Un’autentica lezione sul formarsi delle persuasioni collettive è contenuta nei 17 minuti su Di Bella nella serie di Ossi di seppia su Rai Play.

La vicenda, osservata con gli occhi di oggi, rende evidente il nesso fra drammi personali, democrazia post-partitica e mediatizzata, il moderno populismo dei Grillo e dei QAnon fondato, in primo luogo sulla necessità di “credere a qualcosa” (ben diverso dalla versione maternalistica di Evita Peron, o dalla banale accolta dei nemici dei negri e dei balzelli, radunati ai tempi loro da Poujade, Giannini e Lega).

Il metodo Di Bella

Di Bella, per chi non lo ricordi, era nel 2007 un anziano clinico bianco crinito che da anni curava i tumori con una mistura di vitamine e chemioterapici assortiti, assai costosi. Trattandosi di un metodo mai sottoposto al vaglio di altri sanitari, lo stato non rimborsava il becco di un quattrino e da qui nacque la rivolta, lo scontro fra scienziati e dibellini. I primi rappresentati dal governo, ministra della Sanità Rosy Bindi che fu ovviamente presa in contropiede da quelle piazze colme di cartelli («ridateci la speranza della cura») e l’opportunismo corrivo di talk show (Santoro, Vespa, Costanzo e, va da sé, Le Iene. Il Giletti de l’Arena era ancora da venire, né esistevano un Del Debbio o un Giordano), magistrati rubati alle scartoffie e politicanti che se vedono una folla non resistono e corrono alla testa.

Ogni luogo comune del narrare era bell’e apparecchiato: il vecchio saggio e detentore di un mistero, non dissimile rispetto ad altri maghi buoni stampati nelle menti con le saghe Disney style degli Hobbit e di Harry Potter; le anime perdute in mezzo al male del tumore, condannate a oscillare fra il sospetto, speranzoso e anti medicale, della diagnosi sbagliata e quello opposto, ma non contraddittorio, della super fiducia verso la scienza al punto da dare per scontata l’esistenza di un rimedio che solo interessi inconfessabili rendevano nascosto e irraggiungibile.

I vaffa dibellisti

Governare rispetto a questi umori è cosa improba per la politica che pensa di farsi forte col “progetto” e impegnata a risolvere le contraddizioni in nome di una qualche prospettiva di progresso, se di destra o di sinistra non importa. Così nel Di Bella di Rai Play si sente una Bindi lucida e sicura che racconta come da ministra in carica si trovasse impegnata a lottare su due fronti: da un lato placare le folle ottenendo che il metodo Di Bella fosse sperimentato e che questo stesse al gioco fornendo i protocolli della cura (oggi, attenti alle cose dei vaccini, tutti hanno imparato che la faccenda non è né rapida né banale); dal lato opposto c’erano da persuadere i “baroni” della scienza a spendere del tempo sulle trovate di quel tipo che consideravano non medico ma stregone.

Ovviamente la sperimentazione dette un esito del tutto negativo e lo stato non accettò di rimborsare quella cura inutile e pericolosa. Ma date le premesse questa non fu presa come una sentenza da Cassazione, che chiude la partita, ma solo come l’ennesima ingiustizia e si approfondì ulteriormente il disprezzo reciproco fra le fazioni. Ovviamente Bindi, insieme con Prodi, perse clamorosamente le elezioni e altre mani si posarono sulla sanità italiana. Così, mentre si generavano milioni di profughi economici nostrani sulla spinta della crisi Lehman Brothers e della pressione dello spread, rimbombavano d’ora in ora più pressanti i vaffa dibellisti sui portoni del potere.

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