Domenica

Mi piacerebbe provare il «sentimento italiano senza nome». Ne parla Goffredo Parise nei Sillabari (Adelphi) facendo l’esempio di tre cose che hanno suscitato in lui questo misterioso sentimento: «La grotta sottomarina dei Faraglioni, le trippe del ristorante Troja di Firenze, il film La dolce vita». Una meraviglia caprese della natura, una specialità culinaria toscana, un’opera d’arte felliniana. Cerco di pensare a cose che provochino in me sentimenti simili, ma non mi viene niente in mente.

I Sillabari nacquero come articoli di giornale, quasi elzeviri, i famigerati elzeviri: brani di prosa d’arte, esercizi di calligrafia. Ma quelli di Parise erano tutto fuorché pezzi di bravura da terza pagina. Caso mai, erano haiku in forma di racconto. Cominciò a scriverli sul Corriere nel 1971.

Diventarono un libro, poi un altro. Alla fine, una raccolta in un solo, eccezionale volume. L’idea gli venne un giorno che incontrò un ragazzino con un sillabario in mano. «Cosa hai lì? Fammi vedere», disse Parise. Aveva a volte modi da teppista, e gli piaceva averli, ma non in quella occasione. Lo chiese con dolcezza. Aprì il sillabario e lesse una frase: «L’erba è verde». Fu la rivelazione. Gli bastò per capire tutto: «Gli uomini d’oggi secondo me hanno più bisogno di sentimenti che di ideologie».

Erano gli anni Settanta e le ideologie impazzavano e impazzivano. Quando cominciarono a uscire i sillabari sul Corriere, molti suoi colleghi attaccarono Parise dicendo che era diventato reazionario. Era la conferma, se ce ne fosse stato bisogno, che Parise non aveva colleghi. Era un unicum.

Ecco, un sentimento italiano senza nome lo provo proprio davanti ai Sillabari, davanti a Parise, a come era fatto.

Lunedì

Volevo cercare altre cose che mi fanno provare il sentimento italiano senza nome di Parise, ma ho dovuto lasciar perdere per un contrattempo: la stampante nuova, comprata tre giorni fa, non stampa. I fogli escono bianchi, immacolati. La devo prendere per una metafora del mio lavoro: quello che scrivo non lascia tracce come se fosse scritto con acqua fresca e non inchiostro?

Sostituisco le cartucce, cambio la configurazione, scarico una app apposita. Inutile. Non mi resta che chiamare il mio amico José, tecnico peruviano di computer e affini. Devo stampare i documenti per la dichiarazione dei redditi e il tempo stringe. Certo, sarebbe divertente presentare una dichiarazione dei redditi in bianco.

Martedì

Per il centenario della nascita, Sellerio ha ripubblicato La relazione di Andrea Camilleri. È un romanzo di quelli detti “italiani” per distinguerli dai romanzi storici e dai montalbaniani. Nella prefazione alla nuova edizione Antonio Franchini dice molte cose vere e giuste.

Che per questo romanzo Camilleri si ispirò alla storia di Giorgio Ambrosoli, l’avvocato ammazzato nell’affaire Sindona a cui Corrado Stajano dedicò il grande libro Un eroe borghese. Che in questa serie di romanzi (moraviani, teatrali, li definisce Franchini) Camilleri usa un italiano castigato, standard, in abito di grisaglia, lontanissimo dalle estrosità del vigàtese, per narrare «una specie di Italian decadence senza speranza, forse anche perché qui non c’è un eroe come Salvo Montalbano».

Che «nei romanzi italiani di Camilleri la donna non ha l’erotismo solare, anche se talvolta pericoloso, che caratterizza le numerose figure femminili della serie di Montalbano o dei romanzi storici, ed è invece, sempre, una presenza tanto seducente quanto distruttiva. Creatura, all’apparenza, pronta a offrirsi, è in realtà strumento di morte».

So che suona paradossale, ma più passa il tempo, più penso che Camilleri, nonostante il successo planetario, sia stato uno scrittore enormemente sottovalutato.

P.S. Ma che ne pensava Camilleri di Elena Ferrante? Non ne abbiamo mai parlato. Indagherò.

È passato José, il maestro peruviano dei computer. Appena entrato nel mio studio per sincerarsi delle condizioni della stampante, ha visto la gigantografia di Vargas Llosa nella mia libreria e ha esclamato: «Mario! Ma qui era giovanissimo!».

Forse questo è un sentimento peruviano senza nome. E sarebbe stato bello se, sentendo José, la stampante avesse ripreso a stampare in onore di don Mario. Ma non è accaduto.

Mercoledì

Ho cercato in archivio cosa scrivevo dei romanzi italiani di Camilleri e ho trovato una piccola corrispondenza via sms relativa a un pezzo che scrissi su Un sabato, con gli amici.

Primo sms: «Oggi dissento, don Antonio, l’ultimo di Camilleri è scritto con la lingua delle impiegate comunali del municipio di Carrapipi quando si sforzano di parlare in italiano. Con rispetto parlando. Vossabenedica, Pietrangelo Buttafuoco».
Secondo sms: «Eccellenza Buttafuoco, posso avere l’onore di ospitare il vostro parere nella mia rubrica? In generale, non ho mai capito bene quale è la vostra esatta posizione sul Maestro di Porto Empedocle. Sbaglio o, a riguardo, voi oscillate? Con i sensi della mia stima ecc. ecc., Antonio D’Orrico».

Terzo sms: «Del Maestro ho grande venerazione, specie per Birraio e per tutto l’umano raccolto dei libri non montalbaniani eccetto Macallé, degno degli Squali, ricordate?, i famosi fumetti porno da caserma. Il Montalbano mi piace solo in tivù. Ancora sabbenedica».

Quarto sms: «Vi seguo e non vi seguo. Ma, a proposito di fumetti più o meno porno, concetto che varia molto a seconda dei tempi, voi eravate per Kriminal o Satanik?».

Quinto sms: «Per Lando in verità. Molto terrone. E non per il Tromba. Tipico del Nord».

Sesto e ultimo sms: «Vi intendo appieno».

La conversazione risale al 2009. Posso dire che uno scambio di opinioni così entusiasmante, variegato e spregiudicato, non è nemmeno lontanamente immaginabile tra gli intellettuali di oggi?

Incuriosito, sono andato a cercare i fumetti proibiti delle edizioni Lo Squalo. Ho trovato le copertine di Sotto il costume tette, di Trappola bionda e di Il divano maledetto. In quest’ultima si vede una bionda dall’espressione terrorizzata, distesa sul sofà, il reggiseno slacciato e abbassato. Un uomo in piedi, vestito di tutto punto, con i capelli impomatati (acconciatura stile vecchio Warner Bentivegna), è chino sulla donna e tiene in mano un filo a cui è legata una tarantola che penzola pericolosamente sopra i capezzoli della malcapitata.

Fossi Buttafuoco, inaugurerei immediatamente una sezione Off-Biennale di Venezia (una specie di Off-Off-Broadway) dove farei esporre le tavole ingrandite dei gloriosi fumetti Squalo alla stregua dei teleri veneziani più prestigiosi.

Giovedì

Aspetto che l’Inter mi permetta di acquistare per anzianità di abbonato i biglietti per la finale Champions e aspetto che mi venga in mente qualcos’altro capace di ispirarmi il sentimento italiano senza nome di Parise. Intanto, sbrigo la posta arretrata.

Ho lanciato un concorso su un dialogo di The Mister, romanzo di E.L. James. Il dialogo è il seguente.

HEATHER (vedendo un pianoforte a mezza coda…): Suoni?

MAXIM: Sì.

HEATHER: Ecco perché hai mani tanto sapienti.

MAXIM: Tu suoni?

HEATHER: No, non sono mai andata oltre il flauto a scuola.

Il dialogo finisce qui, ma, secondo me, manca una battuta che Maxim non poteva non pronunciare. Ho chiesto ai lettori di indovinarla. Luca Artesi ha risposto: «Maxim dovrebbe dire: “Ecco perché hai bocca tanto sapiente”».

Complimenti caro Artesi, lei ha vinto. Gli sceneggiatori dei fumetti Squalo non avrebbero saputo fare di meglio.

P.S. Dubbio: ma E.L. James non ha messo apposta quella battuta lapalissiana per lasciare che i lettori se la immaginassero?

Venerdì

Forse per riscattarmi dello stile Squalo in cui sono caduto, leggo Il lungo addio di Chandler. A un certo punto, un cameriere dice a Marlowe: «Hijo de la flauta». E lui reagisce così: «Ho preso la porta e sono uscito, domandandomi in che modo un’espressione che significa “figlio di un flauto” potesse essere diventata un insulto in spagnolo. Non mi sono interrogato a lungo. Avevo tante altre questioni su cui arrovellarmi».

Il sentimento chandleriano dell’ironia in purezza assoluta.

Venerdì sera

La stampante ha ripreso a funzionare. Pagherò le tasse anche quest’anno. Dall’Inter nessuna nuova.

Per scrivere ad Antonio D’Orrico la mail è lettori@editorialedomani.it

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