Che cosa sia l’Horror vacui l’ho appreso a scuola guardando gli altorilievi sui libri di storia dell’arte. Il suo contrario l’ho invece appreso in un giorno di ordinaria pandemia. Mi sono affacciata alla finestra, e a Venezia non c’era più nessuno.

Era un disastro, era la cosa più riposante che avessi mai visto.

Fino a poche settimane prima l’appartamento dove abitavo con il mio compagno era un andirivieni di viaggiatori e viaggiatrici, turisti, studenti, coppie, gente di passaggio da grossomodo tutti gli angoli del globo terracqueo, e quando dico tutti intendo che a un certo punto è arrivato anche un ospite dalla Mongolia interna.

Insomma, quella era la nostra vita da affittacamere che a loro volta pagavano un affitto: sconosciuti intercambiabili occupavano ogni spazio comune stanziando tra bagno e cucina senza soluzione di continuità. La medesima cosa accadeva fuori, nella città. Quello del turismo è un settore che ho scelto appena uscita dalla laurea triennale perché, questo mi pareva chiaro, si trattava di un lavoro più sicuro della scrittura.

L’incubo della bassa stagione

Ho trentacinque anni, a Venezia ne ho vissuti quattordici e mi sono approcciata ad Anonimo Veneziano solo dopo averla lasciata, al termine del lockdown nazionale. Anonimo Veneziano è un libro il cui titolo è diventato un modo di dire slegato dall’opera, una cosa che non si legge e così sbiadisce. Io non l’ho letto fino a che non è crollato il mercato, e le due cose in qualche modo si collegano.

Da Venezia passavano fino a 30 milioni di turisti all’anno, con circa 35mila occupati nel settore su una popolazione di 52mila residenti. Per chi lavora con la gente in viaggio la bassa stagione è un magma di incertezze che traghetta fino alla successiva esplosione di lavoro.

A seconda della situazione, questo viene affrontato col sollievo di chi aveva bisogno di una pausa o con la preoccupazione di chi si chiede se andrà bene anche stavolta, se non sia forse stata – finora – un’illusione.

Nel caso veneziano la superficie della bolla ha iniziato a cedere quattro mesi prima del lockdown, con la marea straordinaria del 12 novembre 2019. Nei giorni immediatamente successivi si rincorrevano le percentuali: disdette del 35 per cento sulle prenotazioni, del 40 per cento, del 55 per cento…

Per la prima volta l’incubo si è materializzato, la bassa stagione non è mai più veramente finita. E se non ci sono i turisti non c’è il lavoro, se non c’è il lavoro non c’è la casa, se non c’è la casa non c’è la città. Di sicuro non quella.

Ho dunque lasciato l’isola inventandomi una sorta di lockdown prolungato in una valle pedemontana a nord della provincia di Treviso. Da qua ho iniziato a vedere Venezia in prospettiva e a cercarne le ombre dentro a pagine in apparenza inattuali. Sotto il velo della brochure l’ho trovata simile a come l’ho sempre percepita, tormentata come un libro che parla di solitudine e malattia.

Pubblicato nella sua prima versione nel 1971, la stesura è iniziata nel 1966, due anni dopo la pubblicazione dell’arcinoto Il male oscuro.

Il male oscuro è un libro molto divertente scritto da un uomo disperato. Anonimo veneziano è invece un libro disperato scritto da un uomo con eccellente senso dell’umorismo. In entrambi i casi stiamo parlando dello stesso autore, Giuseppe Berto.

Giuseppe Berto

Berto nasce il 27 dicembre del 1914 a Mogliano Veneto e, divenuto uomo, sta malissimo.

Ha cinque sorelle e nessun fratello, alterne fortune negli studi, esperienze militari e di guerra animate da un patriottismo che potremmo definire artificiale, molti problemi con il padre da vivo e ancor di più con il padre da morto; attorno alla quarantina inizia a soffrire di angoscia profonda, nevrosi, ipocondria che travalica in forme di panico invalidanti. Questo quadro si protrae per un decennio e potrebbe essere la fine, ma Berto trova la sua via di ristoro nella psicoanalisi, apprende il controllo e scrive Il Male oscuro, caso letterario grazie al quale vince sia il premio Viareggio che il premio Campiello.

Ora torniamo al 1966, quando inizia il percorso editoriale di un libro con la cronistoria montata tutta al contrario. Quell’anno, Enrico Maria Salerno commissiona a Berto una sceneggiatura che nel 1970 diventa la pellicola Anonimo Veneziano. Film interpretato da Florinda Bolkan e Tony Musante che è anche esordio cinematografico dello stesso Salerno.

Ma quando arriva il libro?

È solo nel 1971 che viene stampata una versione limitata ai dialoghi e qualche didascalia. Lo scarno - non troppo amato dalla critica - libretto viene tradotto in inglese da Valerie Southorn, che si prende la libertà di estrapolare il romanzo dall’azione teatrale. Giuseppe Berto definisce questa operazione “illuminante” e torna a lavorare furiosamente sull’opera che, nel 1976, vede la luce nella forma che conosciamo oggi.

Dal film al libro

Anonimo veneziano parte dunque da dove non ti aspetteresti mai che partisse un libro, ovvero dal film. Anzi, dai suoi dialoghi. Ma di cosa parla?

Parla di una coppia sposata che si è lasciata da otto anni e non riesce a divorziare, un po’ perché la legge sul divorzio ancora non c’è, un po’ perché le cose tra esseri umani sono spesso più complicate del previsto. In mezzo ci sono un figlio, anzi due, e un nuovo benestante compagno, che noi però non vediamo mai. Vediamo solo lei, lui e la loro passione malsana e maldestramente tenuta a bada. Non hanno nome, sono due veneziani che dopo lunga distanza si ritrovano proprio a Venezia. Lui deve dirle una cosa importante, ha una malattia incurabile e sta morendo.

Sono figlia del mio tempo, quando leggo Anonimo veneziano non mi commuove il nodo di attrazione e odio che tormenta una coppia matura, mi fa venire le vertigini il vuoto legislativo alla base dei loro tormenti. Lei ha due figli, il più grande con lui, la più piccola con il nuovo compagno. Ma se non esiste il divorzio non esiste la nuova paternità, a meno che. La soluzione per far avere il cognome del legittimo padre alla bambina è annullare il ruolo di lei, che non risulta più madre per lo stato civile. I due parlano di denunce per crimini che oggi paiono fantascienza: «Non puoi denunciarmi per adulterio»/«Tu vivi in concubinaggio».

Il 3 dicembre 1969 la Corte dichiara incostituzionali il reato di relazione adulterina della moglie e quello di concubinato del marito. Il divorzio viene introdotto in Italia il primo dicembre 1970. Tutte le cose importanti pare che debbano accadere a dicembre.

Anonimo Veneziano si sviluppa in un mondo che diventa nuovo a colpi di referendum e dichiarazioni della Corte, animato da personaggi spezzati dalle convenzioni di quello vecchio, che non hanno più fiato né salute per rincorrere quel che verrà.

«C’è un’epidemia in atto, che le autorità si sforzano di nascondere» racconta l’anonimo lui citando Thomas Mann.

«I medici non lo dicono, quando uno è malato così»/«Ha tanto insistito nel dirmi che non avevo niente, da farmi nascere la paura che avevo qualcosa».

In entrambi il rapporto di fiducia con la figura dell’operatore sanitario è del tutto assente. Ho pensato allora a un’anziana parente che vedo poco e con cui parlo ancora meno, a quando mi ha fatto un regalo involontario raccontando di quella volta che ha avuto la tonsillite. Saranno stati i primi anni Cinquanta e, nell’ambulatorio privato di un dottore indicato da chissà chi, l’hanno fatta sedere su una sedia, le hanno legato le mani dietro la schiena, le hanno strappato le tonsille con una pinza.

Con lo stesso metodo le hanno tolto anche le adenoidi, l’anestesia non era prevista. Universalità, uguaglianza, equità: questi i principi cardine alla base del Servizio sanitario nazionale, nato con la legge 883 del 23 dicembre 1978. Giuseppe Berto muore un mese prima, di cancro come suo padre, e come il lui di Anonimo veneziano. Sono figlia del mio tempo, quando leggo queste pagine mi chiedo se in presenza del Ssn quel personaggio spezzato e senza nome avrebbe avuto possibilità di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi.

A febbraio in pigri appunti privati scrivevo «Da praticamente ora l’Inghilterra non fa più parte dell’Ue, degli incendi in Australia non si parla più, con il Covid non si sa bene cosa succede, all’alba è partito il nostro giovane ospite, un po’ mi dispiace, anche se usava friggere qualsiasi cosa alle otto del mattino», a marzo chiudeva tutto, ad aprile piangevamo, a maggio ci dicevano che era tempo di prepararci a uscire di nuovo, a giugno ho letto Anonimo veneziano e mi sono affacciata alla finestra. Venezia finalmente era sparita e potevo imparare a guardarla da lontano.

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