Antropologia dell’abitare

Il ritorno della casa come sostantivo, femminile, singolare

Illustrazione Tullio Pericoli
Illustrazione Tullio Pericoli
Illustrazione Tullio Pericoli
  • Il 18 agosto del 1983 il tetto di palme di cocco della casa della mia famiglia materna se ne vola via. Mia madre ha tredici anni, e non è mai stata testimone di un monsone così violento.
  • La villetta ci ha visto felici per un breve periodo, prima che le eccentricità di di mio padre mutassero nei vizi di Saman ed estirpassero le radici di mia madre dalla porta numero 85/B di Arawwala Road, rilocandole in una via Pietro Crespi qualunque.
  • Ci fermiamo più o meno tutte le domeniche a guardare gli annunci di trilocali in un quartiere che amiamo - e a cui nel mio delirio febbrile mi sento di  poter appartenere - ma che ormai è troppo gentrificato per la tua busta paga. Della mia, neppure a parlarne. «Perché dobbiamo trascorrere i prossimi trent’anni a pagare un mutuo? Sacrifichiamo il bello della vita, e a goderne saranno i nostri figli».

Il 18 agosto del 1983 il tetto di palme di cocco della casa della mia famiglia materna se ne vola via. Mia madre ha tredici anni, e non è mai stata testimone di un monsone così violento. Le notti successive le avrebbero trascorse sotto il fruscio dei manghi nel giardino sabbioso di mia nonna, lei, i genitori e le cinque sorelle,  per paura che le quattro mura potessero crollare su quel che restava delle loro vite. Sotto quegli alberi, sdraiati sui paduru ammorbiditi dalla vecchiaia, saremmo

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