Il lavoro di essere una pop star. La millennial Taylor Swift

Taylor Swift è una millennial. Fare previsioni sul suo nuovo album, The Life of a Showgirl in uscita il 3 ottobre, è un esercizio futile. Ma per dire qualcosa si può partire da questo dato. Taylor Swift è una millennial: ne rivendica le caratteristiche che i giovani d’oggi chiamerebbero “cringe” (l’uso smodato di emoji), ne incarna gli aspetti irritanti per l’immaginario collettivo (“Taylor Swift” e “pumpkin spice latte” è un’associazione mentale tanto intuitiva quanto illuminante). Taylor Swift è una millennial e in quanto millennial è ossessionata dal suo lavoro. Ovviamente non la si può includere nella lettura generazionale dell’ansia lavorativa dei suoi coetanei, che stavano diventando adulti durante la crisi del 2008. Ma resta il fatto che il presentarsi come una persona che si sforza al massimo in tutto quello che fa è uno dei tratti che probabilmente caratterizzano il suo appeal per il pubblico, come spiega bene l’autrice americana B.D. McClay. Allo stesso modo, è un dato di fatto che nella grandissima autofiction musicale di cui è maestra, il rapporto con la sua fama, con la scrittura, con i fan (in una parola: con il suo lavoro) è un elemento cardine. Lavorare (non) stanca The Life of a Showgirl si preannuncia come il terzo album di fila in cui quello che fa viene sviscerato. L’ambizione è uno dei temi centrali in Midnights: attraversa le tensioni relazioni in canzoni come Lavander Haze e soprattutto Midnight Rain («lui voleva una sposa/io mi stavo facendo un nome/inseguendo quella fama»). In Sweet Nothing uno dei temi è la stanchezza per gli «industry disruptors and soul deconstructors», i rivoluzionari del settore e distruttori dell’anima che fanno sentire «too soft for all of it», «troppo deboli per tutto questo». The Tortured Poets Department pure è attraversato dallo stesso tema: nell’idea di cosa significa per lei la scrittura in The Manuscript, nell’ansia su cosa sarà il suo futuro in Clara Bow (in cui immagina una futura generazione di popstar che verranno paragonate a lei) e nel racconto di cosa significa esibirsi in uno spettacolo lungo e faticoso (come è stato l’Eras Tour, in corso nel momento dell’uscita del disco) con il “cuore spezzato” in I Can Do It With a Broken Heart. Proprio quest’ultima canzone, nella sua versione live anticipava a livello di costumi l’estetica da vecchia Hollywood della showgirl che ora caratterizza l’album. E si concludeva con l’avvertimento «try and come for my job», «provateci solo a rubarmi il lavoro». Nel presentare il nuovo disco, sul podcast del suo fidanzato Travis Kelce, Swift ha sottolineato di averci lavorato mentre suonava in giro per l’Europa, di averlo scritto ispirata dalle esperienze di quello che è stato l’Eras Tour e che la sua routine era quella di suonare in alcune città per qualche giorno e poi di volare in Svezia per il resto della settimana a lavorare all’album insieme a Max Martin e Shellback. «Tutto quello che faccio è provarci, provarci, provarci» cantava all’epoca di Folklore in Mirrorball, e forse il messaggio che vuole dare continua a essere quello. Vorrei essere una swiftie, ma non capisco le fandom Una pop star per la Gen Z Swift è tra l’altro consapevole ormai del fatto che ogni suo “tentativo” porta con sé profitti enormi: non c’è incentivo a fermarsi se ogni cosa funziona. Così l’Eras Tour si è trasformato in un film, prima al cinema poi su Disney+, in un libro, in un video musicale (prove e behind the scenes del concerto compaiono nella clip di I Can Do It With a Broken Heart, secondo e ultimo singolo da The Tortured Poets Department) e adesso, almeno in una certa misura, in un album. Taylor Swift comunque non è sola. Questo rapporto con la fama, con l’arte, con il pubblico (in una parola sempre: con il lavoro) è anche elemento di riflessione di altre artiste. Per citarne una, Florence Welch di Florence + The Machine, già in Dance Fever e forse anche in quello che uscirà a fine ottobre, Everybody Scream, che in parte sarebbe stato ispirato anche dall’esperienza della grave emergenza di salute che ha attraversato mentre era in tournée per Dance Fever. Quale sarà la strada che prenderà la successiva generazione di pop star è ancora tutto da vedere. Ironicamente ci si può chiedere se rispecchieranno quelle differenze che si vedono tra millennial e Gen Z nel resto dei posti di lavoro, in cui i più giovani sono più decisi nell’ottenere un equilibrio con tempo libero e vita privata. Ma in realtà è un tema che almeno per un’artista emergente è stato esplorato: l’anno scorso, quando è diventata improvvisamente famosa Chappell Roan (classe 1998) ha fatto molto discutere dopo uno sfogo in cui si lamentava degli approcci troppo insistenti dei suoi fan e dopo aver cancellato un paio di concerti perché la pressione della nuova fama era diventata troppa. Roan ha gestito la sua scalata nelle classifiche – arrivata a diversi mesi dall’uscita del suo album The Rise and Fall of a Midwest Princess e con la hit Good Luck, Babe – in maniera molto diversa dalla sua quasi coetanea Sabrina Carpenter, che è tra l’altro l’unico featuring che compare in The Life of a Showgirl. E, a differenza di Carpenter (che è già tornata con Man’s Best Friend e che comunque viene dalla scuola Disney e prima di dominare l’estate scorsa con Espresso aveva all’attivo già cinque album), sta prendendo tempo prima di tornare a scrivere musica. Dall’estate scorsa, Roan ha fatto uscire due singoli e adesso sta finendo una serie di concerti per cui ha scelto stadi di medie dimensioni, quando probabilmente avrebbe potuto provare a mandare in sold out arene più grandi. Del resto, c’è spazio per chi ha vuole aspettare: a saturare il mercato di chi mostra di provarci di continuo c’è già Taylor Swift. Che poeti troveremo in The Tortured Poets Department, il nuovo album di Taylor Swift?