Da cinque giorni, se si passa tra le locandine del cinema Massimo di Torino all’esterno della struttura, si vede un foglio appiccicato a coprire i film del mese di febbraio che dice: “Si comunica la cancellazione di tutti i film della rassegna Anima Russa”, la retrospettiva dedicata al regista russo Karen Georgievich Shakhnazarov, una tre giorni che si sarebbe dovuta tenere dal 25 al 27 febbraio.

Il motivo dell’annullamento, scrive in un comunicato il Museo nazionale del cinema, che fa capo al cinema Massimo, è la solidarietà con l’Ucraina.    

Il fatto è passato alquanto inosservato, eppure è stato uno dei primi in Italia a inaugurare la tagliola che sta colpendo il mondo della cultura russa o chiunque abbia a che fare con esso.

A pari merito in termini di tempo, probabilmente solo l’aut aut del sindaco di Milano Beppe Sala al maestro Valerij Gergiev, cacciato dalla Scala per non essersi esposto contro Putin. Artisti, cantanti, scienziati, persino docenti universitari italiani, nessuno sfugge.

Oltre Cannes

Il presidente del Museo nazionale del cinema, Enzo Ghigo, dice: «Siamo stati i precursori di un atteggiamento che è poi adottato da altri, voglio dire, se addirittura il festival di Cannes fa una scelta del genere…».

L’edizione di maggio del festival francese, però, ha detto che non accoglierà nessuna delegazione ufficiale russa o chiunque sia legato al governo russo. Non ha cancellato i titoli in concorso. 

La decisione a Torino è stata presa dal comitato tutto: «Le motivazioni sono evidenti: abbiamo ritenuto che una rassegna di un artista russo, capo della scuola cinematografia russa, che allo stato attuale delle cose non ha disconosciuto le azioni di Putin, non possa andare in scena», ha detto l’ex presidente del Piemonte eletto con Forza Italia.

Ghigo comprende la polemica, del tutto legittima, ma i piani secondo lui sono diversi: un conto è mettere in discussione un corso universitario con al centro Dostoevskij, un conto è cancellare la rassegna di un regista vivente che «potrebbe dire pubblicamente di non essere d’accordo con Putin e, non facendolo, dimostra di essere d’accordo con quello che sta facendo».

Ma il regista ha avuto modo di dire la sua? E stato avvertito che la sua rassegna sarebbe stata cancellata, così magari da prendere una posizione di distanza, almeno in privato? «Non l’abbiamo sentito, ma ci prendiamo la responsabilità di tutto», spiega Ghigo.

«Non censuriamo»

Con il moltiplicarsi di queste iniziative, che per alcuni rientrano nella semplice censura, per altri sotto il grande cappello della cancel culture (non si vogliono urtare sensibilità, ma rimuovere malintesi), il contrappasso è breve, e si finisce per fare la figura di un dittatore o un Putin qualunque.

«Noi non censuriamo, è un’esagerazione. Sollecitiamo un’azione dell’opinione pubblica russa, affinché rinneghi quello che sta succedendo, ma al momento non sembrano essere in molti a farlo in Russia».

Sarà, ma migliaia di manifestanti sono stati arrestati e rischiano anni di carcere; gli oppositori anche la vita. Anche l’Eurovision, che si terrò a maggio a Torino, ha cancellato l’esibizione russa: poteva essere un momento di dissenso. Non lo sapremo mai.

«Non saranno boicottati libri o autori russi, discussioni o lezioni sulla cultura e la letteratura russa», fanno intanto sapere dal Salone del Libro. Vedremo se che anche il Teatro Regio resisterà: a dicembre ci sarà il balletto Lo Schiaccianoci, con la musica di Pëtr Čajkovskij. A metterlo in scena sarà il Balletto dell’opera di Tbilisi: dovranno schierarsi? Ma la cultura è politica e la politica è cultura, secondo Ghigo.

Forse il presidente ha intenzione di chiedere a tutti i russi del mondo cosa pensano sul conflitto, ma a lui, insieme alla direzione del museo, è soltanto chiesto come comportarsi, d’ora in avanti, con i russi in cartellone.

«Saranno legittimati solo quelli che sono in dissenso con il regime russo», dice. Speriamo che la guerra finisca prima di vedere l’insalata russa, immancabile antipasto della cucina piemontese, cancellata dai menù. Che poi in Russia la chiamano “olivier”, per loro è roba francese.

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