A oltre un mese dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e il conseguente avvio del conflitto, il mondo dei media ha visto un nuovo, radicale stravolgimento di alcune delle proprie logiche costitutive. Soprattutto, l’intero sistema della comunicazione, tanto a livello globale quanto nei singoli contesti nazionali, si è trovato costretto a sperimentare un inedito e tragico passaggio di testimone tra due emergenze, da quella sanitaria non ancora esaurita a quella internazionale e geopolitica.

Come ha reagito il sistema televisivo italiano a questo improvviso cambio di passo? Come è nella natura stessa del mezzo, la televisione ritrova la sua funzione e centralità nei grandi momenti di crisi; la sua forza consiste non solo nell’immediatezza, ma principalmente nell’idea di quel flusso costante di immagini, parole e informazioni fruibile simultaneamente da una platea vasta, in quella che è una disarmata resistenza (o presunta tale) di fronte a un insieme di contenuti appositamente confezionato.

Interrompere Sherlock

Ecco, allora, che dal 24 febbraio abbiamo assistito a un grande classico dei momenti d’emergenza: lo stravolgimento dei palinsesti e degli appuntamenti, il riscatto dell’informazione in diretta, il ripescaggio di contenuti di magazzino, la notorietà repentina di esperti che ci diventano famigliari (il passaggio quasi senza soluzione di continuità dai virologi agli esperti di geopolitica e strategia militare è un fenomeno che ha caratterizzato l’intero panorama dei talk-show). E così, possiamo scorgere diverse strategie adottate dai singoli canali tv (e dalle piattaforme) per rispondere alla nuova emergenza, per distinguersi nel rischio concreto dell’indistinto.

A fiutare per prima una possibile precipitazione degli eventi era stata La7; già nella serata del 21 febbraio, tre giorni prima che la Russia sferrasse l’attacco decisivo all’Ucraina, il canale del gruppo Cairo aveva sospeso la programmazione dell’ultima puntata della seconda stagione di Sherlock (serie britannica della Bbc con all’attivo già diversi passaggi in Italia, anche in chiaro) per fare posto a uno speciale del TgLa7 seguito dal documentario Herzog incontra Gorbacev.

La mossa, se non particolarmente dirompente dal punto di vista degli ascolti, lasciava però intravedere una conferma e una direzione. La conferma consisteva nella capacità di La7 di scorgere per tempo l’opportunità di spezzare la routine del proprio palinsesto (specie in assenza di informazione) per imporre una logica quasi da canale all news che spesso ne esalta le peculiarità; la direzione intravista era quella di intraprendere una progressiva estensione dell’approfondimento in tempo reale dell’attualità lungo ogni spazio della giornata e della settimana.

Ripensare il palinsesto

Nei giorni in cui quelle di Putin erano ancora solamente minacce a cui pochi – almeno stando alla tipologia dell’offerta televisiva – parevano dare credito, La7 rispolverava un documento, l’intervista del regista austriaco all’ultimo leader sovietico, che il canale aveva già mandato in onda una prima volta nel settembre 2020 all’interno di uno speciale di Atlantide di Andrea Purgatori.

E come in quella occasione, La7 sceglie la via dello speciale giornalistico, questa volta con il direttore del telegiornale Enrico Mentana, la cornice simbolica e rassicurante dentro cui proporre un contenuto certamente di non facile e immediato accesso.

Appunto, la conferma di un metodo consolidato e l’antipasto di una presenza vieppiù costante del proprio volto di punta, del suo modello informativo e della sua compagnia di giro di lì ai giorni a venire. A guerra iniziata, anche il canale Nove (debole sul versante dell’informazione e dell’approfondimento) gioca la carta del contenuto in linea con gli eventi proponendo a distanza ravvicinata (il 5 e il 9 marzo in prime time) per due volte il documentario Putin – L’ultimo zar, documentario della Bbc che radiografa la personalità complessa dell’autocrate russo.

Maratone

Ancora più dettagliati i canali a pagamento: History, per esempio, propone già dal 6 marzo, nell’ambito del ciclo “History Now”, una miniserie dedicata al leader russo. Vladimir Putin è un documentario in più puntate che racconta la vita dell’uomo che sta cambiando i destini dell’umanità.

Bisogna attendere le 4 del mattino del 24 febbraio (ora italiana) per assistere a un inevitabile e massiccio ribaltamento dei palinsesti dei principali canali generalisti (e non) nazionali. Ed è di nuovo La7 a sparigliare le carte, proponendo un’edizione straordinaria del telegiornale già nel corso della mattinata, così come Raiuno che schiera la direttrice del tg Monica Maggioni sin dalle prime ore del mattino, oltre naturalmente a SkyTg24.

Sugli altri canali sono i tradizionali contenitori mattutini a occuparsi delle prime frammentarie notizie sugli avvenimenti dal fronte. Solamente intorno al mezzogiorno, Raitre e Retequattro abbozzano uno speciale giornalistico, peraltro con risultati differenti (se sul terzo canale, il flusso di programmi d’informazione e attualità premia la scelta, il canale del gruppo Mediaset, pure molto attivo sul fronte delle news e dell’informazione, “paga” una collocazione del proprio contenuto stretta tra Hazzard e Il segreto, per poi rifarsi nel pomeriggio con un lungo speciale di Controcorrente).

Quella degli “speciali” e delle “maratone” appare da subito una delle chiavi a vantaggio della televisione generalista; come già accaduto con i periodi più bui dell’emergenza pandemica, il mezzo televisivo riscopre il gusto di esaltare le proprie peculiarità nel flusso, nella capacità di aggregare simultaneamente un pubblico diversificato e disorientato.

Il prime time

Un’altra linea di frattura che caratterizza la trasformazione dei palinsesti in questa fase iniziale del conflitto è quella della reimpaginazione del prime time: per fare spazio a informazioni, dibattiti e inviati, è necessario annullare e far slittare i programmi annunciati.

La ragione, come spesso accade in questi casi, è duplice: non solo, come ovvio, assecondare il bisogno di informazione e conoscenza del telespettatore, ma anche evitare contenuti che, per taglio e tono, possano apparire clamorosamente distonici rispetto ai sentimenti prevalenti.

È un passaggio che appare evidente su Raiuno, dove saltano sia le puntate di Doc – Nelle tue mani (fiction di punta dell’ammiraglia), sia soprattutto Il cantante mascherato della serata successiva, quella di venerdì 25 febbraio, evidentemente ritenuto troppo scanzonato e poco in linea con la tragedia in corso, e sostituito non da approfondimenti giornalistici, ma da un’altra fiction, nello specifico una replica del sempreverde Il commissario Montalbano.

Il Grande fratello

Mentre Rai2 e Retequattro, già nella serata del 24, fanno slittare in seconda serata i programmi inizialmente previsti (il procedural Fbi e un film di 007), Canale 5 conferma il GF – Vip, peraltro vincendo ampiamente la serata in termini di ascolti.

Quello degli slittamenti è un processo che prosegue anche nelle settimane a venire, soprattutto sul versante del servizio pubblico: mercoledì 9 marzo, per esempio, dopo che il premier ucraino Zelensky ha iniziato dalla Gran Bretagna (in collegamento) il suo percorso di sensibilizzazione dei parlamenti europei e mentre arriva al culmine l’emergenza profughi, Raiuno gioca la carta dello speciale Porta a Porta di Bruno Vespa al posto del previsto film 18 regali (in prima visione) con Benedetta Porcaroli ed Edoardo Leo che slitta alla settimana successiva. Un fenomeno che possiamo immaginare riemergerà come un fiume carsico seguendo il corso degli eventi, assecondando le tensioni crescenti o i momenti (auspicabili) di tregua cui andremo incontro.

Nuovi volti

Non possiamo poi non sottolineare la capacità della tv di generare notorietà in volti e biografie pescati nel campo delle discipline e dei settori di volta in volta oggetto d’attenzione: ecco allora emergere figure come Dario Fabbri, curatore di Scenari di Domani, quasi a tempo pieno al fianco di Enrico Mentana negli speciali de La7, la giornalista Francesca Mannocchi, l’ex capitano di complemento dell’esercito Andrea Romoli, il generale Claudio Graziano, in una sorta di rimpasto dopo la sbornia di virologi e infettivologi.

C’è poi il “salotto istituzionale” di Che tempo che fa, che ha nel ministro Luigi Di Maio l’ospite fisso per il punto della situazione (come già lo fu il collega Speranza), l’anchorman che si riscopre “inviato di guerra” come Massimo Giletti, il docente universitario che contesta la “narrazione mainstream” Alessandro Orsini (e che la Berlinguer scrittura, anzi tenta di scritturare, per Cartabianca tra le polemiche generali), la vicepremier ucraina Iryna Vereschuk, ospite di programmi di casa nostra in attesa, chissà, di Zelensky stesso.

Un eroe mediatico

Già, Zelensky; da un punto di vista strettamente comunicativo, il premier ucraino è indiscusso eroe. Abilissimo sui social e nella dialettica, puntuale nel solleticare i riferimenti ideali e simbolici dei singoli paesi a cui si rivolge, gioca d’anticipo nel campo vasto della comunicazione e dell’arena mediatica, con incursioni volte a creare consenso generalizzato contro la pachidermica macchina russa.

Il risultato è, tra gli altri, il rinnovato interesse verso Servant of the people, la sit-com che lo ha reso popolare e issato alla guida del suo paese: Netflix ha deciso di riproporla (per il territorio statunitense), mentre il giorno 18 marzo La7 annuncia di aver acquisito i diritti per la trasmissione in Italia della serie.

C’è poco da ridere

E le piattaforme streaming? Un caso curioso ha riguardato Amazon Prime Video che proprio il 24 febbraio aveva in programma il “rilascio” della seconda stagione di Lol – Chi ride è fuori, lo show comico guidato da Fedez e Frank Matano.

Una coincidenza con il corso degli eventi che mette in risalto come anche il mondo dell’ “anytime, anywhere” sia influenzato dall’imprevisto. La piattaforma resta al passo proponendo agli abbonati The Putin Interviews, il documentario del 2017 in quattro episodi in cui il regista Oliver Stone intervista il leader russo.

E mentre su Netflix viene rilanciato Winter on fire, drammatico reportage sulle proteste di Kiev del 2015 (sul tema dei diritti civili), le principali piattaforme globali concordano nel ritirare i propri servizi dal territorio russo. Il conflitto della comunicazione è appena cominciato.

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