Il maestro di lirismo e follia è mancato nel 2023, la sua strumentazione è stata venduta all’asta per un totale di otto milioni di sterline. L’ennesimo segno che questo genere oggi è intrappolato nella retromania, con un’ossessione etica ed estetica per il passato
Casomai ci fosse qualche dubbio sul fatto che le rivoluzioni cominciano per strada e finiscono da Christie’s, o sul fatto che il vero Hammer of the Gods non è la batteria dei Led Zeppelin, ma il martelletto del banditore d’asta, e insomma sul fatto che il rock sia morto, stramorto, imbalsamato e alienato, basta guardare a quanto sono state aggiudicate le chitarre di Jeff Beck.
L’asta
Il maestro di lirismo e follia elettrifica(n)ti è mancato nel 2023, la vendita di una parte della sua strumentazione c’è stata la settimana scorsa a Londra, nella più prestigiosa casa d’aste del mondo, per un ricavo complessivo di circa otto milioni di sterline.
La Gibson Les Paul detta “Oxblood” e usata per il classicone Blow by Blow (1975) è stata venduta per poco più di un milione, supera il record di un’altra Gibson Les Paul, quella di Mark Knopfler dei Dire Straits, andata via l’anno scorso per 800mila sterline. Altri strumenti-memorabilia aggiudicati di recente a prezzi iper: la Les Paul del ‘59 di Peter Green presa da Kirk Hammett dei Metallica a due milioni di dollari; una Fender Stratocaster di Hendrix comprata per 1,3 milioni dal confondatore di Microsoft, Paul Allen.
E fin qui siamo nell’ambito, appunto, dei memorabilia. Investimenti su oggetti in relazione magico-totemica con qualche Grande Anima. Forma ludico-postmoderna dell’antichissimo culto delle reliquie. Al momento si va dalla maglia “hand of God” di Maradona (nove milioni di dollari) al pene imbalsamato di Napoleone Bonaparte, 3.000 dollari nel 1977, rubricabile economicamente ma non anatomicamente come “grosso affare”, misura cinque centimetri.
Strumenti irraggiungibili
Ma torniamo all’imbalsamazione che interessa, quella del rock ’n’ roll. E stiamo sulle chitarre, simbolo del genere. I prezzi degli strumenti vintage, quelli coi legni buoni e fatti come nonno liutaio comanda, negli ultimi anni sono irraggiungibili per qualsiasi musicista praticante. Una Fender Stratocaster del ’62 viaggia sui 75mila dollari. Una Gibson Les Paul dal ’58 sui 400mila.
Un amplificatore di Alexander Dumble (un hikikomori californiano che li costruiva per Santana, Clapton, e altre star) arriva a 500mila euro, chi se lo prende deve sottoscrivere un contratto nel quale si impegna a non divulgarne lo schema elettrico (figurarsi, è già stato abbondantemente copiato). Un distorsore (ovvero il pedalino che serve a far strillare la chitarra, simulando il suono di un amplificatore al massimo), il Klon Centaur, si trova su Reverb tra i 20 e i 30mila euro, i cloni del Klon, con lo stesso suon, si trovano in normale vendita a 100 euro.
A spostarsi nel regno dell’immateriale, nella sua riduzione ipermoderna, il mondo digital (non a caso i guru del digitale erano hippie misticheggianti che volevano «aprire le porte della percezione»; altro che Ia, il vero punto magnetizzante è l’As, Artificial soul) la tendenza emerge più e meglio. Da anni si usano software che servono a emulare suoni di modernariato.
Ragguardevoli potenze di calcolo servono a imitare (al momento senza riuscirci in pieno) suoni di valvole anche schioppate, di nastri pure smagnetizzati, stonature e rumori di fondo compresi perché «danno calore».
Estetica boomer
La mistica del suono rock di oggi è fatta di lo-fi, ma soprattutto di devozione a una qualche vecchia cassettiera. Retromania. Si cerca il suono dei Beatles, dei Pink Floyd, di Hendrix, dei Led Zeppelin, perfino quello degli anni Ottanta. Guru simpatici, programmaticamente cazzoni come Jack Conte, il ceo di Patreon, tengono livestream su quanto fosse fantastico lo stile dei Parliament Funkadelic, o le tastiere nel disco Thriller di Michael Jackson. Ascolti collettivi, muggiti generali di godimento sessuale (sì) quando arriva “quella” parte, “quel” suono: «Ohu». A bilanciamento, prediche calviniste sull’«etica del lavoro» di Jimi Hendrix.
Ed è questo, allo stato dell’arte, il panorama generale del rock ’n’ roll. Culto dei memorabilia. Fanboysmo senza limiti e confini. Ossessione tutta sentimentale, quindi inesauribile e bovarista (in fondo pornografica) per il passato. Una certa qual aria di accademia estetica, che diventa perfino etica, boomer. L’esatto contrario del rock, e anche del roll.
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