La destra e la forza della gerarchia: le scorciatoie battono l’uguaglianza

Molti si chiedono, non da oggi, come mai sembri sempre facile “vincere con le idee di destra”, e come mai sembri sempre faticoso “vincere con le idee di sinistra”. Anche quando un messaggio progressista prende piede, basta un colpo d’aria per farlo crollare, per farlo subito sostituire con la visione conservatrice del problema, con l’idea di destra, insomma, che non sembra fare sforzi per recuperare terreno, persino se pareva archiviata da anni. In realtà la domanda così impostata (destra o sinistra) non è utile. L’interrogativo più storicamente ampio (o addirittura senza tempo) sarebbe: perché è più facile e ha più successo il messaggio della gerarchia rispetto a quello dell’uguaglianza? Pacchetto completo Non è una questione di marketing, ma di struttura mentale. Le gerarchie si vendono meglio perché coincidono con il modo in cui l’essere umano ordina il mondo. E mentalmente lo disegna. Sono una scorciatoia cognitiva, un meccanismo economico con cui semplifichiamo. L’uguaglianza, al cospetto della gerarchia, provoca una sensazione di spaesamento. «Cosa stai cercando di fare? Mi togli la terra da sotto i piedi?». Prima ancora di capire il linguaggio, un bambino percepisce la differenza tra grande e piccolo, forte e debole, chi comanda e chi obbedisce. È la grammatica elementare dell’esperienza. Non va insegnata, si riconosce, e anzi il lavoro pedagogico da fare di solito è quello di smontarla un po’, di ridimensionarne quantomeno la ferocia. La gerarchia insomma è una forma di orientamento primitiva, dà la sensazione di aver capito il mondo senza dover sviluppare neppure il linguaggio che ti servirebbe a chiedere spiegazioni, o a discutere con gli altri. Da questa struttura cognitiva di base nasce la forza delle gerarchie: «Le cose devono essere così perché sono così». Visibili, misurabili, anche teatrali. Le gerarchie parlano un linguaggio concreto, fatto di posture, toni di voce, segni di distinzione. L’uguaglianza, al contrario, è poco visibile. A dirla tutta: dov’è? «Ce la vogliono imporre, non esiste in natura». Eppure non è giusto dire che sia del tutto astratta, avulsa dal reale, anche perché alcune questioni basilari della vita umana, ve ne dico una su tutte, la morte, con la loro inevitabilità rivelano brutalmente l’uguaglianza. Forse l’uguaglianza spaventa perché ha un legame profondo con certe cose che non vogliamo vedere. «Posso comprare praticamente qualsiasi cosa, ma non posso comprare il tempo». (Warren Buffett, patrimonio di 150 miliardi di dollari). Forse il problema è che vedi l’uguaglianza solo se ti metti in certi punti di osservazione che vanno prima di tutto un po’ costruiti, come costruire una scala che ti fa vedere il paesaggio. Siamo nel campo degli esperimenti mentali. Le gerarchie si impongono invece per inerzia. Non devi costruire la scala, basta che ti siedi in poltrona. Non hanno bisogno di essere spiegate. Sono il software preinstallato della specie. Tutte le società, nel tempo, hanno costruito sopra questa base un sistema simbolico che la rafforza. La religione l’ha chiamata provvidenza, la politica ordine, l’economia successo, la biologia differenza naturale. In questo modo una semplice scorciatoia cognitiva è diventata una struttura storica e morale. Ecco perché le gerarchie si vendono meglio. Ti dicono chi sei e dove stai, pacchetto completo: sopra, sotto, dentro, fuori. Ti offrono sicurezza e identità. L’uguaglianza, invece, richiede una sospensione del giudizio, una fiducia nell’astratto. È una promessa senza immagini (aiuto, quasi quasi divento fascista). La rimozione dell’intelligenza, a cui ci adattiamo troppo facilmente Durevoli Le società, poi, premiano ciò che dura. Le gerarchie, per definizione, si riproducono facilmente: ogni generazione nasce già dentro la struttura di potere e la apprende come normale. L’uguaglianza, invece, non si deposita mai, e nella sua impalpabilità volteggia: va insegnata, spiegata, riscoperta. È come una lingua seconda che si dimentica se non la si parla ogni giorno. La giustizia, l’inclusione, la parità sono idee che devono continuamente giustificarsi. Quando una società si stanca di pensare, torna all’ordine, perché è più riposante. Quando la stagione della diversity e della responsabilità sociale si è dissolta, non è tornato il vuoto: è tornata la semplicità gerarchica. L’uomo forte. Ma nella fragile ricercatezza dell’uguaglianza c’è anche la sua potenza. L’uguaglianza è il gesto più umano che esista, perché obbedisce alla mente in modo puro. È la scelta di non prendere la scorciatoia. Non è il modo più semplice per stare al mondo, ma è l’unico che ci ricorda che il mondo appartiene a tutti: e ora provate a negarlo. Segnalibro della memoria collettiva: il valore di interrompere l’ordine