Quando con Jonathan Haidt consegnavamo le bozze finali del nostro libro, The Coddling of the American Mind, nel 2018, si sentiva già parlare qui e là dell’ideologia pressante che permeava l’insegnamento K-12 (è quel periodo che va dall’ultimo anno della scuola dell’infanzia al termine della scuola secondaria, ndt), ma lo sviluppo non era coerente o abbastanza ben documentato da essere incluso nel libro. Da allora però – e ancor di più da quando è incominciata la pandemia da Covid-19 – alla Fondazione per i diritti individuali nell’istruzione (la Fire, Foundation for individual rights in education) abbiamo letteralmente ricevuto segnalazioni da centinaia di genitori in tutto il paese su un insegnamento influenzato dall’ideologia, che coinvolge i bambini a partire dall’età prescolare. Vorrei offrire una visione positiva di come potrebbe essere l’istruzione K-12 in una società libera e liberal con la “l” minuscola, e baso le mie riflessioni sulla giurisprudenza americana, la sapienza antica e la psicologia moderna.

Primo principio: non forzare discorsi, pensieri o convinzioni

In genere è sbagliato dire a qualcuno ciò che non può dire. Ed è di solito molto peggio dire a qualcuno ciò che deve dire, e sempre sbagliato è dire alle persone ciò che devono pensare o credere.

Certo, l’istruzione K-12 dovrebbe impartire una certa quantità di “educazione morale” agli studenti, molto più di quanto sia previsto nell’istruzione superiore. Come ha spiegato il giudice della Corte suprema Warren E. Burger nel 1986: «Le scuole devono insegnare con l’esempio i valori condivisi di un ordine sociale civile». Ad ogni modo, se vogliamo educare una generazione a vivere come cittadini in una società libera, non dobbiamo insegnare loro che chi detiene l’autorità è autorizzato, se non incoraggiato, a dire ai cittadini quali convinzioni politiche devono avere, sostenere o professare.

Le scuole religiose, che nel 2015 erano circa una su cinque tra le istituzioni K-12, possono cercare di insegnare altri valori oltre a quelli che una scuola pubblica o privata laica potrebbe prendere in considerazione. Eppure, scuole simili beneficiano ancora del rispetto della libertà di coscienza. Sulle questioni che non hanno a che fare con la fede, il carattere religioso della scuola dovrebbe essere irrilevante. Sulle questioni di fede, la decisione di avere fede può avere senso solo se esiste una alternativa. Per la maggior parte delle scuole religiose private, che sono cattoliche, questo rispetto è approvato dalla dottrina. Il papa stesso, in effetti, ha difeso la libertà di coscienza sulle questioni morali. (Personalmente ho frequentato una scuola superiore cattolica da ateo professato, e solo in seguito mi sono reso pienamente conto di quanto i miei insegnanti fossero rispettosi della mia mancanza di fede).

Se crediamo che la scuola primaria e secondaria debba insegnare specifiche convinzioni politiche, dobbiamo pensare a come ci sentiremmo se quelle convinzioni fossero, ad esempio, l’imposizione del credo che l’America è, ed è sempre stata, un’utopia, che tutti devono esprimere un patriottismo inesorabile, e che mettere in discussione l’eccezionalità americana è un reato punibile. Mi oppongo a qualunque di questi tentativi di imporre convinzioni politiche specifiche e spero che genitori ed educatori siano d’accordo.

Secondo principio: rispettare l’individualità, il dissenso e la sacralità della coscienza

Per tutta la mia vita fino a poco tempo fa, l’individualità non solo era una parola positiva, ma anche un valore venerato. Scoprire la propria individualità era considerato parte di una vita appagante. Forse, come direbbe mio padre, russo, gli americani si concentrano davvero troppo sull’individualità. Ma nel processo di correzione della rotta, ci siamo spinti troppo oltre nella direzione di lasciare che la nostra individualità fosse compresa nell’identità di gruppo. Può sorprendere qualcuno che, come sottolinea il medico e sociologo Nicholas Christakis, il rispetto per l’individualità possa essere una parte fondamentale della coesione di gruppo. Vedersi come un individuo autonomo con diritti inalienabili, libero di pensare e parlare come si sceglie, può dare potere. Non bisogna mai dimenticare che i diritti individuali, proteggendo la libertà di associazione, tutelano i diritti di gruppo, ma non avviene il contrario. Un sistema che si concentra sui diritti di gruppo non proteggerà i diritti individuali.

Le leggi che derivano dal Primo Emendamento degli Stati Uniti sono piene di dichiarazioni potenti sull’unicità dell’individuo e sul rispetto di tale unicità. Due esempi rappresentativi: “La volgarità di qualcuno è poesia per qualcun altro”, Cohen v. California, 1971; “Le libertà del Primo Emendamento sono maggiormente in pericolo quando il governo cerca di controllare il pensiero o di giustificare le sue leggi per quel fine inammissibile. Il diritto di pensiero è l’inizio della libertà e la parola deve essere protetta dal governo perché la parola è l’inizio del pensiero”. Ashcroft v. Free Speech Coalition, 2002.

Se l’istruzione K-12 deve comprendere l’educazione morale, deve consentire agli studenti di mettere in discussione o dissentire dall’educazione morale offerta senza il timore della punizione. Altrimenti è indottrinamento e riforma del pensiero, non educazione. Quando gli studenti non sono in accordo con l’istruzione morale, dovrebbero essere valutati sul modo in cui argomentano le proprie obiezioni; non dovrebbero essere trattati come se avessero commesso un sacrilegio. C’è un regno della coscienza personale che chi detiene l’autorità non ha il diritto di invadere. Se vogliamo avere una società veramente libera, inclusiva e pluralista, il massimo che gli educatori K-12 dovrebbero fare è tentare di persuadere; non dovrebbero forzare l’adesione ad alcuna ideologia.

Terzo principio: promuovere la più ampia curiosità possibile, la capacità di pensiero critico e un moderato scetticismo verso la certezza

La nostra conoscenza collettiva è tutt’altro che completa, eppure supera di gran lunga la competenza nel conoscere di qualsiasi individuo, campo o persino comunità. Se vogliamo educare i cittadini a navigare in questo sconfinato oceano di informazioni, dovremmo coltivare la sete di conoscenza e l’abitudine intellettuale che trasforma l’informazione in conoscenza. Come ha detto il grande giurista Learned Hand nel 1944, «Lo spirito di libertà è lo spirito che non è troppo sicuro di avere ragione». E, certamente, una certezza morale dogmatica tra i ragazzi che contemporaneamente iniziano il college e acquistano pieni diritti di voto mina la libertà di parola, la libera ricerca, il compromesso democratico. Dopotutto, se una persona è già certa di conoscere le complesse verità morali sul mondo, che bisogno avrebbe della discussione, del dibattito o della ricerca?

Quarto principio: dimostrare umiltà epistemica a tutti i livelli di insegnamento e definizione delle politiche

La curiosità non dovrebbe soltanto essere insegnata: si impara più efficacemente con l’esempio. Dimostrare umiltà epistemica è uno dei modi migliori per farlo. Un insegnante disposto a dire sinceramente: «Non lo so, scopriamolo», non perde di autorevolezza nella classe e può portare ad apprezzare quanto sia enorme il mondo della conoscenza. Come ha scritto il presidente della Corte suprema Earl Warren nel 1957: «Non c’è campo del sapere che sia già stato così compreso dall’uomo al punto che nuove scoperte non possano essere fatte. Ciò è particolarmente vero nelle scienze sociali, dove pochi, se non nessun principio è accettato come assoluto... Gli insegnanti e gli studenti devono sempre rimanere liberi di chiedere, di studiare e di valutare, per acquisire nuova maturità e comprensione; altrimenti la nostra civilizzazione ristagnerà e morirà». Questo era vero allora, e non c’è ragione di pensare oggi che abbiamo qualcosa che si avvicina alla conoscenza perfetta. I programmi pesantemente ideologizzati mostrano sempre arroganza epistemica. Credere che si debbano inculcare agli studenti specifiche concezioni politiche o ideologiche significa presupporre l’infallibilità di queste concezioni e l’onniscienza degli istruttori o dei responsabili del curriculum. Questo non è il modo in cui si educano dei pensatori critici. La nostra conoscenza collettiva è incompleta, nessuna ideologia ha il monopolio sulla verità, e dire ai giovani altrimenti li lascia male attrezzati per vivere in una società in cui le domande sono sempre aperte, i dibattiti si devono sempre fare e nuove scoperte devono sempre essere fatte.

Quinto principio: promuovere l’indipendenza, non la dipendenza morale

Oggi, ai genitori, agli educatori, agli amministratori e agli impiegati delle istituzioni K-12 si dice costantemente di affidarsi al potere e all’autorità per mettere fine ai conflitti interpersonali. Ciò nasce da un obiettivo nobile, come ad esempio ridurre la discriminazione, arginare il bullismo, promuovere la tranquillità. Ma ha un costo tremendo: si insegna ai giovani che i conflitti si risolvono unicamente appellandosi al potere - sia che si tratti del personale delle scuole, del servizio di risposta del loro college o del dipartimento delle risorse umane della loro azienda - incoraggia abitudini di dipendenza morale. Le società libere devono includere alcuni elementi di responsabilità individuale e incoraggiare a gestire i conflitti da sé. È difficile esagerare i pericoli nel formare in una società democratica una generazione abituata a rivolgersi sempre alle autorità per risolvere le difficoltà della vita. Ciò non significa che i docenti e gli amministratori delle scuole non debbano mai intervenire, ma significa che non debbano essere troppo desiderosi di intervenire nei conflitti interpersonali tra gli studenti.

Sesto principio: non insegnare ai bambini a pensare secondo distorsioni cognitive

Sembra che come società stiamo insegnando a una generazione di studenti le abitudini mentali delle persone ansiose e depresse. Lo intendo alla lettera: le distorsioni cognitive sono modelli di pensiero esagerati che non sono in linea con la realtà. Tutte le persone fanno distorsioni cognitive in una certa misura, ma quando se ne fanno troppe, troppo spesso, si potrebbe diventare ansiosi, depressi o entrambe le cose. Non a caso, imparare a evitare le distorsioni cognitive è anche un buon modo per imparare il pensiero critico. In effetti, alcuni degli strumenti della terapia cognitivo-comportamentale possono essere applicati facilmente alle regole del dibattito produttivo tra due persone, così come alle abitudini di pensiero sano nella propria mente.

In questo elenco delle distorsioni cognitive ho omesso le definizioni complete per ragioni di spazio: ragionamento emotivo, catastrofismo, generalizzazione eccessiva, pensiero dicotomico, lettura della mente, etichettare, filtraggio negativo, eliminazione dei positivi, incolpare. L’antidoto alle distorsioni cognitive è la pratica della disputa, che significa esaminare e confrontarsi con idee in competizione al fine di correggere le distorsioni e arrivare a un’approssimazione più vicina alla verità. Proteggere gli studenti dalle idee in competizione, quindi, non li favorisce affatto. Le scuole hanno il compito di istruire le menti che si stanno sviluppando sull’importanza di un ragionamento sano e logico. Non dovrebbero consentire – o peggio, promuovere – quelli che sono, effettivamente, errori logici.

Settimo principio: non insegnare le “tre grandi falsità”

Come società, stiamo insegnando a una generazione tre “falsità” generali manifestamente cattive, idee che contraddicono sia l’antica saggezza, sia la psicologia moderna. La falsità della fragilità: ciò che non ti uccide ti rende più debole. La falsità del ragionamento emotivo: fidati sempre dei tuoi sentimenti. La falsità del noi contro loro: la vita è una battaglia tra le persone buone contro le cattive.

La falsità della fragilità ci porta ad evitare le sfide che conducono a una crescita personale. La falsità del ragionamento emotivo incoraggia a dare priorità ai nostri sentimenti rispetto alla ragione. La falsità del noi contro loro spinge a interpretare ogni offesa, per quanto minore o non intenzionale, come una prova della malizia che ha origine in una persona che deve essere punita. Ogni menzogna è dannosa di per sé; insieme, sono una ricetta per l’ansia, l’impotenza e la vittimizzazione come risposta a ogni incontro nella vita che contenga un certo livello di avversità. Sono anche una formula per una società disfunzionale. Gli studenti che praticano l’opposto di queste falsità - che sviluppano la resilienza, imparano a contestualizzare le loro risposte emotive e offrono agli altri il beneficio del dubbio - saranno preparati per la vita e la cittadinanza in una democrazia pluralistica.

Ottavo principio: considerare più seriamente la salute mentale degli studenti

La salute mentale dei giovani non è presa abbastanza sul serio, sia nelle scuole K-12 che nell’istruzione superiore. Il movimento per i trigger warning (lo stimolo psicologico che spinge al ricordo di una precedente esperienza traumatica) nei campus ha ottenuto un grande significato simbolico (e probabilmente eccessivo) sia tra i critici sia tra i sostenitori di un approccio più terapeutico all’istruzione superiore. Tuttavia, la storia dei trigger warning mostra alcuni dei modi in cui pensare alla salute mentale e all’istruzione degli studenti è inadeguato.

Questo movimento parte dalla premessa che alcuni studenti soffrono di un disturbo da stress post-traumatico così grave che la semplice menzione di un certo argomento a lezione potrà causare un crollo psicologico. Pertanto, si ritiene che i trigger warning non siano solo utili, ma fondamentali per il benessere di quegli studenti.

Tuttavia, per gli studenti che soffrono di quel livello di disagio psicologico, un trigger warning non è adeguato. Questi studenti hanno bisogno di professionisti medici che forniscano una terapia mirata, non di professori che decidano di applicare un cerotto. Se la semplice discussione di un argomento del corso evoca un grave disagio psicologico, è segno che lo studente ha bisogno di un aiuto professionale.

La stessa preoccupazione circa le risposte inadeguate si applicherebbe agli studenti che potrebbero avere tendenze suicide. Nessuna modifica delle aspettative educative è sufficiente per affrontare un problema così grave. È un’altra situazione in cui gli insegnanti hanno bisogno dell’aiuto di genitori, psicologi e professionisti della salute mentale.

Generalizzare le cattive idee su come proteggere gli studenti con malattie mentali a tutti gli studenti può avere alcuni gravi effetti collaterali negativi. Ad esempio, da quando è uscito il libro abbiamo imparato che il fatto che i genitori preparino o evitino tutto ciò che potrebbe causare ansia ai propri figli può, in qualche modo non sorprendentemente, causare ansie a cascata. Tutti ricordiamo esperienze che abbiamo avuto da bambini o anche da adulti in cui abbiamo evitato una persona, un argomento o un confronto, ma quando alla fine lo abbiamo affrontato, abbiamo trovato che la situazione non fosse così terribile come credevamo. Tra le peggiori idee nell’educazione superiore c’è quella di chiedere alle persone che hanno subìto eventi difficili o traumi nella vita di mettere quelle esperienze al centro di ciò che sono, e quindi una parte permanente della loro psiche. Questo può trasformare qualcosa che una volta era semplicemente un’avversione, in qualcosa di più simile a una fobia e, peggio ancora, una caratteristica distintiva della propria identità (parte del proprio “schema”).

Questo mi porta alla cosa più frustrante che ho visto dalla prima pubblicazione. Sappiamo che l’ansia, la depressione, l’autolesionismo e il suicidio sono in aumento, in forte aumento, tra i giovani. Alla luce di questo fatto, però, è crudele continuare a promuovere filosofie politiche che presuppongano le seguenti cose: molti studenti sono sia oppressori sia oppressi per il colore della propria pelle, del genere, della sessualità, dello status socioeconomico, e/o dell’origine nazionale, e quindi non soltanto la vita è loro avversa, ma danneggiano anche attivamente altri studenti; parole, argomenti e immagini possono essere così dannosi che gli studenti devono esserne protetti per prevenire gravi danni psicologici; alcuni studenti sono in guerra contro l’oppressione dove non hanno amici ma piuttosto “alleati”, il che implica un accordo condizionale e utilitaristico, non un legame profondo e personale; gli studenti devono essere sempre in allerta nei confronti delle offese, poiché significano sempre qualcosa di molto più nocivo di un semplice passo falso; e un singolo brutto scherzo, commento stupido o tweet poco saggio in qualsiasi momento potrebbe, e persino dovrebbe, far deragliare le future carriere accademiche o professionali.

Se sinceramente abbiamo a cuore la salute mentale degli studenti, non dovremmo insegnare loro a interiorizzare il senso di colpa, la vergogna, la disperazione, la mancanza di identità individuale e l’impossibilità dell’amore e dell’amicizia oltre i confini della differenza. Dovremmo promuovere la loro anti-fragilità, la loro resilienza e la loro fiducia in sè stessi in modo che possano affrontare l’istruzione superiore come pensatori responsabili, fiduciosi e creativi.

Nono principio: non ridurre gli studenti complessi a definizioni limitanti

Suddividere gli studenti in categorie politicamente utili che implicano assegnare loro attributi caratteriali o destini basati su tratti immutabili circoscrive il loro potenziale e ostacola la loro crescita. L’autodeterminazione è alla base della promessa americana e al centro della nostra identità nazionale. Gli studenti devono poter decidere da sé quanta, o quanta poca, enfasi desiderano mettere sulla loro razza, etnia, religione, genere, classe sociale o background economico. Gli americani pensano al “noi” sulla base di un numero relativamente piccolo di fattori unificanti come la cittadinanza, la cultura pop e, si spera, l’apprezzamento e il rispetto per la Costituzione e la democrazia, il nostro sistema operativo condiviso. Dentro questa “sottile” tenda identitaria, tutti sono i benvenuti. Altri paesi hanno idee molto più profonde o “più spesse” su ciò che li rende un “noi” alla prima persona plurale. Il modello sottile è migliore per una società inclusiva pluralistica. L’identità spessa è esclusiva, inflessibile e non si accorda bene con un’effettiva diversità.

Una tendenza inquietante dei miei vent’anni passati a osservare l’istruzione superiore è stata la suddivisione degli studenti in diversi gruppi razziali per qualsiasi scopo, dal separare l’orientamento, alla consegna dei diplomi separata. Questi raggruppamenti, pur mirando a migliorare il senso di appartenenza alla comunità, impediscono necessariamente la formazione di amicizie precoci tra persone di diversa estrazione. Senza dubbio ci saranno dei conflitti quando studenti che provengono da ambienti molto diversi si incontrano. Tuttavia, consentire agli studenti di risolvere queste differenze tra di loro li preparerà a navigare nel mondo vario in cui abiteranno al di fuori degli ambienti scolastici.

Decimo principio: se è rotto, aggiustalo

Occorre essere disposti a formare nuove istituzioni che incoraggino gli studenti e li educhino secondo i principi di una società libera, inclusiva e pluralistica. È questa una formula per la pace e la tranquillità? No. Ma le società libere non dovrebbero essere particolarmente tranquille. Non dobbiamo legarci a tal punto a una ideologia, a una struttura organizzativa istituzionale o a un metodo di interazione da diventare impermeabili a critiche legittime o riforme significative.

È tempo di cambiamenti importanti nel mondo della scuola K-12. Occorre rinnovare l’attenzione a coltivare i nostri strumenti liberali per scoprire la conoscenza, promuovere l’indipendenza e rispettare l’individualità, incoraggiando nel contempo una diversità di pensiero tra gli studenti e le loro famiglie.

Questo articolo è apparso sulla testata Persuasion. Traduzione di Monica Fava

 

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