La rivoluzione dell’ironia, Jane Austen è sempre attuale

In letteratura ci sono poche certezze, ma se vi dico di pensare a Jane Austen sono sicura che avremmo tutti davanti agli occhi la stessa immagine: quella della scrittrice ritratta a mezzobusto, leggermente profilata, con qualche ciocca di capelli che le scappa dai bordi della cuffietta stile regency. Ho indovinato? Sicuramente sì. Ma non era poi così difficile: nonostante da duecentocinquant’anni l’autrice di Orgoglio e Pregiudizio, Emma e Persuasione sia una delle voci più celebrate e conosciute della letteratura occidentale, non abbiamo che un solo, rarissimo ritratto a riportarci le sembianze della persona che ha dato vita a quelle storie. Il disegno, ormai diventato iconico quanto lo stile stesso dell’autrice, negli ultimi anni è stato riproposto su oggetti di ogni sorta – da tazze a candele, da quaderni a diari segreti – contribuendo alla creazione di un vero e proprio merchandising da fare invidia a quello di una popstar; non molti però sanno che lo schizzo originale era stato realizzato a matita dalla sorella Cassandra ed era stato messo in circolazione dall’editore soltanto dopo la morte di Jane Austen, quando finalmente i sei romanzi avevano cominciato a circolare con il nome dell’autrice. Prima di allora, all’inizio del XIX secolo, esporsi firmando il frutto del proprio lavoro creativo non era cosa ben vista per una donna, così, quando nel 1811 uscì Sense and sensibility, lettori e lettrici si erano dovuti accontentare di sapere che a scriverlo era stata una generica signora, “a Lady”, come indicato sulla copertina. Ancora oggi non oso immaginare la frustrazione che l’autrice possa aver provato a lasciar andare le proprie opere nel mondo coperte dall’anonimato. Troppo a lungo la tradizione ha attribuito alle donne del passato la caratteristica della reticenza, una modestia sconfinante nella timidezza cronica, una posizione volutamente al margine, per insicurezza, forse, o per eccesso di cautela. Si può scrivere nascoste? Come lavorava Jane Austen Il fuoco dell’ambizione Uno dei motivi per cui ho sempre amato Jane Austen è proprio la sua assenza di retorica, sia nei romanzi che nella vita: «Io scrivo per la fama» aveva scritto in una lettera a Cassandra. E per fama non intendeva essere conosciuta da un vasto numero di persone, quanto vedersi riconosciuto il proprio valore letterario, essere vista in quanto autrice delle sue opere e raccoglierne personalmente le critiche, positive o negative che fossero. Dopo di lei, e solo molti anni dopo, sarebbero arrivate Emily Dickinson e Sylvia Plath a reclamare lo stesso desiderio: quello di essere viste attraverso la propria scrittura, dichiarando il fuoco di un’ambizione che alle donne non veniva mai concesso di coltivare senza provare colpe. Oggi, nel giorno del suo duecentocinquantesimo compleanno, la scrittrice inglese sarebbe felice di sapere che non solo tutti i suoi romanzi continuano a essere letti e ristampati, ma che ogni anno almeno uno di loro viene riadattato in forme diverse, dal cinema alla televisione, alle piattaforme di streaming, con discussioni più o meno accese sull’attore più adatto a interpretare il ruolo di Mr Darcy (l’ultima riscrittura, a quanto pare, è stata assegnata da Netflix a Dolly Alderton per una miniserie). Bridget Jones, meritavi di meglio: Jane Austen non ti avrebbe fatta così Storie quotidiane Da Elizabeth Benneth a Emma Woodhouse e Fanny Price, le eroine di Austen hanno resistito al tempo attraversando mutamenti di gusto e tendenze, accompagnando le donne nelle loro rivoluzioni sociali. Ma come è possibile che proprio quelle storie, il cui fine sembra essere quello di arrivare al matrimonio, riescano a parlare ancora oggi alle lettrici moderne, per le quali spesso il matrimonio non è un punto di arrivo, ma solo uno dei tanti obiettivi della vita? La verità, credo, stia nel fatto che nelle trame di Austen l’arte del flirtare – in precario equilibrio tra ironia e desiderio – abbia sempre avuto più importanza rispetto alla mera retorica dell’incontro di due anime gemelle unite dal destino. Nei suoi romanzi ci sono rifiuti, ripensamenti, seconde chance e promesse non mantenute, ma la scelta finale è sempre ben ponderata e operata con razionalità dalle protagoniste, particolarmente lucide per quanto riguarda la condizione della donna nella società del tempo: passare dal padre al marito, non possedere proprietà, non avere diritto a una propria autonomia economica. Le storie immaginate da Austen hanno come vero obiettivo per le eroine quello di garantirsi un futuro stabile che non sia slegato dall’amore e farlo senza picchi di grossa drammaticità, come succederà invece più avanti nei romanzi dell’Ottocento inoltrato, popolato per lo più di eccezioni ed eroismi, con trame che incoraggiano l’intrattenimento, ma poco l’identificazione. Austen invece scrive storie quotidiane, la cui ironia si impone come forma di rivoluzione minima, un modo per prendere in giro la stupida gabbia di formalità, gesti prescritti e ruoli domestici che prima o poi, un giorno, sarebbe stata piegata da una nuova generazione di donne. Jane Austen è la prima scrittrice a dare voce al rimosso femminile in letteratura Il vero happy ending La scrittrice inglese era nata il 16 dicembre 1775 nel villaggio di Steventon, nell’Hampshire, un luogo che insieme a Bath, negli ultimi mesi è stato invaso da festeggiamenti di lettori e lettrici appassionati, spesso vestiti con gli abiti dell’epoca e coinvolti in danze e cerimonie ispirate alle atmosfere dei romanzi della scrittrice. Ovviamente, in occasione del grande anniversario, anche le due più importanti associazioni di austeniani – la Jane Austen Society e la Jane Austen Society of North America – si sono date da fare per celebrare l’autrice con podcast e libri di cucina ispirati ai pranzi della famiglia Bennett e compagnia. Per quanto mi riguarda, per ricordare Jane Austen, nell’ultimo mese sono tornata a leggere Persuasione, un romanzo pubblicato postumo a distanza solo di qualche mese dalla morte dell’autrice. La storia racconta di Anne Elliot che, otto anni dopo essere stata persuasa a rifiutare la proposta di matrimonio del capitano Wentworth, si trova a riconsiderare la sua decisione, dopo averlo incontrato di nuovo. Di questo romanzo amo soprattutto una scena, nella quale mi piace pensare che la scrittrice stessa abbia lasciato un messaggio per le sue lettrici, una chiave di lettura a ritroso, una lente attraverso cui leggere il senso della sua intera opera. La protagonista è nel bel mezzo di una discussione incentrata sull’amore: la questione è incentrata su chi, tra uomini e donne, riesca a provare il sentimento con maggiore costanza e intensità. «Gli uomini» risponde il suo interlocutore. «Lo dicono tutti i romanzi». Ma lei ribatte che significa poco, perché gli uomini, a differenza delle donne, hanno sempre avuto il privilegio di raccontare da soli la propria storia. Almeno fino a quel momento. Dopo aver letto questo passaggio, l’immagine di Jane Austen come regina della trama del matrimonio impallidisce davanti a un’altra grande verità: quella di essersi fatta portavoce dell’universo femminile raccontandolo dall’interno con realismo e intelligenza, pur giocando con quella poca autonomia che veniva concessa alle donne del suo tempo. Ritornando a quelle storie oggi, è evidente quanto il lieto fine non sia solo una questione di match perfetto, la ricerca dell’anima gemella (con una certa stabilità economica). Il vero happy ending è la scrittura stessa di Austen e il fatto che per una donna di inizio Ottocento sia stato possibile perseguirla come professione, per poi arrivare fino a noi. Era il 2 dicembre del 1802 quando un uomo in possesso di un buon capitale le si presentò con una proposta di matrimonio, che lei accettò, salvo poi rimangiarsi la parola il giorno dopo. In quel periodo la scrittrice aveva appena ricevuto un anticipo per il suo primo romanzo, solamente dieci sterline, l’equivalente di duemila pound. Si trattava di una cifra modesta, ma sufficiente per incoraggiarla ad andare avanti senza compromessi per la propria autonomia personale e intellettuale. Un’eccezione allora, che oggi però si è fatta possibilità concreta. Allora buon compleanno Jane Austen, e grazie davvero di tutto, dal profondo del cuore. Tradurre Jane Austen