Una cosa ci dimostra il mito: che esso è assolutamente immune alla morte. A trent’anni dalla scomparsa di Serge Gainsbourg, il più grande provocatore del Novecento è ancora prepotentemente tra noi, per suggerirci all’orecchio che la libertà non è mai un bene conquistato in maniera definitiva, ma che si costruisce ogni giorno.

La genialità che pulsa in lui, l’erudizione enciclopedica e la cultura smisurata lo rendono un artista a tutto tondo: dagli albori come pittore si fa cantautore, musicista, cantante, compositore, attore, regista e romanziere con in attivo oltre 1.200 canzoni dal jazz al rock, dallo stile rive gauche al reggae e alla disco con al centro lo scandalo di Je t’aime... moi non plus (1969), in coppia con la sua compagna storica Jane Birkin, la prima canzone della storia che descrive un atto sessuale, record di vendite in tutto il mondo, che ha comportato una scomunica papale, il sequestro delle copie del disco e la revisione delle leggi sulla libertà di espressione in molti paesi.

Immagine pubblica e interiore

Nato a Parigi nel 1928 da una coppia di ebrei russi scappati ai pogrom antisemiti di Odessa, il giovanissimo Serge è un ragazzo arrabbiato. È furioso con il mondo che lo umilia e lo vuole relegare all’invisibilità solo perché è timido e lo reputa brutto e incapace di farsi udire e vedere. E allora Serge si trasforma e diventa man mano un mattatore superbo, disinvolto e affascinante, il satiro dannunziano che fa dell’erotismo la sua cifra distintiva.

La vergogna e il pudore giovanili lo penalizzano soprattutto nel rapporto con le donne e quando alla fine degli anni Cinquanta inizia faticosamente a cantare le sue canzoni, Gainsbourg si presenta come un misogino, scevro da ogni sentimento, che aleggia nelle notti francesi per sedurre e abbandonare fanciulle baudelairiane: belle, ma senza cuore.

Le donne sono dappertutto: le adora, le descrive, le canta, le ricorda da La chanson de Prévert alla sinfonia rock racchiusa nel concept album Melody Nelson. Dopo aver scritto pezzi indimenticabili per Juliette Gréco (La Javanaise), Françoise Hardy (Comment te dire adiue) e France Gall (Poupée de cire, poupée de son), ha il merito di aver fatto cantare per la prima volta – e con grande successo –  le amiche Anna Karina, Catherine Deneuve e Isabelle Adjani, ma anche di aver dato i testi a una giovanissima Vanessa Paradis. Le donne, ancora le donne.

Questa sua caratteristica, però, non si configura affatto come un’ossessione, non è quella bulimia della carne che trasforma il desiderio maschile in pantagrueliche abbuffate o che mira a stellette da collezione (le assai volgari “tacche sulla cintura”), ma non si avvicina nemmeno all’ideale della donna angelicata, pura e casta, a cui viene negata ogni autentica umanità, finanche la possibilità di avere delle pulsioni. L’amore di Serge per le donne è un amore profondo, perché l’amore è liberta, è compartecipazione, è rispetto.

Gainsbourg l’esteta che apprezza l’ordine, la pulizia, la ricerca edonistica del bello ama le donne perché camminano per le strade di Parigi, infondendo grazia ed eleganza. Gainsbourg cantore dell’eros le ama, perché loro gli danno la possibilità di esprimere in poesia (e nella vita) tutta l’intensità di cui è capace, che è vasta, iraconda, malinconica, bisognosa di amore, bramosa di accettazione: non è solo carne e sangue, è anche lacrime.

Gainsbourg, l’uomo alluvionato nell’anima, infine, ama le donne perché quando è solo con loro non deve più sostenere le pose machiste che tanto gli pesano e che tanto la società maschilista in cui vive gli impone a garanzia di una riconosciuta virilità. In generale, Serge non si trova bene a lavorare con i colleghi, non riesce a essere se stesso, irritato da quell’atteggiamento incline alle spacconate che lui stesso esibisce pubblicamente. Soprattutto, mal sopporta gli uomini che maltrattano le donne o le concepiscono come oggetti sessuali.

Le amiche, colleghe, familiari e amanti ce lo descrivono dolcissimo, timido, riguardoso. Da Mireille Darc a Marianne Faithfull le dichiarazioni sono sempre simili: nessuna battuta a doppio senso, nessuna avances, nessun moto predatorio. Lo adorano, perché in sua compagnia si sentono serene e possono concentrarsi sui loro progetti artistici invece di stare all’erta.

La stessa Brigitte Bardot che con lui ha vissuto una breve storia d’amore venata di follia e passione, cade nella fascinazione per Serge (in francese “innamorarsi” si dice appunto tomber amoureux, cioè “cadere”) sorpresa da quei modi gentili che non si fermano al suo broncio sensuale e alla sua chioma bionda: tutti gli uomini la vogliono – ma la usano, la stropicciano, la sgualciscono – lui invece percepisce il suo disagio esistenziale che l’ha trasformata in una creatura capricciosa e ferita.

Il dandy dal piglio aristocratico che dall’alto della sua dimensione intellettuale snobbava le lotte sociali, nel privato della sua splendida casa aiuta la sua Jane Birkin a stendere in un francese corretto le lettere di protesta femminista da lei indirizzate a politici e giornalisti. Poi tiene le bambine quando va a manifestare nei cortei sul diritto all’aborto e viene avvicinata dalla polizia che riconosce in quella ragazza in jeans e scarpe da ginnastica l’icona dello scandalo planetario.

In un mondo come il nostro dove molti uomini si atteggiano a sostenitori della rivendicazione di genere, sulla scia di un comune politically correct svuotato da ogni reale adesione, ricordare il magnifico mostro decadente che si fingeva misogino quando era corretto, fa sorridere.

Figure femminili

Serge le donne le conosce bene, perché vive circondato da figure femminili: nella sua famiglia, morto il padre sono la madre e le due sorelle i punti di riferimento, a casa ci sono Jane, la prima figlia di lei Kate Barry (che lui ama e tratta come fosse sua) e poi l’adorata e talentuosa Charlotte, oggi affermata attrice e cantante, che come papà è timida e introversa, ama stupire con la provocazione estrema e ha una vena triste.

La genialità ha un prezzo e Serge lo paga autodistruggendosi, ma Jane non resiste a vedere tutto questo: è giovane, deve tutelare se stessa e le due bambine e nel 1980 lo lascia. I loro cuori si lacerano e imparano ad amarsi da lontano, ognuno con un nuovo partner e nuovo bimbo in arrivo, ma entrambi uniti nel profondo. Si sentono tutti i giorni, lavorano insieme e per il mondo intero continuano a essere la couple mythique de France. I tecnici, impegnati negli studi di registrazione, nel vederli sono turbati, ma il tormento è una condanna a cui non ci si può sottrarre.

Nella foto: Jane Birkin e Serge Gainsbourg (Archivio Cioni Spinelli/LaPresse)

Negli anni Ottanta, Gainsbourg si trasforma in Gainsbarre, il suo alter ego impenitente, votato al vizio, sconcio e scurrile, senza più nessun freno inibitorio. Eppure, mentre cavalca gli schermi televisivi come un demone byroniano, mentre canta testi al limite della blasfemia sociale scrive per Jane canzoni di delicatezza e profondità straordinarie.

È il tempo di My Lady Éroïne, la cui lettura sullo stupefacente è chiara a tutti (ma lui detesta le droghe e non le usa) e poi di Lemon Incest, il conturbante duetto con Charlotte adolescente. Il videoclip ce li mostra sdraiati l’uno accanto all’altra con un solo pigiama in due, lui i pantaloni, lei la camicia abbottonata: il mefistofelico Gainsbarre cerca un nuovo scandalo attraverso una vaga idea di incesto, ma non gli crede nessuno, perché durante le riprese porta il caffelatte a Charlotte e la troupe li guarda con rapimento, assistendo al legame nobile e sincero che lega due persone così criptiche e complicate.

D’altra parte, quando nel 1986 Charlotte a 15 anni vince il suo primo Caesar (è la più giovane attrice francese ad aggiudicarsi la statuetta) lui ha accanto Jane – anche se sono separati – e non riesce a contenere l’emozione: allora, dopo aver baciato la figlia “alla russa”, resta in piedi e mentre lei sale sul palco scoppiano entrambi in lacrime.

Eroe nazionale

L’alluvione che è passata sulla sua anima ormai l’ha corroso e, non a caso, aveva cantato in maniera profetica Je suis venue te dire que je m’en vais. Pochi giorni prima della sua morte, esattamente 30 anni fa, il 2 marzo del 1991, Serge manda un biglietto a Jane per annunciarle un dono presso la maison Cartier di place Vendome. È un diamante a forma di cuore. Lei non lo ringrazierà mai e nella solitudine del suo malessere interiore, delle varie malattie che ormai vessano anche il suo corpo, chiuso in una casa che ha eretto a mausoleo di se stesso, Gainsbourg, l’ultimo poeta maledetto – come l’ha definito Mitterand – chiude per sempre gli occhi al mondo. In una città surreale bloccata dalle processioni di migliaia di persone, Gainsbourg diventa eroe nazionale, simbolo di libertà, di amore, di provocazione e soprattutto di fragilità.

Perché è questo il suo lascito più grande: insegnare che alla fine, nonostante tutte le incredibili bufale su quanto si è forti e spavaldi, bisogna accettare di essere fragili.

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