Zograf è un autore underground di fumetti, serbo. Le sue storie sono famose, è stato anche ospite su queste pagine. Ha disegnato molto sul sognare, e sulla possibilità di cercare, e trovare, stati di lucidità all’interno dell’attività onirica senza interromperla. C’è un piccolo segreto che una volta mi ha svelato su questo.

Zograf è legato al buio. In una sua storia di questa serie (Psiconauta, Editrice PuntoZero, 1999), realizzata negli anni Novanta, il suo personaggio, dal volto magro e affilato e sempre vestito di nero, si trova in una città da cui vuole andar via, allora punta dritto negli occhi il lettore e si rivolge a lui : «Perchè non scompariamo insieme nell’ombra, mio caro lettore? Su, vieni con me!».

Nella vignetta successiva cammina verso una zona scura. In quella ancora dopo si intravedono dei guizzi di luce su di lui immobile nell'oscurità. E infine vignetta nera. Fine. Lo possiamo seguire nell'inchiostro nero e con lui scomparire. Renderci invisibili.

Il buio è lo spazio dell’underground: fin dall’inizio quando nasce questa parola si riferisce ai tunnel, le vie di fuga scavate dagli schiavi neri: la ferrovia sotterranea resa romanzo da Colson Whitehead.

Veri o immaginari che fossero questi luoghi, goin’ underground è diventato il modo per definirsi per generazioni di disegnatori di fumetti, alla ricerca del bestiario che nell’oscurità prospera.

L’underground si serve delle categorie del grottesco (genere il cui nome nasce dalle decorazioni nelle grotte emerse dagli scavi delle Terme di Tito), del kitsch che si è incarnato nel trash, e del brutto, orrorifico, volgare e deviante.

Tutto un repertorio che collabora per sabotare il buon gusto del “fatto bene”, per diffondere radicalità esistenziale contro il mercato di massa.

C’è un passo importante nel Don Quijote di Cervantes:

«Come puoi tu, Sancio — disse don Chisciotte, — vedere dove sia questa linea e dov'è questa bocca o collottola che dici, se la notte è così buia che in tutto il cielo non si vede una stella?»

 «È vero — disse Sancio, — però la paura ha molti occhi, e vede le cose sottoterra, quanto quelle di lassù, del cielo».

La paura scruta sottoterra come nel più alto cielo e senza la paura c’è solo una notte buia da inseguire. L’underground è uno stato di incertezza, una sensazione spaventosa che permette di vedere quello che non è visibile, e di raccontare quello che non è narrabile.

Un recinto instabile, una forma potenziale e generativa basata su di una esperienza estetica vissuta e condivisa.

In questa oscurità si sospendono, come nella vignetta di Zograf i confini di spazio e tempo, e con questi il sistema di produzione industriale che gli è proprio. E vede cose che si muovono nel buio. Mentre tutto quello che spazia dal sublime al tragico, perfino il comico, tutto quello che riesce a definire lo spazio in cui si trova non riesce a vedere nulla nella notte tanto oscura, e ne resta fuori, ben esposto e confinato sugli scaffali della catena di distribuzione di massa.

Ode al nero

Uno dei più imprendibili e mutaforma tra i disegnatori di matrice underground italiani è Marco Corona. Il suo Il viaggio (Stigma/Eris, 2021) è un’ode sconquassata al nero, un capolavoro del graphic novel.

In una villa abbandonata, terreno di memorie d’infanzia e campo di esplorazioni tossiche, si aprono squarci di luce su tavole dove l’inchiostro occupa tutti i bianchi, cancella le vignette e talvolta i disegni.

Leggere questo libro è un’esperienza che rimanda alle incisioni che grondano oscurità delle Carceri d'invenzione di Giovanni Battista Piranesi, un labirinto dove generazioni di visionari si sono immersi e persi.

La storia è oscura non lineare, frammentaria, con gli stessi lampi di dialoghi e immersioni di silenzi. In To hell, sorta di spin-off del libro allegato ad alcune copie, la discesa nel buio è proprio una discesa agli inferi, dove gironi di occhi brulicano nel nero come nei sotterranei della casupola a Thunsche Gasse nel racconto Le piante orribili di Gustav Meyrink, altra seminale visione nell’oscurità.

«Vedevo cose. Le cose giravano. Vedevo tutto doppio, triplo. Diventava grigio, stava per diventare tutto nero. Un nero che si espandeva di fronte a me e alla fine mi riempiva».

È una pagina di Black Hole di Charles Burns (Coconino, 2007) dove la zona oscura è quella dell’adolescenza, e la luce ne scolpisce le inquietudini immerse in una foresta alla Stand by me, dove ogni foglia e ogni incarto di merendina accartocciato segnala un indizio, un passaggio dalla luce all’ombra.

Questo graphic novel dalla lunga storia editoriale, nato da una sequenza di albi e poi raccolto in volume, ha influenzato generazioni di autori e lettori soprattutto per lo stato emotivo che ricostruisce, utilizzando un segno estremamente puntuale e inesorabile.

Burns è stato poi tra gli autori di Peur(s) du noir - Paure del buio (2008), film d'animazione collettivo diretto anche da Blutch, Marie Caillou, Pierre Di Sciullo, Lorenzo Mattotti e Richard McGuire, con la direzione artistica di Étienne Robial, episodi che scorrono tra fobia e sogno scrutando nei tagli di luce.

Riporta allo spazio grigionero della paura e dell’adolescenza anche un romanzo molto recente, premiato al festival di Angoulême 2022. Si tratta di Fendente di Antoine Maillard (Coconino, 2022).

Una narrazione che procede per frammenti mai ricostruiti, che con intenzionalità lasciano solo pochi sprazzi.

Fendente è sia la luce che taglia l’oscurità facendo apparire il disagio di quella età e di un mondo di provincia senza vie di uscita, sia il colpo laterale della lama che taglia in due la linea dell’infanzia e inaugura quella del divenire adulti.

Il serial killer che dà l’avvio alla storia appare e scompare tra le inquadrature come un fantasma, tra incubo e realtà, sfuggendo sempre l’inquadratura frontale e la definizione del segno.

Qui l’autore sperimenta un tratto opposto al nitore di Burns, cercando nell’indeterminatezza della matita quell’ombra avvolgente in cui muoversi nel buio, che è anche nello sviluppo della narrazione.

La strada dentro quel buio la trova solo chi si muove lateramente, un po’ dentro un po’ fuori dal gruppo e che sa prendere in mano la propria storia per portarla da un’altra parte.

E questo chiude l’anello e riporta proprio alla scelta di vita del mondo underground, popolato di creature che disegnano mentre tengono gli occhi socchiusi e che così vedono nel buio, perchè a spalancarli resterebbero accecati.

È proprio questo il segreto che Aleksandar Zograf mi ha rivelato un giorno.

Per disegnare i sogni bisogna svegliarsi con un quaderno e una matita già pronti accanto e mai, assolutamente mai aprire le persiane alla luce e spalancare gli occhi. Bisogna strizzarli invece e guardare attraverso: i sogni si ricordano e si disegnano al buio. Al primo raggio di sole svaniscono e ritornano sottoterra.

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