Un saggio tenta di superare la distinzione fra apocalittici e integrati studiando le «forme brevi» della rappresentazione. Post, tweet e stories non ci distraggono ma provocano una catarsi. La Silicon Valley preferisce tenerci su un format solo
- Mentre la vita si sposta sul lato digital, il primo imputato biopolitico è la tecnologia. Ma è il caso di andare oltre la divisione apocalittici/integrati inaugurata da Umberto Eco nel 1964.
- I punti fondamentali, spiega Pietro Montani, per cui le «forme brevi» del digitale non sono affatto uno stupido intruso nel funzionamento dell’intelligenza e delle emozioni ma permettono uno sguardo nuovo, sono due.
- Punto primo. I mezzi che usiamo per conoscere e fare da sempre influenzano il nostro modo di pensare. Punto secondo: l’immaginazione, la facoltà umana più misteriosa (e misterica), è già inter-mediale.
Grandi possibilità uguale grandi pericoli. Mentre la vita si sposta sul lato digital, il primo imputato biopolitico è la tecnologia. Basta chiedere a insegnanti stremati da classi online, genitori martellati da chat parentali, a quel che resta di un partecipante dopo una lunga riunione in modalità “lavoro agile”, alla legione di addicted del sesso virtuale. Dei rischi biopolitici/tecnologici parlano sociologi come Evgenij Morozov e web guru come Jaron Lanier. Documentari come The Social Dilemma



