L’uomo aveva pianificato quella gita fuori porta già da parecchie settimane: gli piaceva di tanto in tanto prendere un treno e passare il tempo in un’altra città, meglio se di provincia, lontana dal caos. Quella volta a Mantova però qualcosa andò storto. Appena varcate le mura della cittadina un gruppetto di giovani gli si parò d’innanzi con aria entusiasticamente minacciosa: sarà che la sua calvizie da chierico gli dava un aspetto saggio, o che per quell’occasione aveva scelto una giacca da intellettuale, o che per caso teneva sotto braccio un paio di supplementi culturali.

«È in ritardo!», esclamò uno dei giovani.

«Io?» chiese l’uomo, cadendo dalle nuvole.

«La presentazione del suo libro sui satelliti avrebbe dovuto iniziare cinque minuti fa!».

Doveva trattarsi di uno scambio di persona, ma l’uomo non fece in tempo a spiegarsi, perché i giovani, con quel loro modo di fare appassionato (si definirono “volontari”), lo trascinarono dentro uno spiazzo e lo issarono sopra un palco. Soltanto allora l’uomo si rese conto della folla accorsa all’evento.

La presentazione del libro

Un volontario gli sussurrò all’orecchio: «Ha visto quanta gente?».

«Ma veramente io…» provò a dire l’uomo, per tentare di togliersi da quella brutta situazione, ma venne subito zittito e fatto accomodare dietro a una specie di cattedra all’aperto.

Una voce all’altoparlante annunciò che finalmente la presentazione del libro L’occhio di alluminio, l’avventura dello Sputnik 1 poteva cominciare. L’uomo a quel punto avrebbe voluto andarsene, ma l’applauso scrosciante della folla lo inchiodò alla sedia. Allora dette uno sguardo alla platea, per qualche istante guardò le facce di quella gente: tutti pendevano dalle sue labbra, qualunque cosa avesse detto sarebbe stata accolta con simpatia.

«Grazie per il vostro calore», esordì, avvicinando timidamente la bocca al microfono. «Invece di parlare della grande avventura dei satelliti e di quello che hanno significato per il progresso dell’uomo, vorrei chiedervi qual è il migliore ristorante della città».

Scrosciarono sùbito altri applausi, la gente sembrava letteralmente impazzita per quelle parole così bizzarre e informali.

«Okay», continuò l’uomo, ora più sicuro di sé. «Se proprio volete che vi dica qualcosa riguardo al mio lavoro, sappiate che uno scrittore si dimentica quasi tutto dei libri che ha scritto, e così fa una fatica bestiale durante la promozione!».

La presentazione andò avanti per un’oretta, intervallata da applausi a scena aperta per le battute che l’uomo, messo alle strette, era costretto a inventarsi (anche perché riguardo ai satelliti le sue nozioni si fermavano all’atlante di astronomia delle scuole medie). Dopodiché, al termine di un lunghissimo applauso finale, l’uomo venne immobilizzato alla cattedra da uno dei volontari

Il firmacopie

«Non ho finito?», chiese l’uomo.

«Adesso c’è il firmacopie».

L’uomo alzò la testa e vide un’interminabile colonna di persone che dal palco si allungava fino al palazzo ducale, e oltre.

«La sua presentazione è uno dei 133 eventi principali delle 15», precisò il volontario.

«Non c’è modo di evitare gli autografi?», chiese l’uomo impaurito.

Il volontario scosse energicamente la testa: «Non vorrà mica negarsi ai suoi fan?».

Dopo che ebbe apposto il suo svolazzo di penna biro anche all’ultimo lettore, venne subito affiancato da una ragazzina smilza che si qualificò come suo ufficio stampa.

«È molto difficile fare divulgazione scientifica, poi con un argomento così noioso come lo Sputnik, sei stato grandioso», gli disse. «Ora c’è Pordenone».

«Pordenone?».

«Be’, certo, poi a seguire Livorno per il Festival dell’umorismo».

L’uomo corrugò la fronte: «Ma il mio non è un saggio sui satelliti?».

«Beh che c’entra, il tema dei festival è un pretesto, sono contenitori, e dentro ci finisce di tutto».

L’uomo non seppe come controbattere, anche perché non ne sapeva niente di festival.

«What’s the matter?», chiese l’ufficio stampa. «Sono tutte vetrine importanti».

«Tutte vetrine importanti…», ripeté l’uomo a pappagallo.

«Dopo Pordenone e Livorno abbiamo il festival internazionale di Ferrara, Torino spiritualità e la fiera del libro di Brescia».

«Davvero anche a Brescia c’è una fiera del libro?».

«C’è una fiera del libro ovunque».

«No, guarda io...», cominciò a dire l’uomo, ma l’ufficio atampa l’aveva già preso sottobraccio per condurlo in uno degli alberghi più belli della città.

In tour

Quella sera, scrutando il cielo finemente stellato dal suo balcone panoramico, l’uomo ripensò allo Sputnik 1 e anche alla circostanza che, forse per uno scherzo del destino, lui stesso era stato sparato nel firmamento della cultura ed era entrato nell’orbita dei festival. Con un sorrisetto ebete estrasse il suo smartphone dai pantaloni e compose un numero.

«What’s the matter?», rispose dopo appena un paio di squilli il suo ufficio stampa.

«Non ho più intenzione di usare questo numero, troppi scocciatori. Domattina puoi procurarmi una nuova scheda telefonica?».

«Nessun problema, ti sostituisco direttamente il telefono».

«La camera-attico è meravigliosa».

«Scrittore top, camera top».

«Grazie».

«Non devi ringraziare me, ma il festival. La casa editrice non sborsa una lira in questi casi».

L’uomo chiuse la telefonata e poi, dopo averci riflettuto ancora per qualche istante (ma forse era solo la simulazione di una riflessione, per mettersi la coscienza a posto), spense il suo smartphone: fuori dai radar familiari sarebbe stato libero di vivere la sua nuova vita di scrittore satellitare. E in effetti era proprio così, il percorso dei festival di anno in anno aveva un tracciato prestabilito – si partiva con Milano (Salone del libro usato) per finire con Courmayeur (Noir in Festival) –, e agli scrittori non restava che agevolare quei moti inerziali e, perché no?, perfino celesti, per tentare di non cadere nel dimenticatoio. Quest’immagine del dimenticatoio gliela regalò al Pisa Book festival un certo Andrea Sottomezzo, uno scrittore di racconti che si definiva un “cane sciolto” e un “pesce fuor d’acqua” rispetto al circuito ufficiale della promozione.

«Mi hanno invitato qui solo perché la direttrice è un’amica di mia cugina», chiosò.

All’uomo in fondo Andrea Sottomezzo piaceva, perché anche lui si sentiva un intruso in quel circo barnum fatto di gente che si conosceva tutta, una compagnia di giro che sembrava una famiglia pronta a qualsiasi marchetta pur di autolegittimarsi e sopravvivere.

«Vuoi che ti presenti qualcuno?», chiese l’uomo a Sottomezzo, quasi con fare paternalistico, visto che nel bene o nel male era in tour da quasi un paio di mesi, e nell’ambiente ormai lo stimavano in parecchi.

«Preferisco fare il mio show e togliermi dalle palle».

«Show?».

«Beh certo, come altro vorresti chiamarlo?».

«Ma tu mi hai detto che i tuoi racconti sono molto letterari, che si rifanno a modelli e procedimenti stilistici rigorosi».

«E con questo? La presentazione di un libro non è mai la sede opportuna per la presentazione di un libro».

Il vero Sergio Natoli

Grazie alle parole di Sottomezzo l’uomo capì che la gente dei festival non era interessata ai suoi libri di divulgazione scientifica - che peraltro non aveva mai scritto - ma solo e soltanto allo showman. La gente non voleva seguire un filo logico, quanto piuttosto gustare l’andamento di un arco emotivo, perdersi dentro uno schema drammaturgico, voleva essere consolata (il trionfo dei vecchi cari buoni sentimenti) o, al limite, spaventata (complottismo e catastrofismo erano molto in voga). L’uomo ci prese gusto, ormai sapeva che tutto il potere era nelle mani di chi teneva il microfono, un potere che gli dava alla testa, che lo faceva sentire come un Dio, che creava dipendenza. Appena scendeva da un palco (con gli applausi che un poco alla volta scemavano) non vedeva l’ora di salire su un altro. Poi una sera, a tarda notte, su un canale della tv satellitare (che beffarda ironia!), vide Sergio Natoli, il professore di cui aveva preso il posto, tenere una lunga intervista. L’uomo si rizzò sulla testiera del letto come se avesse visto un fantasma, prima di cominciare a studiarlo in ogni minimo dettaglio. La somiglianza fisica era indubbia, ma il professore quanto a parlantina era solo la sua brutta copia. Era la sua versione tronfia e accademica, spesso perdeva il filo del discorso, farfugliava, addirittura all’uomo sembrò che balbettasse. Subito afferrò il suo smatphone e compose un numero.

«What’s the matter?» rispose prontamente l’ufficio stampa.

«In tv c’è il vero Sergio Natoli».

«E allora?».

«Niente, sono sotto shock».

«Non devi, il professor Natoli risiede all’estero e non potrebbe fare ciò che fai tu per il suo libro».

«Davvero?».

«Ma certo, è tutto sotto controllo».

«Quali dei due Sergio Natoli preferisci?».

«Tu sei decisamente il più festivaliero dei due».

«Domani voglio leggere tutte le sue opere, compreso il libro che stiamo presentando in questo tour promozionale, L’occhio di alluminio, l’avventura dello Sputnik 1».

«Sei sicuro? Guarda che non sei obbligato».

L’uomo ormai era riconosciuto e perfino stimato da tutta la compagnia di giro dei festival. Il massimo di quel piacere mondano lo ottenne al Salone del libro, dove in pratica passò il tempo a dire e a sentirsi dire: «Ciao splendido come stai tutto bene tutto ok grande come va ciao grande come stai splendido tutto bene grande splendido come va tutto ok come stai tutto bene splendido tutto ok grande come stai tutto ok splendido come va tutto bene ciao grande tutto ok come stai splendido grande tutto bene ok come va ciao tutto ok tutto bene grande come va tutto bene come stai splendido».

In quel tripudio narcisistico si concesse il lusso della magnanimità offrendo ad Andrea Sottomezzo di condividere la camera-attico che l’organizzazione del Salone gli aveva garantito.

«Per un errore mi hanno dato una doppia con letti singoli», aggiunse. «C’è una vista su Torino mozzafiato».

Andrea Sottomezzo - che era stato invitato solo perché un suo lontano parente era nella giunta comunale, e con la prospettiva di dormire sul treno che lo avrebbe riportato a casa - non se lo fece ripetere due volte. Ma nel cuore della notte un urlo lacerò la pace e la tranquillità della camera-attico.

L’incubo

«Che c’è?», domandò l’uomo, ancora mezzo addormentato.

Andrea Sottomezzo andò in bagno a lavarsi la faccia, poi tornò sul letto, con gli occhi ancora sbarrati dall’orrore: «Da qualche tempo faccio un incubo ricorrente, tanto più spaventoso quanto più è verosimile, almeno per certi aspetti. Tu sei un divulgatore scientifico, non puoi lontanamente immaginare come se la passano i letterati…».

«E allora raccontami l’incubo».

«Sono in una libreria, sta per cominciare la mia presentazione, quando mi accorgo che al tavolo dei relatori insieme a me c’è il libraio, uno scrittore locale e un paio di signore di un club di lettura, mentre in platea non c’è nessuno…».

Dopo quella notte torinese, l’uomo si ripromise di non frequentare più Andrea Sottomezzo: lui non aveva niente a che fare coi narratori sfigati che non sapevano nemmeno come ottenere un adeguato rimborso spese.

Per di più, era alle porte la bella stagione, con un’infilata di festival lungo le coste della penisola. Una vera pacchia, in teoria, ma l’uomo sottovalutò il fatto incontestabile che ormai il suo libro era uscito da un po’ di tempo, e non fosse più l’ultima uscita, l’eccitante novità appena sfornata. E tutto sommato, ormai il pubblico conosceva a memoria le sue battute politicamente scorrette, e l’effetto che otteneva dalle folle che accorrevano a vederlo non era più lo stesso dei primi festival.

Non più al top

Tuttavia affrontò con lo stesso entusiasmo La grande invasione a Ivrea, il Taobuk festival di Taormina e L’isola delle storie a Gavoi, in Sardegna. Fu a Il libro possibile di Polignano a Mare che qualcosa andò veramente storto. L’uomo si convinse che l’organizzazione del festival non avesse scelto per lui la migliore camera possibile. Il letto poteva andare, così come il panorama, ma il bagno era di infimo livello.

«Scrittore top camera top, me l’avevi detto tu!» piagnucolò al telefono con l’ufficio stampa.

«What’s the matter?».

«Ma perché cazzo lo devi dire sempre in inglese, ma non puoi dire semplicemente “Che c’è?”».

«Ok capo, che c’è?».

«C’è che non siamo più al top».

L’ufficio stampa se ne uscì con una risatina nervosa: «Ma che dici, la nostra agenda è ancora piena zeppa di appuntamenti!».

Eppure, nonostante le rassicurazioni, le cose andarono progressivamente e inesorabilmente peggiorando. Al festival Collisioni, nelle Langhe, non gli riservarono la degustazione dei vini che aveva richiesto, mentre a Capalbio libri gli venne negato l’accesso alla piscina dell’hotel riservata ai relatori di prestigio.

A ripensarci col senno di poi, tutto doveva essere iniziato al Salone del libro di Torino con l’assegnazione di una doppia con due letti singoli fatta passare per uno spiacevole contrattempo!

Al festival della mente di Sarzana, l’uomo, ormai in preda a una crisi di nervi e viziato più di una rockstar, si lagnò con l’organizzatore per il pernottamento a tre stelle.

«Qual è il problema?» gli disse l’organizzatore a brutto muso.

«Non dormo in una topaia del genere, ma lo sa che le mie presentazioni fanno sempre il tutto esaurito?».

«Lei non conta niente, caro amico. Ai festival chiunque fa sold out, gli scrittori di best seller e gli intellettuali, i filosofi e i cuochi, gli scienziati e i comici. Ma lo sa che l’altro giorno per vincere una scommessa ho invitato perfino Andrea Sottomezzo, lo scrittore sfigato, e c’era la piazza piena, ho dovuto aggiungere le sedie, avremo fatto 200 persone? Tutto ruota intorno ai festival, sono i festival lo spettacolo!».

Fu allora che l’uomo ebbe come un pentimento, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il suo vecchio smartphone, e con un groppo in gola lo riattivò. Non ebbe neanche il tempo di vedere la gragnola di messaggi e chiamate perse che il display s’illuminò.

Sua moglie gli disse in un piagnisteo inviperito: «Renato, ma dove cazzo eri finito? Ho chiamato i carabinieri, la polizia e pure Chi l’ha visto!».

L’uomo sulle prime non seppe controbattere, poi disse soltanto: «Amore perdonami, ero entrato nell’orbita dei festival».

Poi abbassò lo sguardo, quasi rientrò nei suoi panni, e gli venne da pensare che anche lo Sputnik 1 era ripiombato sulla Terra, disintegrandosi quasi del tutto nel momento dell’ingresso nell’atmosfera, lasciando dietro di sé quella che lui s’immaginò come un’impalpabile polvere di stelle.

Una versione più breve di questo racconto è stata letta pubblicamente - sottoforma di bizzarra lectio magistralis - al trentesimo Salone internazionale del libro di Torino.

 

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