Troppe bugie circolano sulla “guerra europea” scatenata nel febbraio 2022 da Putin. Ma gli ucraini hanno reagito in nome della libertà. A colloquio con la storica russa, cofondatrice di Memorial e premio Nobel per la pace nel 2022.


Suo nonno Yakov, di origine ucraina, era uno dei dirigenti nell’apparato del Komintern, e sin dall’ottobre 1924. Sua madre è nata nel famigerato Hotel Lux di Mosca, dove la famiglia ha abitato sino al 1945. Suo padre, un giovane ufficiale russo ed ebreo dell’Armata Rossa, fu gravemente ferito, nei pressi di Stalingrado, nel 1944. Sono queste le vicende biografiche e familiari che Irina Scherbakowa ha ricostruito in Die Hände meines Vaters (Le mani di mio padre), una vera e propria “storia della famiglia russa”, come recita il sottotitolo della sua opera (edito da Droemer).

Dall’inizio degli anni Settanta, la scrittrice e traduttrice russa – Scherbakowa ha tradotto varie opere di Heinrich Böll e Christa Wolf – ha raccolto le testimonianze di coloro che sono tornati dall’inferno dei gulag di Stalin. I suoi nastri sono tra i documenti di Memorial, l’associazione di cui Scherbakowa è cofondatrice, sorta nel gennaio 1989 per fare i conti con gli orrori dello stalinismo. Lo scorso dicembre, Putin ha chiuso a Mosca la sede centrale di Memorial e vietato ogni attività del gruppo.

E il 10 dicembre scorso è stato conferito a Oslo il premio Nobel per la pace. «Ciò che Putin trova più inquietante nel nostro lavoro – inizia a spiegare Scherbakowa – è che Memorial ha gettato una luce critica sul passato russo, nominando non solo le vittime del terrore staliniano, ma anche i loro aguzzini».

In questa intervista, la storica e scrittrice russa parla della sua vita e della sua famiglia. Dell’antisemitismo da sempre diffuso nella storia dell’Unione Sovietica. Del suo rapporto con i dissidenti e con le grandi opere della letteratura russa. Sempre a partire dalla sua interpretazione della guerra infernale che Putin ha scatenato da oltre un anno in Ucraina.

Dal febbraio 2022 Putin ha iniziato la sua cosiddetta “operazione speciale” contro l’Ucraina. Ma cosa rappresenta l’Ucraina nella mente del dittatore russo?
Prima di tutto, teniamo sempre a mente il fatto che l’Ucraina era la più grande Repubblica all’interno dell’Unione Sovietica. E quindi già dal punto di vista “fisico” occupava una parte rilevante nella geopolitica dell’impero russo. Per non parlare poi dei ricordi anche personali che ogni russo collega alla Crimea.

Sta parlando delle vacanze in Crimea e del fascino del Mar Nero nell’immaginario russo?
Certo, per l’uomo sovietico la Crimea era il richiamo del Sud, il luogo di una nostalgia diffusa collegata al ricordo delle vacanze, anche perché per le famiglie sovietiche non c’erano tanti altri luoghi in cui viaggiare se non queste località del Mar Nero. Su quelle coste poi era stazionata la flotta russa, a cui tanti russi sono da sempre legati da sentimenti di orgoglio nazionale. Ma questi sono solo i contorni positivi della politica sovietica in Ucraina e in Crimea.

I lati negativi sono le deportazioni di oltre 190 mila tatari evacuati dalla Crimea come Stalin ordinò nel maggio 1944, giusto?
Sì, Stalin ordinò anche in Crimea ondate di “pulizia etnica”, deportazioni dei tatari verso l’Uzbekistan, dove a migliaia morirono di fame o in esilio. Ricordo ancora un mio viaggio da bambina in Crimea. Era il 1956 e la Crimea era devastata dopo dieci anni di barbare deportazioni eseguite nel modo più atroce dal Nkvd, i servizi segreti allora sotto il comando di Lavrentiy Beria.

Durante la perestrojka Gorbaciov consentì ai tatari il ritorno in Crimea. Ma oggi cosa ha scatenato questa brutale guerra di Putin contro l’Ucraina?
Dopo l’indipendenza nel 1991 e le varie elezioni in Ucraina a partire dal 2000, è stata la rivoluzione di Maidan nel febbraio del 2014 a spingere Putin verso una politica sempre più aggressiva nei confronti dell’Ucraina. Gli ucraini dopo la rivolta del 2014 hanno segnalato al Cremlino di voler ripristinare la Costituzione, di tornare a parlare la loro lingua ucraina e soprattutto di orientarsi verso l’Europa e non verso la “Madre Russia”. È questo bisogno di libertà ad aver scatenato l’odio feroce di Putin.

Un “odio feroce” che portò Putin, nel febbraio del 2014, ad annettersi la Crimea…
Era dalla fine della guerra nel 1945 che in Europa non accadeva un atto di violenza simile sul diritto internazionale, sulla sovranità e integrità territoriale come questa esercitata da Putin contro l’indipendenza dell’Ucraina. E che ha condotto il Cremlino all’eclatante annessione della Crimea e ad aprire fronti di guerra nel Donbass. D’altronde la sistematica pressione sui “confi ni imperiali” è sempre stata la strategia perseguita da Putin, ad esempio contro la Moldavia.

Quindi ciò a cui assistiamo da più di un anno in Ucraina è un preciso disegno strategico di Putin, e cioè quello di ricostruire un nuovo impero russo?
Nella mente di Putin coesiste un mix di vari costrutti mitologici, in parte persino di idee del XIX secolo e non solo dell’era sovietica. In lui c’è una rappresentazione quasi razziale della superiorità della storia russa, che include l’Ucraina come territorio russo, privo di una propria lingua e cultura. Putin l’ha ribadito più volte che ai suoi occhi l’Ucraina non è e non sarà mai una nazione indipendente, ma solo una parte della storia e della cultura russa.

Ai suoi occhi, d’altronde, e per la sua educazione nel Kgb, il crollo dell’Unione Sovietica ha rappresentato la peggiore catastrofe del XX secolo…
Questa è una delle frasi di Putin più citata dai media, ma non per questo vera. Negli anni ’90 infatti, subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’ex ufficiale del Kgb Putin era completamente integrato nel nuovo sistema politico russo. Diciamoci la verità: mai all’interno dell’Urss un piccolo ufficiale del Kgb avrebbe potuto fare la carriera che Putin ha fatto dopo il crollo dell’impero. Il suo balzo ai vertici del Cremlino si deve alla catastrofe dell’Urss, che lui poi ha tanto mistificato. Putin è il figlio del caos e di quell’atmosfera criminale che ha dominato in Russia nei primi anni Novanta.

I suoi nonni vengono dall’Ucraina, dai dintorni di Kiev. Mi dica la verità, signora Scherbakowa, se l’aspettava una reazione così forte e decisa da parte di Volodymyr Zelensky e del popolo ucraino?
Sì, la mia famiglia ha radici ucraine ed ebree come milioni di altre famiglie che oggi vivono in Russia e che, come mio padre, hanno combattuto in guerra con l’Armata Rossa contro i nazisti. Ogni estate sto con la mia famiglia in Ucraina, perché lì abbiamo un casale. Le posso assicurare che la resistenza degli ucraini contro il predominio russo si nota sin dai primi anni del 2000. È da vent’anni che in Ucraina, specie nelle grandi città, vedo crescere una nazione che ha voglia di democrazia, di libere elezioni, che guarda all’Europa e che ama la propria lingua.

Molta sinistra in Europa si interroga sulle ragioni di questa guerra, sui motivi del pacifi smo, se continuare o meno ad armare l’esercito ucraino. Secondo lei un popolo ha il diritto di difendersi da un’invasione armata?
Certo che un popolo invaso ha il pieno diritto di difendersi con una resistenza armata! Curioso è solo che, nel caso dell’Ucraina, gli argomenti di una certa sinistra estrema si equivalgono a quelli dell’estrema destra. E ciò non ha a che fare solo con il fatto che gli estremismi ideologici si somigliano, ma soprattutto con la circostanza che Putin, da voi in Italia o in Francia, ha sempre sostenuto i partiti sovranisti.

Di recente ne parlavo con lo storico della cultura russa Karl Schlögel. Secondo lui, in Europa abbiamo sempre guardato a Kiev con gli occhi e dalla prospettiva di Mosca. È d’accordo?
Sì, buona parte della sinistra ha sempre visto nei Paesi dell’Europa dell’Est solo Paesi-satellite di Mosca. Anche la sinistra non ha voluto conoscere la storia e la cultura dei Paesi dell’ex blocco sovietico, accettando insomma la logica imperiale del Cremlino. Sino ad oggi si ripete, anche contro il governo di Zelensky, che l’Ucraina è un paese di corrotti e mafiosi. Ma, domando: forse che il governo di Putin, l’amministrazione e l’economia russa sono meno corrotti?

Insomma, i valori delle nostre democrazie e dei nostri sistemi liberali stanno in piedi o crollano con l’autonomia dell’Ucraina: giusto?
È questa oggi l’immensa posta in gioco nella guerra in Ucraina, ossia la stabilità del sistema democratico e della Ue. Ed è questo il messaggio che, come storica e cofondatrice di Memorial, da mesi vado ripetendo anche qui in Europa. Forse oggi in Germania, in Italia o in Francia avvertiamo questa guerra maledetta di Putin attraverso il flusso dei migranti, l’inflazione o le bollette del riscaldamento. Eppure, credo che la maggior parte dei cittadini europei guardino ancora alla guerra in Ucraina come a un conflitto regionale. Ma è una guerra europea, una guerra in cui Putin vuole sottomettere l’Ucraina perché Kiev oggi si orienta all’Europa e ai suoi valori.

Dalla scorsa primavera lei vive in Germania e da anni lavora al memoriale di Buchenwald. Assieme ad Arseni Roginski ha fondato l’associazione Memorial a Mosca per raccogliere i documenti e le testimonianze sui crimini dello stalinismo. È possibile paragonare i lager del nazismo ai gulag di Stalin?
Come storica devo guardare e sottolineare anche i tratti strutturali comuni a ogni dittatura, le analogie fra i sistemi repressivi e le pratiche del terrore. Il nocciolo che unisce tutti i totalitarismi è il disprezzo per la singola persona, per la dignità dell’individuo. Sono questi elementi di terrore in comune alle diverse dittature che spiegano come l’antiutopia del romanzo 1984 di Orwell sia famosa in tutto il mondo.

E le differenze fra il terrore staliniano nei gulag e gli orrori del nazionalsocialismo?
Quella scatenata da Hitler in Europa, nel settembre del 1939, fu una guerra totale, rivolta non solo contro gli eserciti nemici ma contro le società civili, e che causò la morte di milioni di persone in tutta Europa. Il sistema del terrore nei lager nazisti si basava su un’assoluta “fabbrica della morte”, con l’obiettivo di liquidare milioni di ebrei. Per tutto questo, ciò che oggi vediamo all’opera nella Russia di Putin possiamo senz’altro defi nirlo come una forma inusuale di fascismo.

In che senso adopera questa definizione?
L’aggressiva retorica nazionalista di Putin e dei suoi ministri, la guerra scatenata contro Paesi e popoli considerati dalla propaganda come “satelliti” sottomessi alla Russia, proprietà per così dire dell’uomo e della storia russi, tutto ciò è di fatto una forma di fascismo. Certo, Putin e i suoi ideologi non citano direttamente Goebbels. Ma nella loro aggressiva propaganda sostengono che Putin oggi è la Russia, e senza Putin la Russia non esiste. Un Paese solo, uno Stato solo e un solo leader: questa è l’ideologia proto-fascista che oggi risuona di continuo nella propaganda del Cremlino.

A fine dicembre dello scorso anno Putin ha chiuso i battenti a Memorial. Il ministero della Giustizia si è inventato che voi storici siete “agenti stranieri”, pagati dall’estero. Cosa dà tanto fastidio al regime di Mosca sui dati e sulle testimonianze che Memorial raccoglie sui gulag e sulle violenze dello stalinismo?
Quel che infastidisce il regime è che Memorial, assieme al nome delle innumerevoli vittime dello stalinismo, pubblichi anche i nomi degli aguzzini. Di tutti coloro che hanno commesso crimini in nome dello Stato sovietico, del partito e della dittatura comunista. E questa è un’accusa che in Russia non era mai stata sollevata nella forma in cui l’abbiamo denunciata noi.

Ma accumulate dati e prove sui crimini commessi in Russia a partire dal terrore staliniano degli anni Trenta?
No, i nostri storici accumulano dati e prove sui crimini commessi dal regime comunista a partire dalla rivoluzione del 1917! Noi vogliamo che si formino commissioni che giudichino dal punto di vista legale e formale tutti i crimini commessi in nome dello Stato e del regime comunista. Ma c’è un altro punto essenziale nel lavoro di ricerca di Memorial.

Quale, Scherbakowa?
Noi vogliamo che si faccia finalmente luce sul modo disastroso in cui Stalin e i suoi generali hanno condotto la guerra contro l’invasione nazista. Una guerra atroce che è costata la vita a milioni di soldati e ufficiali e di inermi cittadini. Ma che dal dopoguerra in poi è associata al culto della personalità di Stalin, e ancora oggi viene celebrata da Putin come il mito della Grande guerra patriottica. Senza mai uno sguardo critico sul modo in cui Stalin ha trattato i soldati come carne da cannone. Il lavoro di Memorial mira a far comprendere ai cittadini russi che quella dello Stato sovietico è la storia di uno Stato criminale, che ha trattato in modo disumano i nostri parenti, bisnonni, nonni, padri e madri.

Come mai, nonostante il vostro lavoro di ricostruzione storica basata su testimonianze, interviste e atti, non siete riusciti a convincere la popolazione russa?
Perché noi storici lavoriamo sulla base dei fatti e documenti della storia e della politica russa. L’interpretazione delle costellazioni storiche non è mai bianca o nera, ma richiede un giudizio complesso e attento. Molto più semplice invece per Putin e i suoi ideologi inventare miti, costruirsi leggende ad esempio su Stalin e la gloriosa “guerra patriottica”, e martellare la gente con propagande così unilaterali e semplici. Oggi poi la propaganda putiniana la ritroviamo non solo sul passato storico, ma nelle varie fake news diffuse dal Cremlino contro l’Occidente e l’Europa. Oggi Mosca è un’intera fucina di miti e leggende!

Anche lo scorso 9 maggio si è visto cosa signifi ca per Putin la vittoria dell’Armata Rossa contro la Germania nazista: il mito della Grande guerra patriottica, l’esaltazione del nuovo nazionalismo, il sogno neo-imperiale russo…
La guerra condotta da Stalin contro l’invasione nazista fu senza dubbio un evento tragico ed esistenziale per l’Unione Sovietica. Ma mio padre, giovane ufficiale ebreo a Stalingrado, gravemente ferito in guerra, ha lottato per tutta la sua vita contro le mitologie che il regime ha costruito su questa guerra micidiale. Mio padre, i dissidenti e gli scrittori degli anni Sessanta e Settanta, e oggi il nostro lavoro di Memorial hanno rivendicato i sacrifi ci immensi dei soldati e denunciato il modo in cui la dittatura si è impossessata della vittoria su Hitler per edifi care il culto di Stalin. E continuare poi negli anni Cinquanta le campagne repressive e spedire la gente nei gulag. E ancora oggi Putin costruisce le sue parate del 9 maggio su questi stessi miti e metodi!

Lei e la sua famiglia siete di cultura ebrea. Il virus dell’antisemitismo è già presente negli anni Trenta in Russia, durante il terrore e i processi di Stalin, durante la guerra e anche dopo la morte di Stalin. Tutti aspetti che la sinistra ha poco tematizzato…
Sin dall’inizio l’Unione Sovietica ha osteggiato il movimento sionista, combattuto non solo in quanto ideologia borghese e di stampo nazionalista, ma anche come movimento religioso incompatibile con l’ateismo del regime dei Soviet. Già prima della guerra contro Hitler e sempre di più durante la guerra diventa virulento nella politica sovietica un sistematico antisemitismo. Quadri e dirigenti ebrei vengono liquidati uno dopo l’altro nel partito di Stalin. Gli ebrei cambiano il proprio nome, ma perdono ovunque in Russia il lavoro.

Gli orrori della Shoah sono tabù nell’era sovietica, come il nome di Auschwitz sottaciuto nella politica e storiografi a uffi ciale sovietica. Come il famoso Libro Nero del 1945, sul genocidio degli ebrei russi, redatto da Vasilij Grossman e Ilija Ehrenburg, e che non venne mai pubblicato in era sovietica. Durante gli ultimi anni di Stalin, poi, l’antisemitismo diventa di Stato, uffi ciale e dà luogo a vere e proprie campagne di repressione.

Non solo negli anni di Stalin ma, dal 1956 in poi, anche di Krusciov, non si parla di Auschwitz, bensì semmai di Buchenwald, interpretato come il lager nazista in cui erano morti i fratelli e le sorelle comunisti…
Nel discorso politico sovietico è presente il mito di Buchenwald e della rivolta dei gruppi comunisti lì internati, così come era propagato nella ex Ddr. Auschwitz non poteva certo rientrare in queste tipologie della mitologia comunista. Così come non si parlava della rivolta nel ghetto di Varsavia. Nella storiografi a comunista si oscurava anche il discorso che riguardava rivoluzionari o partigiani ebrei, come nella tristemente famosa foto dei partigiani impiccati dai nazisti a Minsk. Tutti a Minsk sapevano che fra gli impiccati c’era anche la partigiana Masha Bruskin, ma la propaganda sovietica preferì sempre parlarne come “partigiana ignota”. E la giornalista che negli anni Sessanta ricostruì la storia della Bruskin perse persino il posto di lavoro!

C’è un libro in cui lo stretto nesso fra lo stalinismo e l’antisemtismo emerge chiaramente. Vita e destino di Vasilij Grossman. Non è un caso se questo grande romanzo uscì in Russia solo durante la perestrojka, con l’introduzione di suo padre e la sua traduzione di una prefazione di Heinrich Böll…
Per decenni il regime sovietico ha tassativamente vietato la pubblicazione di questa grandiosa opera di Grossman, che avrebbe portato una luce più critica sulla guerra e sul terrore di Stalin. Grossman è stato uno dei pochi a ricostruire le dimensioni del genocidio ebreo e a iniziare il confronto fra i due sistemi repressivi del nazismo e dei gulag. Eppure questo scrittore, nonostante abbia visto e descritto tutte le crudeltà dei regimi totalitari, non perse la sua speranza nell’umanità e nella dignità di ogni singola persona.

“Putinismo” in effetti, oltre alla guerra contro le minoranze e all’invasione di Stati, significa liquidazione delle libertà personali e civili nella società russa…
Sì, oggi si ha di nuovo l’impressione, nella società russa, che la dimensione umana e umanitaria scompaia e si nasconda nei contatti fra gli individui. Per Grossman il valore più importante e da difendere a tutti i costi era quello della libertà e della dignità dell’essere umano. E oggi nella Russia di Putin sono precisamente questi valori etici umani a esser calpestati. La realtà del regime di Putin è quella di una catastrofe umanitaria!

Nel 1962 esce Una giornata di Ivan Denisovič di Solženicyn. Non è stato quello il momento in cui si è aperta una nuova fase di memoria sui decenni di repressione nei gulag?
Avevo 12 anni quando lessi la prima volta quel testo. All’epoca non avevamo computer né internet e per noi i libri e la letteratura erano vera “fuga” e comunicazione sociale. Ero troppo giovane per capire sino in fondo l’importanza di questo racconto dai gulag, ma percepivo questa svolta nella memoria e l’importanza di Solženicyn dalle reazioni dei miei genitori. Con l’altro libro di Eugenia Ginzburg, Viaggio nella vertigine, poi si apre il tema delle memorie dell’orrore dai gulag. Fu poi Arcipelago Gulag di Solženicyn che mi spinse a raccogliere le testimonianze di chi è tornato dai gulag.

Oggi in Russia siete voi storici di Memorial o Alexei Navalny i dissidenti. E fra gli scrittori possiamo forse citare i romanzi distopici di Vladimir Sorokin. Ma la gente in Russia come percepisce oggi la letteratura e i dissidenti?
Diciamo pure che allora i dissidenti erano una piccola cerchia, e il più famoso di loro fu Andrej Sacharov. La letteratura invece ha sempre avuto un ruolo più forte e incisivo. Sorokin ha sicuramente uno sguardo post-moderno sul romanzo e sulla funzione della letteratura, ma dobbiano dire che la sua anti-utopia o distopia si è oggi ampiamente realizzata nella Russia di Putin. Speriamo che prima o poi Sorokin scriva anche una utopia che ci liberi dalla purtoppo così concreta “distopia” putiniana!

Ma la gente ci crede davvero nel regime di Putin, e perché i russi credono in questa guerra in Ucraina?
La gente vede in internet la distruzione delle città ucraine. Ma abbiamo in Russia una lunga tradizione di regime della paura, del terrore, del non voler vedere la realtà, del piegarsi alla forza del potere. Forse la gente non ha sentito della chiusura di Memorial o del premio Nobel per la pace. Forse ci vede come “agenti dell’estero”. Ma per tanti altri in Russia il Nobel per la pace a Memorial è una speranza, una protezione e una luce nel buio profondo di questa tempesta putiniana. ​​​​​​ 

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