Bisogna nutrire non poca fiducia nell’umanità e nello specifico in quella fetta che abita oggi l’Occidente e in prima battuta l’Italia per scrivere un romanzo come I figli dell’istante (Rizzoli).

Un romanzo in cui Edoardo Albinati mette al centro l’idea di azione quale gesto, impulso e movimento di un paese che si credeva in passato ancora capace di determinare e plasmare gli eventi. Un’illusione a tratti colpevole e a tratti ingenua che Albinati indaga in profondità rivelandone la retorica che ha saputo solo provocare una senso di subalternità e di reazione.

L’azione dunque come elemento centrale, ma in quanto elemento d’illusione, parte mancante di un paese che da sempre si considera vittima degli eventi e che invece di agire, reagisce. Facile dunque citare T.S. Eliot: «Fra l’idea e la realtà, fra il movimento e l’atto, cade l’ombra», perché in fondo è in questa tragica alternanza tra pensiero e incanto e quindi tra disincanto e vacuità che si muovono i personaggi di Albinati.

Un discorso romanzesco che è frutto di un’elaborazione lunghissima che riporta direttamente a La scuola cattolica (Rizzoli, Premio Strega 2016), quasi che quel romanzo rappresentasse nella poetica di Albinati una liberazione, ma anche un obbligo da non tradire.

Una traccia che inevitabilmente s’impone e dentro alla quale l’autore può ripercorrere un tempo e un mondo che riportano inevitabilmente a un presente più immutabile e a un futuro meno desiderabile di quanto può essere invece il passato che si rivela così denso di eventi potenzialmente da ricostruire e rielaborare.

Edoardo Albinati si mette così al fianco dei suoi lettori – non come un narratore onnisciente, ma più che altro onnipresente, a mostrare un’ossessione umanissima e disperata rispetto a un tempo che fugge e sfugge. Siamo con l’autore così come davanti a uno specchio che offre del presente solo le rughe e del passato invece straordinari indizi di una gioia e di un desiderio mai sopiti del tutto.

Il laboratorio Albinati

I figli dell’istante rappresenta l’ultimo elemento di un laboratorio narrativo dal titolo guida Amore e ragione che Edoardo Albinati ha inaugurato nel 2019 con Cuori fanatici (Rizzoli), seguito poi da Desideri deviati (Rizzoli, 2020). Un’idea letteraria forte, ma mai ottusamente rigida e che non ha alcun pari nella letteratura italiana contemporanea.

Qui infatti la struttura non si muove nella forma di una saga o di un ciclo tanto efficaci a livello popolare e ancora di più spesso nella loro traduzione cinematografica o televisiva come è avvenuto per L’amica geniale di Elena Ferrante e per M di Antonio Scurati.

Amore e ragione vive totalmente all’interno di uno schema biologico e letterario che cresce e muta come una vegetazione selvatica che si nutre di luce e spazio senza seguire alcun obbligo strettamente narrativo.

Nella letteratura di Edoardo Albinati non esistono schemi, ma mappe e appunti che seguono il discorso tentando di rielaborare la natura senza alcuna pretesa di anticiparla o delimitarla. Un movimento che definisce sia l’estrema l’umiltà di uno scrittore che non pretende di avere una saggezza da imporre o una sapienza con cui sovrastare e spiegare, ma anche l’ambizione di uno sguardo che non pone limiti alla propria capacità di cogliere l’istante.

Lo sviluppo del romanzo si anima così in funzione di un discorso letterario che vive e non racconta semplicemente il passato come una storia data e chiusa. I figli dell’istante non sono il racconto di uno spaccato degli anni Ottanta con all’interno alcuni personaggi che seguendo le logiche storiche e sociali devono apparire credibili per quello che furono quegli anni con i loro fatti, scelte e mode.

Ma è un romanzo che capovolge gli schemi imponendo una visione assolutamente contemporanea di una storia che ha una credibilità sì nel suo istante passato, ma solo perché è riproposto in un altro ugualmente e potente istante, quello del presente.

Due momenti, due attimi di essere e di stare che solo apparentemente appaiono simili, e su cui Albinati agisce mostrandone le differenze e un’ostilità di senso e di fondo che hanno segnano fortemente il nostro così deludente presente.

La storia

All’interno di questa apparente similitudine lavora dunque la scrittura di Albinati, mostrando come si sia sviluppata nella storia d’Italia e nella mente degli italiani stessi una frattura irriducibile che oppone quel tempo all’oggi, il passato alla contemporaneità. Una stretta che obbliga chiunque in una morsa dentro alla quale ognuno vive la propria inevitabile sconfitta con un dolore molti versi inspiegabile e indicibile.

I figli dell’istante si apre con un lungo capitolo di contestualizzazione storica e politica. Un varco che Albinati dischiude tra i lettori e i fatti romanzeschi che si accinge a raccontare come se volesse dichiarare prima di ogni altra cosa, non tanto il luogo dell’azione, ma il contesto in cui chi scrive è oggi immerso e in qualche modo è costretto. Uno stato dell’anima che viene dichiarato ed esplicitato prima di un’immersione che facilmente lascerà senza fiato.

Viviamo infatti in una tale disfatta sociale e politica che solo l’invadenza delle nostre singole bolle, rende vagamente accettabile, ma che non può che influire sul senso di una storia che vive sì ed esplicitamente negli anni Ottanta, ma che segue inevitabilmente la natura imposta da un Paese in annoiato disfacimento.

Scrivere quaranta anni dopo degli anni Ottanta ha addirittura il sapore di un’intuizione dalla natura kabbalistica che indubbiamente si fa forza di una necessità strettamente legata al senso dell’esistere e del fare.

Edoardo Albinati va oltre il tempo indagato nelle cronache in cui la politica e la società trovarono il loro termine ultimo e che produsse quella mutazione che sembra oggi riportarci, come in un tragico quanto patetico gioco dell’oca, all’inizio di un secolo quale versione riciclata del peggiore Novecento.

I personaggi

Esplora il carattere di un’umanità ancora allegramente confusa, individua le ferite e le fratture nella loro disperata e impossibile ricomposizione. Al centro il giovane Nico Quell che in un tentativo di estrema unità palesa solamente la propria stessa fragilità. Albinati indaga, seppure e miniaturizza con un movimento di levigazione ossessiva dei personaggi e della lingua.

Una cura che sembra però avere come obiettivo quello di portare definitivamente a un’esplosione. Come a mettere in pagina proprio l’epica esplosione di Zabriskie Point in cui ora si rifrangono sotto molteplici punti di vista lo stile letterario del Novecento italiano e la sua borghesia, Roma come paesotto e capitale di uno Stato in disequilibrio permanente.

I figli dell’istante si muove con una finta indolenza che detona improvvisamente mostrando tutta la nevrosi non più controllabile di un Novecento estenuato, ma quasi liberato nel poter vivere in un tempo inspiegabile e in rapida caduta libera.

Una perdita di gravità sia fisica che intellettuale, una liberazione da noi stessi prima ancora che dal nostro tempo. L’istante come un capogiro le cui conseguenze ancora appaiono ignote.

© Riproduzione riservata