchezza materiale, il petrolio, la “carbon footprint” nella versione inglese.

Bisogna pur mettere del carburante in quei voli dall’Europa all’America. Ed ecco che il romanzo satirico sulla borghesia diventa un romanzo sull’Antropocene, l’era geologica segnata dalla presenza un filino invadente dell’essere umano. Ecco che le ansie dei giovani romani a New York si riallacciano ai fondamentali dell’economia e dell’ecologia.

Pacifico apre il suo nuovo romanzo con un’illuminazione: che tutti quegli studi, quei tirocini, quegli anni spesi a inseguire carriere creative non consumano soltanto i soldi di mamma e papà, ma soprattutto consumano il pianeta. E se i soldi si possono stampare a iosa, con gaudio dei grandi speculatori, il petrolio a un certo punto diventa sempre più difficile da estrarre. La realizzazione personale di un borghese vale il collasso della civiltà umana? La cronaca di fine impero, colpo di scena, potrebbe anche essere un documentario sulla fine del mondo.

Mettendo Class sotto il segno dell’oro nero, Pacifico evoca un illustre precedente, quel Pier Paolo Pasolini che intitolava Petrolio il suo ultimo romanzo, convinto di poter decifrare l’enigma della politica italiana alla luce delle politiche energetiche dell’Eni. Niente trame nere qui, ma forse la volontà segreta di ancorare la microstoria di una borghesia ignava – cioè noi stessi ma più ricchi e più mostruosi – alla prospettiva escatologica del collasso di cui essa è contemporaneamente vittima e colpevole.

Non che il tema ecologico sia centrale in Class, tutt’al contrario: al netto del senso di colpa che perseguita la protagonista, velleitario come tutto il resto, nessuno dei personaggi sembra preoccuparsi della catastrofe che incombe, soltanto fissata come un monito nell’incipit di questa nuova versione. Eppure incombe, come incombevano la crisi del 1929 e poi la Seconda guerra mondiale sui protagonisti belli, dannati e spendaccioni dei romanzi di Francis Scott Fitzgerald. E verrebbe da dire che in fondo se la meritano.

Futuro a crescita zero

Nel 2013, in un’audizione all’Assemblea nazionale francese, l'ingegnere Jean-Marc Jancovici annunciava davanti a una platea di parlamentari la sua visione fosca del futuro dell’umanità: «Senza energia, il mondo moderno non esisterebbe. L’energia ha dato forma alla totalità di quello che ci circonda: l’aumento del potere d’acquisto, l’urbanizzazione, la terziarizzazione, la mondializzazione, il tempo libero, le pensioni, l’istruzione avanzata, le 35 ore. Insomma tutte le conquiste sociali che consideriamo eterne dipendono dall’energia. E oggi non c’è abbastanza energia perché il cittadino francese di basso reddito continui a consumare come consuma oggi».

L’elettricità, in effetti, ha messo a disposizione di ognuno di noi la forza di circa duecento schiavi, abituandoci a dipendere da questi duecento schiavi per la soddisfazione di bisogni che ormai consideriamo elementari. Qualcosa di simile mostra lo storico dell’energia Vaclav Smil, americano di origine ceca molto seguito da Bill Gates, nel suo Energia e civiltà. Una storia (Hoepli). Sia Smil che Jancovici sono convinti che la crescita economica dipenda direttamente dall’accesso all’energia e che siamo entrati di fatto in un’epoca in cui la crescita non potrà più essere garantita. Le conseguenze di questa crisi ambientale saranno prima economiche e poi sociali, anzi lo sono già, come ha mostrato la rivolta dei gilets jaunes in Francia.

Secondo Jancovici siamo entrati in una recessione strutturale determinata da cause fisiche irreversibili e dovremmo iniziare a pianificare un futuro a crescita zero. Non si tratta di una questione banalmente ingegneristica ma di una rivoluzione che riguarda ogni aspetto del nostro stile di vita fino ai fondamenti morali della civiltà moderna, fino al significato stessa di quella “realizzazione” che attendiamo dalle nostre vite.

Espiazione

Nel frattempo cosa fanno i mantenuti romani a New York? Ce lo racconta Pacifico con un’ironia tanto più amara quanto è profonda l’impronta ecologica delle loro aspirazioni. Thomas Mann aveva mostrato nei Buddenbrook che il rendimento di una dinastia borghese tende a decrescere di generazione in generazione, mostrandoci la decadenza della terza; in Class siamo ben oltre.

Lorenzo è un cretino privo di talento, uno Zeno Cosini che pur di diventare regista si fumerebbe direttamente tutti gli idrocarburi sepolti sotto la scorza terrestre da un milione di anni; e comunque non basterebbe. Ludovica lo disprezza non tanto perché sia un fallito, quanto perché di essere un fallito non se ne rende conto, e nel suo diniego trascina lei, la loro vita – l’intero pianeta. Attorno a loro orbita una galleria di nuovissimi mostri sempre in posa, gonfi di luoghi comuni, persi in un teatro dell’assurdo tragicamente realistico a ripetere frasi vacue spezzate da espressioni americane, come se la festa al Village delle Perizie di William Gaddis non fosse mai finita. Sognano di diventare filmmaker e rapper e scrittori, proprio come noi, ignari delle centinaia di schiavi – metaforici e meno metaforici – che tengono in piedi quel sogno. Il loro mondo iperreale è una simulazione fatta solo di segni e segnali (e un bel po’ di sesso) nel quale i conflitti reputazionali e gli scherzoni prendono il posto delle attività produttive, un po’ come nelle commedie di Carlo Goldoni. I loro amori e le loro ansie, che nel finale del romanzo appaiono letteralmente intercambiabili, sono alimentati da una complessa rubinetteria che dal centro della scena risale fino alle pipeline del deserto.

Jancovici spiegava bene, nel suo intervento, che se i numeri ci mostrano che l’energia pesa sempre meno nel Pil dei paesi occidentali e nelle spese individuali (meno del 10 per cento), questo non deve ingannarci: è soltanto perché i consumi energetici vengono esternalizzati verso i paesi dove vengono fabbricate le cose che usiamo. Quanto sforzo per permettere a tutti i Lorenzo di questo mondo di girare il loro videoclip citazionista sperando di diventare il nuovo Quentin Tarantino. E che indicibile spreco, se serve a finanziare la vacuità terrificante degli amici e delle amanti che incontra sul suo percorso, con il loro indefinito chiacchiericcio che dissolve ogni possibile segnale in un rumore generalizzato. Non lo scriveva già Thomas Pynchon nel 1960 che l’entropia era la metafora perfetta della nostra società?

Francesco Pacifico, si capisce, vuole espiare: è un tratto ricorrente nei suoi romanzi. E i suoi personaggi, anche se non lo sanno, cercano anch’essi lungo tutto il romanzo un’espiazione. La troveranno ridicolizzandosi e umiliandosi, portando sulle proprie spalle come una croce la propria insostenibile banalità, accettando passivamente le gratuite crudeltà che il destino riserva loro. Otterranno infine quello che volevano, realizzare quello che erano destinati a essere – cioè Nulla.

A questo punto non ho dubbi su quale sia il miglior incipit italiano del decennio: «La realizzazione personale di un borghese non vale il petrolio che costa». Perché suggerisce ancora un’ultima cosa sulla vocazione termodinamica di questa borghesia: incapace di porre un limite alle proprie aspirazioni, questa classe non potrà far altro che consumare l’intera materia dell'universo fino alla morte termica. La scienza e la fantascienza speculano da anni sullo scenario apocalittico della “poltiglia grigia” (grey goo), nel quale delle nanotecnologie molecolari potrebbero fagocitare il mondo replicandosi all’infinito; devo dire che non ho mai osservato qualcosa di tanto simile a questi robot ecofagi quanto i personaggi di Class, tranne forse il mio volto al mattino quando guardo lo specchio. Alla sua terza riscrittura, limando tritando e masticando le parole, Pacifico è finalmente riuscito a fare del suo romanzo la poltiglia grigia che ci rappresenta alla perfezione.


Francesco Pacifico è autore del libro Class, edito nella sua terza edizione da Mondadori

copertina libro class francesco pacifico

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