Dobbiamo deplorare o piuttosto compatire il ministro-cognato Francesco Lollobrigida? Dopo aver profetizzato che il crollo demografico italiano, se non compensato alla svelta, scatenerebbe la “Grande Sostituzione”, sommerso dalle critiche di chi gli ricordava la storia infame di quell’espressione, si è puerilmente difeso dicendo: non ne sapevo nulla. Sono ignorante, non razzista. L’ignoranza è però una delle componenti primarie del razzismo, spinge a parlare a sproposito e a usare termini e concetti che andrebbero maneggiati con prudenza da artificiere.

Più che una teoria, quella della Grande Sostituzione è infatti un’ideologia razzista di bassa lega, una delle tante che il pensiero reazionario suole creare per diffondere posizioni complottiste e isolazionistiche. Come tutte le ideologie, non serve per illuminare i fatti, ma per mascherarli e renderli irrilevanti. La procedura è sempre la stessa. Si raccattano favolette scalcinate e dicerie maligne, si inventano miti e leggende, a volte si spacciano per veri documenti falsi (magari fabbricandoli ad hoc) e su queste basi si elaborano contorte filosofie della storia, in cui la memoria delle glorie del passato, vere o presunte, si mescola con la profezia di pericoli imminenti e l’esaltazione di destini e missioni fissati dal fato.

I Protocolli dei Savi di Sion sono un esempio famoso di questo metodo: redatti ai primi del Novecento dai servizi segreti zaristi in funzione antisemita, furono adoperati per decenni da fascisti e nazisti di tutt’Europa per sostenere la tesi di un’Internazionale giudaico-massonica intenzionata a dominare il mondo. Una teoria non dissimile domina da secoli la storia russa ed è ancora viva nelle dottrine geopolitiche di Putin. Se ne trova il racconto in The Story of Russia, magnifica sintesi pubblicata l’anno scorso da uno specialista del livello di Orlando Figes, che mostra come il putinismo non è che lo sbocco di una tradizione profondamente radicata in quel paese. In questo caso, il grande nemico è l’occidente, corrotto e sovversivo perché animato dai principi della Rivoluzione francese. E, siccome ogni teoria del complotto agita lo spauracchio di un Grande terrore, in questo caso il terrore è quello dell’invasione territoriale e della contaminazione ideologica.

I tratti di questa dottrina rimontano a Sergei Uvarov, un ministro dell’educazione che nel 1833, partendo dalle scuole e prescrivendo programmi e libri di testo, diffuse la teoria della diversità dei russi, che si distinguono dagli europei per la devozione alla chiesa e allo zar, la capacità di sacrificio e il patriottismo. La dottrina, che diventò nota col nome di “Nazionalità ufficiale”, si consolidò con la formazione, in quegli stessi anni a Mosca, del Circolo degli Slavofili, che si richiamavano al mito romantico-reazionario alla comune di villaggio, dove i contadini hanno espulso l’egoismo e vivono di comune accordo. Gli Slavofili contrastarono le riforme occidentalizzanti di Pietro il Grande, creando il mito della Russia come difensore della Cristianità contro il materialismo occidentale. Il mito approda a poco a poco all’idea di un “Mondo Russo” (di cui fa parte l’Ucraina non meno della Polonia e della Bielorussia), che l’Europa non riesce a capire ma solo a minacciare. Come si vede, Vladimir V. Putin non ha inventato nulla di nuovo.

La teoria della Grande Sostituzione a cui si richiama il ministro-cognato è l’ultima variante di questo schema, che si finge geopolitico ma è solo reazionario. La sua trafila non è chiara, ma di certo proviene dalla Francia, patria tanto di campioni del socialismo quanto di alfieri della più cupa reazione, e ha trovato eco in filosofi e scrittori che potrebbero esser anche considerati, per altri versi, rispettabili. Il portabandiera è di solito indicato nel poligrafo (e grafomane) Renaud Camus, autore di un libro intitolato appunto Le Grand Remplacement (2011), in cui profetizza l’imminente scomparsa degli europei bianchi e il loro rimpiazzo da parte di sciami di migranti. Camus è stato più volte condannato per odio razziale: da ultimo, nel 2020, per aver pubblicato un infame tweet (“Una scatola di preservativi donata in Africa significa tre annegati in meno nel Mediterraneo, centomila euro di risparmi per l’assistenza pubblica, due celle liberate e tre centimetri di sponda conservati”), che dinanzi al giudice ha tentato di spacciare per “umoristico e caricaturale”.

Due romanzi

Più che i testi di Camus, a rendere popolare dottrina della Grande Sostituzione sono stati però due romanzi. Il primo è Le Camp des Saints di Jean Raspail (1925-2020), uscito nel 1973, letterariamente piuttosto potente, diventato riferimento costante dell’estrema destra francese, a cominciare da Marine Le Pen. Un bel giorno il vecchio professor Calguès, dalle colline della Costa Azzurra, vede a cinquanta metri dalla riva una «incredibile flotta rugginosa venuta dall’altra parte della terra». Le navi sono più di cento, e il professore, aiutandosi con un cannocchiale, calcola che hanno a bordo almeno un milione di miserabili, «un antimondo venuto a bussare direttamente alle porte dell’abbondanza». Attorno alle navi, migliaia di corpi di persone morte durante il viaggio, che finiscono per arenarsi sulla riva. Il professore vede poi l’immensa folla che, scesa dalle navi, sale su per il colle cantando «canti dolcissimi ma di estrema potenza». Sulla terra di Francia è insomma sbarcato un popolo intero. Lentamente invaderà la Francia e finirà per dominarla, anche per la fragilità e l’acquiescenza della popolazione e delle autorità.

L’invasione della Francia diventa completa nel più recente Soumission di Michel Houellebecq (2015), dove si immagina che alle elezioni del 2022 sinistra e destra si alleino col partito islamico per contrastare l’estrema destra. Vince il candidato musulmano, che subito mette mano al suo programma: «negoziati per la prossima adesione del Marocco all’Unione Europea», inclusione della Turchia, incremento dei posti di lavoro «dovuto alla massiccia uscita delle donne dal mercato del lavoro», abbreviazione dell’obbligo scolastico a 12 anni… Intanto le università vengono privatizzate e la Sorbona diventa di proprietà saudita, è introdotta la poligamia, i francesi cominciano a convertirsi, nei vagoni ristorante appaiono menu hallal, il partito musulmano espande il suo dominio prendendo il potere anche in Belgio.

Il protagonista stesso, un nevrotico professore universitario specialista di simbolismo, stretto dai cambiamenti del paese, oltre che dagli inviti delle autorità della Sorbona, non riesce a veder nulla di male nell’idea di convertirsi: «Sarebbe la possibilità di una seconda vita, senza un gran legame con la precedente. Non avrei un bel niente da rimpiangere».

Demografia

A intricare ulteriormente la matassa sono intervenuti, per una delle singolari formule che caratterizzano la cultura francese, gruppi diversi di demografi, brandendo cifre e percentuali che si presumono indiscutibili ma sembrano dire cose opposte.

Da una parte Hervé Le Bras (notissimo in Francia) e Catherine Wihtol de Wenden, che hanno rassicurato: l’immigrazione non è un pericolo, bisogna aprire le frontiere a tutti (il cosiddetto sansfrontièrisme). Dall’altra, Michèle Tribalat, che l’anno scorso ha pubblicato Immigration, idéologies et souci de la vérité, durissima analisi degli atteggiamenti sansfrontièristes, accusati di occultare i fatti ricoprendoli di ideologia. Come si vede, il ministro-cognato, sospinto dalla sua confessata ignoranza, ha calpestato un vasto e stratificato deposito di sterco. Ma dove sono i fatti, dove le farneticazioni ideologiche? In un mondo dominato dal fake, dalla post-verità e dai “fatti alternativi” (Trump dixit), distinguere i due campi è tanto urgente quanto arduo.

 

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