È uscito in questi giorni per Einaudi l’ultimo libro di Ta-Nehisi Coates, Il danzatore dell’acqua, primo romanzo dello scrittore afroamericano conosciuto negli Stati Uniti soprattutto per i suoi scritti autobiografici sul razzismo di sistema e recentemente anche per alcuni episodi del fumetto Marvel Black Panther.

In questi giorni poi Coates cura il numero speciale di settembre di Vanity Fair dedicato a Breonna Taylor, la ragazza del Kentucky uccisa a marzo dalla polizia, e festeggia le cento settimane in classifica della sua autobiografia, Tra me e il mondo (Codice Edizioni). Da questo bestseller è stata tratta anche una serie televisiva in uscita negli Stati Uniti in autunno che vede tra i protagonisti Oprah Winfrey. Proprio Oprah, nel 2019, aveva inserito Il danzatore dell’acqua nei libri del suo famoso book club definendo il romanzo “uno dei cinque libri più belli della mia vita».

Il potere della memoria

Nel romanzo, Coates coniuga la narrazione storica con il genere fantasy. Il racconto è ambientato in Virginia in «un periodo della nostra storia in cui la cosa più preziosa che, in tutta l’America, un uomo potesse possedere era un altro uomo». Hiram Walker è schiavo in una piantagione di tabacco chiamata ironicamente Lockless, senza serratura.

Hiram, oltre ad avere una memoria straordinaria, possiede il potere della conduzione, può trasportare sé stesso e gli altri a molte miglia di distanza. Prima di imparare a usarlo però, il protagonista diventerà agente della Ferrovia Sotterranea, una organizzazione storicamente esistita che aiutava gli schiavi in fuga verso gli stati liberi del Nord e verso il Canada.

Lavorando per la Sotterranea, Hiram incontra Harriet Tubman, uno dei personaggi storici più importanti nella lotta per l’abolizione della schiavitù. Harriet, che come Hiram possiede il potere, gli spiega come governarlo: «Il salto lo si fa grazie al potere del racconto. Un potere radicato nelle nostre storie, in tutti i nostri amori e tutte le nostre perdite. Tutti quei sentimenti vengono evocati e, grazie alla forza delle nostre reminiscenze, veniamo spostati». 

Il potere funziona solo a contatto con l’acqua ma per poterlo usare Hiram deve ricordare sua madre Rose di cui però non ha più memoria. Rose è stata venduta quando lui era ancora bambino dal proprietario della piantagione, il padre biologico di Hiram. Poiché la terra di Lockless non è più fertile, il padrone vende gli schiavi per pagare i suoi debiti.

«Un uomo professa il suo affetto per te e poi non si fa scrupoli a venderti», dice Hiram di suo padre. Più terribile della vita in schiavitù è il pensiero di essere venduti ad altri proprietari: «Quasi tutti vanno dove devono andare, lasciandosi alle spalle mogli piangenti, mariti distrutti e orfani». Hiram non solo viene separato da sua madre ma anche da Thena, una donna alla quale hanno venduto tutta la famiglia e che si prende cura di lui, e da Sophia di cui è innamorato.

La metafora

Prima di essere una storia d’amore e un romanzo d’avventura, il libro di Coates è una potente metafora del valore della memoria e del racconto. La memoria apre «una porta azzurra tra un mondo e l’atro» e «può piegare la terra come un panno». Il mondo a cui Coates si riferisce è il nostro. Attraverso il racconto entriamo in contatto con il mondo della schiavitù e, conservandolo nella memoria, riusciamo a salvare non solo chi lo ha abitato ma anche noi stessi. Nel racconto di Coates per condurre una persona alla libertà bisogna conoscere e raccontare la sua storia. Il racconto è un atto salvifico. È lo stesso Hiram a dirlo: «Il mio potere più grande stava nel raccontare». E così Coates, in uno dei passaggi più commoventi del libro, immagina che gli schiavi, che dalle navi negriere si gettavano in acqua per sfuggire alla schiavitù, non siano realmente morti ma abbiamo fatto ritorno in Africa attraverso il potere della conduzione. Il danzatore dell’acqua è stato accolto favorevolmente negli Stati Uniti anche se non è mancata qualche critica. Un recensore ha scritto che il libro migliore sul questo periodo storico non è di Coates ma di Colson Whitehead che con La ferrovia sotterranea (Edizioni Sur) vinse il Pulitzer nel 2017. Malgrado il romanzo di Coates sia meno avvincente e originale di quello di Whitehead, io credo che ci sia bisogno di molta letteratura sulla storia di quegli anni, soprattutto alla luce delle proteste degli ultimi mesi. Come diceva Frederick Douglass che Coates cita nell’epigrafe: «Il mio ruolo è stato raccontare la storia dello schiavo. Per la storia del padrone non sono mai mancati i narratori».

La condizione degli afroamericani

Sono molti anni che leggo i libri di Coates. Alcuni dei suoi scritti li ho anche assegnati ai miei studenti all’università. Cominciai con A case for reparations, pubblicato sul The Atlantic nel 2014, in cui Coates chiedeva una riparazione monetaria per gli afroamericani simile a quella pagata dalla Germania a Israele. Secondo lo scrittore la condizione di povertà e di discriminazione in cui i neri vivono oggi è il risultato di 250 anni di schiavitù, 90 anni di leggi Jim Crow sulla segregazione razziale, e decenni di politiche abitative razziste che, a partire dagli anni Quaranta, esclusero sistematicamente gli afroamericani dai mutui assicurati del governo. Grazie a questi mutui, i bianchi riuscirono a diventare classe media – la casa è solitamente il bene più importante che una persona possa acquistare nel corso della vita, una ricchezza che viene poi lasciata in eredità alle generazioni future. I neri, invece, furono costretti ad acquistare case a condizioni peggiori: se avessero saltato una sola rata del mutuo avrebbero perso tutte le precedenti e anche la caparra. In questo modo centinaia di migliaia di afroamericani persero tutti i loro risparmi e si ritrovarono a vivere nei ghetti.

Nel giugno del 2019, Coates presentò al Congresso degli Stati Uniti la sua tesi a sostegno delle riparazioni monetarie per gli afroamericani.

Il capo dei senatori repubblicani al Senato, Mitch McConnell, gli rispose allora che gli americani di oggi non possono essere ritenuti responsabili per cose accadute più di cento anni fa. Certo, il senatore McConnell (classe 1942) non era ancora nato ai tempi della schiavitù, ma era sicuramente nato quando il suo stato di provenienza, l’Alabama, continuava indisturbato a praticare la cleptocrazia: derubare i neri della loro terra e del diritto di voto (fino agli anni Sessanta, i neri dovevano pagare una tassa se volevano votare). Ciò che è accaduto in passato ha gravi ripercussioni anche oggi: i neri possiedono solo un decimo della ricchezza posseduta dai bianchi, le donne afroamericane muoiono di parto quattro volte di più di quelle bianche (a causa della povertà e per la mancanza di una assicurazione sanitaria) e l’80 percento dei detenuti nelle prigioni americane è nero e ispanico.

Tra George Floyd e Breonna

Le due memoir di Coates, Una lotta meravigliosa (Codice Edizioni) e Tra me e il mondo, raccontano attraverso l’esperienza personale il razzismo di sistema di cui gli afroamericani sono vittime. Nella prima, Coates descrive la sua infanzia difficile a Baltimora e il suo rapporto con il padre, un nazionalista nero, che il Coates bambino venerava come un profeta. Philip Roth, che prima di morire lesse tutte le opere di Coates, considerava questo il libro più riuscito dello scrittore. In Tra me e il mondo, invece, Coates immagina di scrivere una lettera a suo figlio adolescente dopo che l’agente di polizia responsabile per la morte del giovane Micheal Brown non viene incriminato. La scelta della lettera al figlio non è casuale. Anche James Baldwin, a cui Coates si ispira, scrisse nel 1963 una lettera a suo nipote in La prossima volta il fuoco (Fandango Libri) forse il saggio più importante sulla condizione degli afroamericani. Quello di Coates è un libro sul corpo dei neri, sulla loro vulnerabilità, e sulla violenza della polizia. Coates dice al figlio che la polizia americana è stata investita del potere di distruggere il corpo dei neri. È un Coates molto pessimista quello di Tra me e il mondo. Crede che le proteste per la morte di Micheal Brown non cambieranno nulla. Definisce il Sogno Americano una bugia raccontata dai bianchi – dagli storici, dagli scrittori, dalle storie di avventura, dai film di Hollywood – a spese dei neri, che dal Sogno sono sistematicamente esclusi.

È lo stesso pessimismo che si ritrova in Otto anni al potere. Una tragedia americana (Bompiani), una raccolta dei suoi scritti pubblicati da The Atlantic tra il 2008 e il 2016. Il libro include, oltre all’articolo sulle riparazioni monetarie, anche scritti sull’incarcerazione di massa e sulla presidenza Obama, Il mio presidente era nero.

Il movimento Black Lives Matter

L’ultimo Coates invece è quello del numero speciale di Vanity Fair dedicato a Breonna Taylor.

Qui mi sembra che lo scrittore adotti l’approccio di Svetlana Aleksievič in Preghiera per Chernobyl (Edizioni e/o). Lascia infatti che sia la madre di Breonna a raccontare la storia della figlia. Una storia che inizia una notte di marzo, pochi mesi prima della morte di George Floyd, quando la polizia fa irruzione in casa di Breonna e la uccide nel sonno a soli 26 anni. È di questi giorni la notizia che l’agente che le ha sparato non è stato incriminato per omicidio.

Nello stesso numero di Vanity Fair, Coates scrive anche un editoriale sulla morte di Floyd e sulle proteste. «Un uomo crea un mostro per giustificare la sua brutalità», scrive Coates «solo per scoprire alla fine che il mostro è dentro di lui». Ma lo scrittore oggi sembra aver ritrovato la speranza. La maggioranza degli americani ora sostiene il movimento Black Lives Matter (Blm). «Votare alle prossime elezioni è essenziale ma non è abbastanza per cambiare il sistema. Bisogna continuare con la protesta. La domanda non è se i manifestanti andranno a votare ma se chi vota continuerà a protestare».

E mentre finisco di scrivere questo articolo, a New York scende la sera, e come ogni sera arrivano i manifestanti di Blm. Sento i tamburi e i cori che salgono dalla strada, il nome di Breonna invocato più volte. Sono meno numerosi di qualche mese fa ma non per questo meno determinati. In fondo anche la protesta è un racconto, un racconto corale. E come dice Coates ne Il danzatore dell’acqua, solo il racconto ha il potere di salvarci.

© Riproduzione riservata