Non è per nulla difficile comprendere la ragione all’origine della costante preoccupazione umana per il trascorrere del tempo. Infatti, tutto ciò che esiste è finito e limitato ma solo l’uomo ne prende coscienza con una consapevolezza che non lo abbandona un istante nel corso del suo vivere quotidiano. Solo l’uomo sa di essere finito e mortale; a tale riguardo giustamente il filosofo tedesco Martin Heidegger distingue il “perire” dal “morire”: solo l’uomo muore, ma l’uomo muore non quando perisce, quando finisce di vivere, ma anche mentre vive, poiché la consapevolezza di sapersi mortale lo accompagna in ogni momento delle sue giornate.

In questo senso l’uomo non ha alcun bisogno della conferma dell’ “avvenuto decesso” per sapere con assoluta certezza che questo decesso, questa inevitabile interruzione, prima o poi avverrà. Investiti dall’inquietudine che sempre li accompagna, è facile comprendere perché gli uomini non possano fare a meno di pensare al tempo cercando soprattutto di pre-vedere ciò che li attende. È proprio rispetto al senso di questo rilancio al di là del qui del presente che propongo di distinguere il futuro dall’avvenire. Il punto, che a me sembra fondamentale, può essere chiarito nel seguente modo.

Il futuro è necessariamente legato al presente: è sempre il futuro di un determinato presente. Non potrebbe essere altrimenti; quando noi pensiamo al futuro, quando ad esempio progettiamo una determinata iniziativa futura, non possiamo far altro che partire dal presente in cui viviamo, vale a dire dalle idee, sogni, speranze, ipotesi, immaginazioni, ecc. che abitano il nostro presente. È a partire dall’oggi che penso al domani, allo scopo di progettare le mie azioni future; di conseguenza il domani, pensato/immaginato oggi, non può far altro che contenere delle tracce di questo stesso oggi a partire dal quale lo penso/immagino.

Ritorna il grande tema del pre-vedere: è a partire dall’oggi che pre-vedo/pro-getto quel futuro che, da questo punto di vista, è sempre un suo riflesso e in qualche modo una sua immagine; nel pro-gettare getto nel futuro qualcosa che proviene inevitabilmente dal presente. Lo si è spesso sottolineato: il futuro è sempre il futuro di un presente.

All’opposto, l’avvenire è precisamente ciò che non può essere previsto/progettato; esso è il campo dell’evento, dell’avvenimento, di ciò che viene e accade, e ciò che accade e viene lo fa sempre senza avvisare, senza pre-avvisare. Accade, ad esempio, che ci s’innamori, ma è una follia progettare di innamorarsi; nessuno può prevedere con serietà quando e se s’innamorerà.

Per chiarire la questione riprendo una riflessione che il filosofo francese Jacques Derrida ha sviluppato intorno al tema dell “invenzione dell’altro” e più precisamente alla categoria dell’ “immaginazione” . Commentando lo slogan sessantottino “l’immaginazione al potere”, si può infatti osservare che senza alcun dubbio si tratta di liberare l’immaginazione e il pensiero per dare vita a nuove idee, a nuove interpretazioni, stabilendo così nuovi nessi tra teorie e concezioni diverse capaci di interrogare e a volte addirittura di rivoluzionare il tradizionale modo di pensare. Ma al tempo stesso si tratta anche di riconoscere l’urgenza e la necessità di liberarsi dall’immaginazione per predisporsi ad accogliere il nuovo, l’imprevedibile, ciò che il filosofo chiama addirittura “l’impossibile”, vale a dire ciò che non può essere previsto e progettato, ciò che, per l’appunto, non può neppure essere immaginato.

Si tratta di liberarsi dall’incanto provocato dalla proiezione della propria immagine all’interno della propria immaginazione, evitando così di trasformare quest’ultima non in un’apertura al nuovo, ma in una forma di difesa nei suoi confronti. Da questo punto di vista si deve intendere l’avvenire come l’altro dal futuro, e l’altro è precisamente ciò che non s’inventa, non s’immagina, non si prevede. Liberarsi dall’immaginazione, nella misura in cui è possibile, significa dunque accettare l’eccedenza dell’improgettabile, dell’imprevedibile, dell’inimmaginabile, significa aprirsi all’avvenire come a un luogo che nessun futuro può circoscrivere.

Gli esseri umani hanno sempre cercato, ad esempio con l’ausilio di maghi e indovini, di ricondurre l’eccedenza dell’avvenire all’interno dei confini del futuro, ha sempre cercato di immaginare l’inimmaginabile al fine di progettare il proprio futuro e tentare così di “metterlo in sicurezza” e di “ottimizzare” il tempo che gli resta. Ma nella nostra società questa tendenza è diventata tecnologicamente così potente da arrivare a pensare che l’identificazione tra avvenire e futuro sarà prima o poi concretamente realizzata. L’immaginazione di oggi, ipernutrita di algoritmi e calcoli computazionali, arriva a immaginare, ingannandosi, di poter ridurre la distanza che separa il futuro dall’avvenire, fino al punto di autoconvincersi, delirando, di riuscire prima o poi addirittura ad annullarla.

Se ci si impegna, lo si continua a ripetere, con l’aiuto della scienza e delle tecnologie informatiche si riuscirà a ridurre l’ignoto solo a ciò che non è ancora noto, così come si riuscirà a trasformare l'imprevisto solo in ciò che momentaneamente non è ancora previsto, e quest’ultimo, proprio perché è solo un “non ancora previsto”, in verità non ha più nulla dell’evento capace ancora di stupirci.

Nel nostro futuro, in quello della stragrande maggioranza degli abitanti del “primo mondo” (ad esclusione degli studiosi delle malattie infettive), l’epidemia che ci ha colpito e soprattutto come lo ha fatto non era, per delle ragioni essenziali, prevedibile. Il nostro presente, preoccupato di progettare il futuro - si pensi all’isteria con la quale molti genitori, per “mettere in sicurezza” il futuro dei propri figli, portano ad esaurimento il loro avvenire, occupandolo di attese, di sollecitazioni verso quel master o quello stage, di “suggerimenti” verso quella professione invece che verso quell’altra, non lasciando alcun spazio all’accadere del nuovo - ha finito per dimenticarsi dell’avvenire. Ha prestato attenzione solo al futuro e si è disinteressato dell’avvenire.

Ma come può l’uomo continuare a vivere da uomo se ciò che lo attende è solo il futuro, lo sviluppo calcolato e controllato di un programma progettato nel presente, e non l’avvenire?

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