Gli strafighi del french touch che ha conquistato l’universo sconosciuto annunciano che non esisteranno più. Il video con cui danno la notizia si intitola “Daft Punk – Epilogue”, dura otto minuti e in poche ore ha avuto milioni di views.

È tratto dal loro film del 2006, Electrama, Festival di Cannes, mixed reviews, ma chissenefrega. Casco dorato e casco d’argento camminano in un deserto, con le loro tutine ubercool, nere, il logo dorato cucito sulla schiena. Uno dei due avanza più velocemente – come quelle coppie silenziose che non notano più che l’altro è rimasto indietro. Tutto romantik e traslucente, un immaginario da Tarkovskij virato neon. Casco argentato si ferma e si volta ad aspettare il compare.

Il suono è solo vento. Casco d’argento china il capo, con un gesto funebre; casco dorato si avvicina spedito. Casco d’argento solleva il capo, si guardano, poi si leva la tutina per scoprirne una seconda, attillata e nera; si volta. Sulla schiena ha due bottoni-interruttori da sci-fi di Serie B.

Casco d’oro schiaccia un bottone attivando un countdown. Il vento si è calmato ma continua ad essere l’unico suono, naturale (c’est genial!) ora cadenzato dal bip metronomico del countdown. Casco d’argento si allontana andando incontro al fatale destino del bip mortale, che non possiamo non pensare sarà il loro ultimo suono.

A meno 8 secondi l’inquadratura stringe sui passi di casco d’argento, il cui suono scrocchia sulla sabbia dura come in un film di Sergio Leone. È finita. Casco d’argento stringe l’ultimo coraggio nel suo pugno sintetico prima di disintegrarsi.

Esplode, e mi delude un po’ che la scena sia in slow-motion, ma si perdona tutto allo spettacolo, specialmente le scorciatoie. Boom. Casco d’argento è incenerito.  Polvere di stelle. Parte un riff di sinth, lo-fi, fichissimo. È la parte finale di Touch, da Random Access Memories. La polvere si è depositata quando appare il necrologio: due mani robotiche e la scritta 1993-2021.

Poi, l’immagine di un tramonto, stile dito di Dio, mentre il synth lo-fi si arricchisce degli archi da happy ending hollywoodiano e la voce dolce e crudele canta “Hold on/If love is the answer you’re home” – romantik, sempre. Casco dorato continua a camminare, minuscolo, verso il sole ormai imbrunito. E poi; a nero. Casco d’oro è vivo. Qualcosa vorrà pur dire. Forse niente.

Flashback

I Daft Punk hanno scelto una delle loro canzoni più romantik, per congedarsi. E ci sta. Anche perché quando si conobbero, i Dafts, che hanno in realtà dei nomi bellissimi, Guy-Manuel de Homem-Christo e Thomas Bangalter, iniziarono a suonare, insieme a un terzo che poi sarebbe finito nei Phoenix (sempre French Touch), si chiamavano Darlin’, dal titolo del pezzo dei beach Boys del 67; “Oh darlin’/I dream about you often my pretty darlin’”. Romantik!

Diventarono Daft Punk – dopo la dipartita del futuro Phoenix – quando lessero una stroncatura su Melody Maker, che definiva la loro musica “dafty punk thrash”. Al posto che incazzarsi pensarono di aver trovato un nome. Scorciatoia.

Nome pazzesco, pronto per sotterrare le chitarre e inventare il french touch – insieme ad altri, Saint Germain, i Phoenix, Cassius e Etienne De Crecy. La competizione non era affatto al ribasso, anzi. Il french touch è stato per anni la quintessenza del fighetto intello-chic ma consapevole, elegante ma divertente, lucidato ma, da qualche parte, autentico (parolaccia, quando si parla di musica, ma mi viene così, visto da oggi). I Daft Punk erano e sono i più fighi tra i fighi.

I supernuovi

L’estetica retromaniaca dei daft Punk non ha solo a che fare con l’heritage disco ma anche con la trasformazione dei figli illegittimi del mondo Kraftwerk in qualcosa che tutti potessero ascoltare. E soprattutto ballare. Le divise, i visual, e soprattutto l’ossessività delle tessiture musicali; erano anche tedeschi, i Dafts, insieme ai progetti elettroteutonici tardi anni Novanta/anni zero, che però in quanto teutonici, erano seri.

Loro no, non erano solo seri; hanno remixato estetiche diverse, luccicanti e supernuove, hanno collaborato con i più fighi, ci hanno ridato una promessa spaziale sixites ma sexy, un universo macchinico ma umanissimo e divertente – fun, just have fun, a essere fighi ci pensiamo noi. Fighissimi, come l’incredibile video di Da Funk, di Spike Jonze.

Un uomo con la faccia da cane, e una gamba ingessata che gira per una Manhattan da film indie Settanta, con un ghetto blaster che spara la canzone e una solitudine da loser, nemmeno riconosciuto dalla ex-compagna di scuola o quel che era. Una tristezza infinita, una specie di patetica boheme per il terzo millennio.

Il pezzo, era semplicemente una bomba, con un riff crudo e perfetto. E questa è la loro cifra: manufatti multipurpose e una incredibile devozione all’approssimarsi del vincente blitzkrieg del linguaggio visivo su quello del suono.

I fighissimi

Sono diventati popolari prestissimo e ci sono rimasti nel pop, facendo sempre e solo cose fighe. Le collaborazioni con Gondry, Spike Jonze o la straordinaria coreografa francese Bianca Li, autrice del balletto con le tutine assortite di Around the world (la canzone – ossessiva, ancora – con un solo verso. Regia di Gondry, appunto) sono consustanziali ai Daft Punk; non il corredo, ma l’essenza.

I Daft Punk con la propria arte hanno sconfinato nel mondo della dance, conquistandolo con strumenti inediti per quel mondo, raramente attento all’espressione visiva.

Maestri dell’unza punza fighetto e per questo più lontani dall’unza punza di quanto lo fosse Pavarotti, i Daft Punk sono un ibrido irripetibile, figlio di un periodo ricco di promesse e di idee geniali che hanno abitato il tramonto dell’industria musicale, azzeccando un mix impossibile tra retromodernismo e futuro impossibile, e, per questo, terribilmente divertente.

Come disse Monsieur Bangalter a Simon Reynolds, «Viaggiamo contromano in un’autostrada trafficata». Parlavano di Ram, un disco che, concordo con Reynolds, ha dentro di tutto: dalla new wave, a una specie di progressive e, ovviamente, alla disco Settanta. Ram: tempo, memoria, archivio, linguaggio macchina; in poche parole: noi.

Eppure, Bangalter dice che le macchine non possono fare musica buona. E che Ram ne è la assurda testimonianza. Andare contromano in autostrada e arrivare primi camminando, per di più vestiti molto bene. Non facile.

Flash forward

Casco d’oro che rimane vivo nel video dell’addio è l’ennesimo esempio della tattica elusiva dei Daft Punk; creare un brand visivo incredibilmente unico e riconoscibile a partire dalla cancellazione (punk?) dei loro volti.

Si sono mostrati molto di rado (meglio: quasi mai); hanno rilasciato tre interviste in croce e sono andati in TV meno di me. Utopici per definizione, futuro prossimo per esigenza e strumento di marketing, artisti geniali senza fronzoli eppure ricchissimi.

Non ci saranno altri Daft Punk, questo è certo. Esemplari in via di estinzione, meritevoli di futuri studi di etologia dello showbiz, lasciano come Platini, prima di diventare noiosi o meno belli, perché questa sarebbe la resa.

I Daft Punk sono semplicemente definibili come fighi – insieme ai loro registi, coreografe, colori, suoni e ricordi dal futuro, giovani francesi che camminano a un tot da terra, con cappotti senza bottoni e visi che fuggono via insieme al desiderio di essere loro. Che la Ram vi archivi con dolcezza, pronti a essere ripescati, dear Dafts. Vi dobbiamo molto, continuerete ad andare contromano, percorrendo chissà quali strade. E troverete altri modi per farci divertire.

© Riproduzione riservata