Con il finire della Seconda guerra mondiale, Cinecittà si riempì di registi, sceneggiatori e personaggi in cerca d’autore desiderosi di raccontare una nuova Italia. In questo contesto, anche molti compositori iniziarono a intravedere una nuova possibilità artistica e lavorativa a sostegno del proprio ingegno e sperimentazione musicale. A differenza di Hollywood, che aveva standardizzato il sonoro attraverso il foglio musicale, la colonna sonora all’italiana, come definita da Valerio Mattioli nel suo libro Superonda, «era una creatura strana, per quanto subordinata a quanto accadeva sullo schermo, penetrò nella coscienza degli spettatori fino a rivelarsi al di fuori del recinto delle applicazioni e disegnare un suono».

Quindi, secondo Mattioli, la musica per il cinema in Italia sembrava intraprendere una via del tutto nuova ed innovativa per il mondo cinematografico. Da una parte, era ancorata al linguaggio pop della canzonetta, per una più semplice comprensione del fulcro narrativo; dall’altra, si spingeva verso nuove forme sperimentali e colte che si allontanavano dalla cosiddetta musica d’accompagnamento. Il primo banco di prova fu il neorealismo in cui compositori come Mario Nascimbene e Renzo Rossellini, servendosi della veridicità di quanto doveva essere mostrato, utilizzarono nuovi e sperimentali mezzi per il racconto sonoro.

In particolar modo, secondo la ricercatrice dell’Università di Berkeley Marina Romani, il tessuto musicale di Roma città aperta ideato da Renzo Rossellini si intrecciò per la prima volta con la costruzione architettonica dello spazio sonoro di Roma andando quasi ad anticipare forme di supervisione musicale.

I B-movie

Con la ripresa economica nel 1960 e il conseguente successo del cinema di Federico Fellini anche l’Italia sembrava avvicinarsi sempre di più allo stile romantico che stava imperando in America dalla fine degli anni Quaranta. Il connubio artistico tra il regista riminese e Nino Rota, di cui rimangono celebri i temi conduttori di Amarcord e Otto ½, determinò un cambio di rotta per le nuove sperimentazioni, nel raccontare musicalmente l’atmosfera malinconica e incantata di un paese in ripresa.

L’ambiente cinematografico italiano iniziava a svilupparsi su più strutture: da un lato, imperava il post neorealismo e l’affermazione della commedia all’italiana e, sottotraccia, iniziavano a conformarsi forme narrative sperimentali. In questi film denominati B-movie, che spaziavano dalle prime forme degli spaghetti western ai film thriller e horror, trovarono terreno fertile quei compositori che alienati dal sistema Cinecittà, in cui si doveva rispondere a tutti i generi commissionati, potevano attuare e complementare la propria cifra stilistica.

Lo scenario politico e sociale nel 1968, oltre a condizionare la distribuzione e successiva popolarità dei B-movie per il loro approccio violento e pulp, divenne un incentivo per la Rai per rinnovare il proprio catalogo di librerie musicali ormai poco adatto all’impostazione dei nuovi format incentrati su tecniche di reportage e inchieste giornalistiche coerenti con il periodo storico.

Se lo studio di fonologia della Rai di Milano, nato nel 1955 per volere di Luciano Berio, fu il centro accademico per eccellenza nello sperimentare le esigenze della produzione radiotelevisiva e cinematografica con le necessità espressive della musica composta, nel 1968 il contesto delle library fu del tutto ribaltato. Anche per il settore delle librerie musicali si intravedeva un inedito terreno dove poter immaginare una nuova via sonora.

Non essendo dettate da nessuna regola commerciale, ma libere nella loro concezione artistica, nacquero delle etichette che ne raccolsero il mood, tra cui una delle più gloriose fu Cam. Il catalogo Cam fu ideato dal produttore Giuseppe Giacchi, che affidò al musicista Carlo Pes il compito di assemblare una collana di sonorizzazioni per immagini utilizzando temi di colonne sonore considerate minori. I vari frammenti vennero compilati secondo criteri di assonanza, genere e atmosfera. Sotto uno stesso disco a tema psichedelico si potevano trovare autori come Ennio Morricone, Piero Piccioni, Piero Umiliani o Nico Fidenco, anche sotto pseudonimo, ciascuno con i propri brani, riconducibili ad una tematica musicale comune.

Una buona percentuale di questi nasceva proprio come album di sonorizzazione appositamente commissionati, come Rhythm of Life di Oscar Lindok (Giacomo Dell’Orso) e Donimak (Nico Fidenco), considerato oggi uno dei dischi chiave della library music italiana. Esclusivamente destinati a programmisti Rai e registi, questi dischi erano rigorosamente fuori commercio, stampati in pochissime centinaia di copie e proprio per questo oggetto di una caccia sfrenata da parte dei beatmaker, che a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, anche per la loro assonanza con la musica afroamericana degli anni Sessanta, ne hanno progressivamente promosso la riscoperta, campionando un serbatoio di tesori italiani che sembrava essere stato dimenticato.

Il ritorno di Cam

Oggi l’archivio Cam vive ancora una sorta di doppia vita: il grande pubblico fino a poco tempo fa ne ignorava l’esistenza, ma per gli addetti ai lavori è sempre stata una collana di culto. Basti pensare alla recente sincronizzazione di The last time di Ennio Morricone per The French Dispatch di Wes Anderson oppure al sempre più crescente interesse da parte del mondo seriale, non ultima Euphoria, in cui i due ultimi episodi della seconda stagione sono costruiti principalmente da brani appartenenti al catalogo Cam tra cui Modelle in Blue di Riz Ortolani e Nino Oliviero.

Solamente negli ultimi anni c’è stato un investimento per riscoprirne il valore autentico e unico da parte di alcune realtà come Forflies Records, Sonor Music Editions e in particolar modo Sugar, che ha riportato in vita il catalogo Cam. Quando dieci anni fa Sugar ha acquisito il catalogo Cam si è trovata di fronte ad un archivio di oltre 2.000 partiture originali ridando vita ad un patrimonio culturale che ha costruito la sua storia sui valori di qualità, artigianalità, metodo e passione. «La Cam è, come Sugar, un brand internazionale e, calcolando che circa il 70 per cento del suo catalogo è ancora inedito, è facilmente intuibile non solo l’enorme potenziale ma anche l’importanza che riveste per l’intero comparto della cultura legato al mondo delle colonne sonore», ha detto Filippo Sugar, amministratore delegato del gruppo Sugar.

È un lavoro ambizioso che permette di essere in prima linea nella produzione di nuove colonne sonore di film e serie televisive. Basti vedere quello che accade quando una colonna sonora di una serie televisiva o di uno spot balza in poche ore in testa alle piattaforme digitali di tutto il mondo. La musica dell’audiovisivo sta allargando i propri confini oltre ai film. Ogni musicista vuole cimentarsi in questo settore e il pubblico sa ormai riconoscere perfettamente e con grande competenza l’importanza di una colonna sonora nel racconto di una storia. Come l’incredibile e meritato successo che sta avendo Ennio di Tornatore: un omaggio non solo a un genio dell’arte mondiale ma una celebrazione della centralità delle colonne sonore.

Prodotti come Morricone Segreto o Paura – A collection of Italian Horror Sound, che hanno riscosso moltissimo successo sia a livello nazionale che internazionale, dimostrano come quell’epoca di sperimentazione sonora italiana non fu vana e la sua nuova distribuzione e attualizzazione sta diventando sempre più un punto cardine per la riscoperta dell’artigianalità della musica per il cinema e per il mondo seriale.

 

© Riproduzione riservata