Anche l’attuale governo ha deciso di non riformare la governance della Rai? Nominare il nuovo consiglio d’amministrazione non significa di per sé non poter intervenire con una legge di riforma entro la fine della legislatura, ma rende al momento molto aleatoria questa prospettiva. In ogni caso avremo fino al 2024 un nuovo Cda Rai che opererà con le attuali regole.

Del tema si parlava ormai molto poco, poi la presentazione dei curricula per il nuovo Cda e alcuni casi sollevati in Commissione vigilanza, hanno riaperto un dibattito che però al momento pare molto rituale. Un celebre film, Il giorno della marmotta, in cui tutti i giorni i protagonisti ripetono le stesse azioni, può raffigurare lo stato delle cose in Rai; si è così accumulato negli anni un grande pregresso, i cui nodi gradualmente si sommano e vengono al pettine, ma in maniera troppo simile a epoche precedenti. Ne cito solo alcuni, in gran parte evidenziati anche in un documento delle categorie della comunicazione di Cgil, Cisl e Uil.

Dopo i pronunciamenti europei legati al caso Mediaset-Vivendi dovrebbero essere rapidamente approvate nuove regole; la legge Gasparri era arretrata e sbagliata già quando è nata, da allora, si è susseguito un tumultuoso sviluppo delle tecnologie e dei settori, ma dal punto di vista legislativo, restiamo ancora fermi all’epoca analogica. Per definire questi nuovi assetti occorrerebbe decidere in premessa se questa nuova normativa di sistema deve essere basata su un solo riferimento complessivo e generale o se ancora per un lasso di tempo, anche per i diversi settori, vista la scarsa dimensione e capitalizzazione delle imprese italiane, sia pubbliche sia private, nella competizione globale.

Una nuova rete unica a banda larga è necessaria ai processi digitalizzazione del paese ma, sia in questo caso sia, a maggior ragione, se si dovesse ripiegare sul permanere di più reti come ultimamente viene ipotizzato, anche le emittenti tv saranno della partita. Va deciso che ruolo intende svolgere la Rai e in particolare Rai Way dal punto di vista tecnologico, ma soprattutto per agevolare l’alfabetizzazione digitale, uno dei problemi fondamentali per garantire il diritto di accesso delle persone.

Servizio pubblico universale

Che futuro si prospetta per il servizio pubblico e più in generale per l’informazione, la cultura e l’intrattenimento, in una realtà segnata dalla crisi pandemica e dalle sue conseguenze che stanno producendo una profonda trasformazione nelle persone e nel loro modo di pensare, sulla base delle mutate condizioni materiali, dell’aumento dello stress, della solitudine e delle paure, con un incremento dell’insofferenza e dell’aggressività di cui troviamo riscontro nelle nuove forme di negazionismo, complottismo e razzismo. L’accesso a uno sterminato numero di informazioni, a volte proposte freddamente o peggio, a volte utilizzate per raccontare una visione di parte come realtà dei fatti, da solo non risolve il problema. Occorre pluralismo, confronto, approfondimento, merito, inclusione, disponibilità; questo è un compito di tutti ma in primo luogo della Rai.

Un ulteriore aspetto del concetto di servizio universale prima richiamato, che superi le barriere di condizione culturale, oltre a quelle economiche, di età, collocazione geografica, ecc.

La domanda da cui partire e che non riguarda solo l’Italia è: esiste ancora uno spazio non residuale per i servizi pubblici in Europa? Sarà possibile solo in un quadro nazionale o anche attraverso sinergie e coordinamenti europei? Gran parte degli attuali servizi pubblici sono infatti già oggi troppo piccoli, così come molti privati che però hanno iniziato un processo di consorzio, e a volte di fusione, tra di loro.

Slegati dalla politica

Un altro aspetto di sistema fondamentale, che riguardano anche la Rai e il suo futuro, è quello delle dotazioni tecnologiche, oggi arretrate, e il rapporto con la quantità di investimenti che per le dimensioni necessarie non possono essere basati solo su risparmi di costo, come in gran parte previsto negli ultimi piani industriali.

La Rai è inoltre una delle poche emittenti pubbliche in Europa che ancora prevede la proprietà da parte del ministero dell’Economia. È ora di decidere una svolta verso l’affidamento della proprietà a una Fondazione (esistono numerosi disegni di legge), o comunque la trasformazione dell’azienda secondo un sistema duale che separi indirizzo e diretta gestione, con la conseguente riforma dei criteri di nomina e del ruolo di Cda, presidente e amministratore delegato.

La riforma del 2015 non solo non ha svincolato l’azienda da un rapporto spurio con la politica ma, se possibile, l’ha legata ancora di più direttamente ai governi.

Trasformazioni necessarie

Va definitivamente risolto il tema del canone, non solo per quanto riguarda la sua quantità e certezza pluriennale (è attualmente uno dei più bassi in Europa e contemporaneamen-

te considerato alto dai cittadini), ma soprattutto perché, essendo lo strumento di finanziamento fondamentale, non può essere utilizzato né a scopo di consenso né per intromettersi nella diretta gestione aziendale.

Ci sono poi tanti altri punti specifici da troppo tempo in sospeso a partire da: archivi/teche, on demand o accesso libero, modalità multipiattaforma, sedi regionali e sedi di produzione, rapporto con l’indotto e molti altri. Di grande importanza è anche il tema dell’organizzazione aziendale. Trasformare l’attuale meccanismo strutturato per reti e/o per tipo di media in organizzazione per generi, è un’idea non nuova ma efficace. La Rai ha già poche risorse, continuare a segmentarle in una competizione interna sarebbe deleterio. Il problema è che dopo che questa decisione è stata annunciata, il principale atto concreto è stato l’aumento delle direzioni.

La più grande azienda culturale

Infine, il tema “lavoro”. La Rai occupa migliaia di persone e il rinnovo del contratto è un diritto da pretendere; sviluppa un indotto molto ampio con regole spesso incerte se non sbagliate; è ancora troppo alto il livello di precarietà; in Rai sono presenti ottime professionalità che lavorano con passione e competenza ma l’occupazione ormai si addensa in una fascia di età elevata, con pochi giovani e nativi digitali, tema che non può essere legato solo a risparmio sul personale attualmente esistente o a incentivi all’esodo.

Occorre fare tutto subito? No, ma non si può non fare niente e, una volta tanto, la direzione dovrebbe essere chiara e partecipata. Sono necessari una prospettiva e un metodo nuovi, servono verifiche fra le scelte e la loro effettiva esecuzione e tutto questo conduce a un altro nodo che dovrà essere sciolto: gli attuali dualismi fra Agcom e la Commissione parlamentare di vigilanza sul servizio pubblico.

Quando si affronta il tema Rai si afferma sempre, a ragione, che si tratta della più grande azienda culturale italiana. Ma non è una eredità scontata, per continuare a esserlo deve essere garantita la sua missione sociale e culturale attraverso la rapida risoluzione di questi problemi.

 

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