Non posso dire di conoscere il mondo dei poeti ma per quanto possa sembrare impossibile posso assicurare che esiste, anzi a ben guardare ne esiste più d’uno. Poesia è una delle parole più usate e certamente anche la meno frequentata. Si usa di solito per qualunque carineria, per tramonti, sospiri, canzoncine e frasette d’effetto. In pratica la poesia è esattamente il contrario di quel che le persone credono che sia ma non sapendolo l’equivoco si perpetua e quindi la storia che racconterò non sarà per loro di nessuna importanza, trattando appunto di poeti veri.

Chi scrive non è poeta in proprio, ci tengo a dirlo aggiungendo un ahimé. Sono un semplice ma ostinato lettore di poeti, e come si sa noi lettori siamo ancor meno dei poeti quindi un po’ aristocraticamente mi permetto di parlarne. In una regione periferica come questa, con elettroencefalogramma culturale praticamente piatto, si manifestano per contrappasso pochi ma ottimi poeti. Ne nascono due o tre al secolo.

Non è successo niente

Di solito nascono sparpagliati e senza interlocutori che non siano cartacei, in questo caso invece due poeti si sono trovati a vivere nella stessa piccola città e nella stessa epoca. Da giovani hanno fondato riviste, partecipato a seminari infiniti, si sono scambiati centinaia di libri se non migliaia, ma appena hanno iniziato a pubblicare è successo qualcosa di strano che li ha divisi.

Preciso sùbito che i loro stili erano diversissimi e lontani tra loro, uno parlava di montagne e l’altro di mare, e se per caso parlavano della stessa cosa lo facevano con due lingue diverse. Uno sensuale, oscuro, istrionico, l’altro sul classico, con barba ottocentesca e occhialetto. Il primo si chiamava Franco Scataglini, il secondo Francesco Scarabicchi.

Uno era Rothko, l’altro Gauguin, per dare un’idea delle differenze. Non c’era sicuramente uno scontro di tipo estetico tra loro e infatti nessuno li paragonava. Non ci furono neppure scontri causati da terzi, come per esempio l’innamoramento per una stessa donna.

Non accadde nulla ma l’amicizia fraterna si sfaldò all'improvviso, lasciando una scia di dolenti rancori che si trascinarono per anni. I motivi dello scontro erano indecifrabili. Io stesso, che li ho sentiti ricapitolare da entrambi, non saprei ripeterli perché non ne conservo memoria. Ricordo la sensazione che mi davano entrambi quando si raccontavano: non è successo niente! Ci pensavo e ci ripensavo e mi ripetevo: non è successo proprio niente!

Magneti

I poeti sono come magneti che si respingono. Mi sono fatto questa idea, e pur essendo anche adesso amico (guarda caso!) di due poeti mi guardo bene dal vederli insieme.

Qualcosa di simile mi è successa con amici pittori. Quando rimanevo solo con uno dei due mi sentivo dire dell’altro: bravo, ma non è un vero pittore. Oppure: brava, ma in fondo fa arredamento. Non stroncature, ma vere e proprie esclusioni.

Romano Bilenchi non prendeva sul serio Gadda perché, avendolo frequentato per anni, lo considerava psicolabile. Però attenzione: lo stesso Bilenchi fece amicizia, idolatrandolo, con Ezra Pound, che andava a trovare in manicomio. I meccanismi esclusivi degli artisti sono noti da secoli e ci sarebbe un florilegio di aneddoti da esibire. La frequenza però non ne svela il mistero profondo. Che qui vado a confermare.

Respinto dal maestro

Franco pubblicò per primo, all’inizio le solite plaquettes poi un vero libro a diffusione nazionale. I migliori critici italiani lo lessero e ne parlarono bene, come meritava. Franco era un poeta stupendo che abitava in un essere umano stupendo. Vederlo, parlarci al telefono per ore, rendeva migliori le mie giornate.

Francesco, con la sua poesia più classica e sempre più essenziale, faceva fatica a emergere. Era meno fortunato, bisogna dire. Gli capitavano cose terribili, se terribili possono essere gli eventi che accadono in un mondo lillipuziano praticamente invisibile. Un grande poeta lo aveva umiliato in gioventù.

Con il suo primo libretto era riuscito a vincere il Viareggio opera prima, e vestito da poeta era partito per la Toscana. Giunto nel grande albergo dove si incontrava la giuria riconobbe in un capannello di persone il grande poeta Giorgio Caproni, che avrebbe dovuto premiarlo.

Facile immaginare il passo esitante del giovane poeta verso il maestro. Ma Caproni non era per niente contento di conoscerlo, scoprì quando timidamente si presentò. Ebbe anzi un gesto di stizza e tirò fuori di tasca una busta appena arrivata. «Lei sapeva che non doveva aver pubblicato nessun altro libro! Non dica che non lo sapeva! E questo cos’è?». In mano al grande poeta era apparsa una plaquette con quattro o cinque poesie. Composta per il matrimonio di un amico.

Qualcuno l’aveva spedita alla giuria in forma anonima, e il timbro sulla busta parlava chiaro: dalla sua città. Inseguito da qualche “si vergogni!” il giovane poeta sgattaiolò in un altro albergo, vicino alla stazione e senza stelle, perché in quello della giuria l’avevano cancellato. Passò la notte a ascoltare i treni che passavano.

Fuori provincia

In una poesia di poco successiva, dedicata a sua figlia, sentiamo quanto fosse contrastato e dolente il suo rapporto con la poesia. «Non avere con me niente in comune» le raccomanda. Non metterti in queste faccende, lascia perdere la poesia, fai altro.

Anche Francesco, con qualche fatica in più, riuscì a trovare un suo spazio editoriale normale, che significa: nazionale. Esisti se esisti nel mondo vero, in provincia non c’è nessuna esistenza possibile. Il valore degli uomini e delle donne può essere dichiarato soltanto dall’esterno.

Ciò che la provincia esprime come valore non lo è per definizione, in quanto manifesto disvalore. Anche il tormento del provinciale è raccolto in tomi infiniti di varie narrazioni, ma non per questo è meno importante. In quegli anni per un poeta di provincia pubblicare con Einaudi era come ascendere al cielo (senza dimenticare le dimensioni lillipuziane del tutto e senza nulla togliere alla magnifica collana einaudiana).

L’incontro

Anche se i loro destini editoriali si erano con il passare del tempo normalizzati, il loro rapporto personale non si aggiustò. Difficile evitarsi in una città fatta di quattro piazze e poche strade, ma loro ci riuscivano. Ogni tanto mi chiedevano notizie l’uno dell’altro, ma avrebbero potuto scambiarsele semplicemente girando l’angolo.

Così sono passati diversi anni, quasi venti direi. Poi non so per quale vento giunto dal mare entrambi si fecero possibilisti e usando me come ambasciatore ci si rivide tutti insieme, anche con le signore.

Dopo cena si andò a passeggiare verso il Conero. Era estate e c’era una bella luna. Franco era anche pittore e sembrava di essere in un suo acquerello. Le case bianchissime immerse nel bosco, il taglio della montagna, le mille luci del mare.

La passeggiata

Non avendo mai preso sul serio il loro conflitto devo dire che trovai abbastanza comica anche la loro riconciliazione ufficiale. Francesco aveva fama di poeta serioso ma in realtà era una persona piena di ironia.

Quella sera imitò perfettamente un comune amico, editore del nord, e fece ridere tutti perché riusciva davvero a diventare lui, anche nei ragionamenti macchinosi e lentissimi.

Questa riconciliazione sembrerebbe contraddire, almeno in parte, quel che ho scritto all’inizio. Ma la passeggiata del dopocena non è finita. Camminando lungo un marciapiede assai stretto si formavano diverse coppie, che come in una danza mutavano ogni tanto. Anche Franco e Francesco avevano camminato appaiati per un buon tratto, sorridendo e scambiandosi vecchi ricordi.

Avevano parlato dell’uomo che li aveva fatti conoscere molti anni prima, un personaggio ancora ricordato in città. Era invalido e soffriva di insonnia, così leggeva sempre, e i primi libri importanti li avevano entrambi avuti in prestito da lui.

Quando mi ritrovai a camminare con Francesco scoprii che la pacificazione era riuscita solo parzialmente. «Non so, non lo vedo convinto…» mi disse, parlando naturalmente di Franco. Poco dopo mi ritrovai a camminare con Franco: «Non so se ho fatto bene» mi confessò, «Francesco non mi sembra convinto». Ma sì, sono come magneti i poeti, mi dissi, si respingono anche quando si vogliono bene.  

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