Se c’è forse una cosa su cui i romani non scherzano sono le terrazze. Sì, perché senza una terrazza a Roma non esisti, che tu ci organizzi un torneo di ping-pong o una partita a burraco o un lunch d’affari. La terrazza è un fatto pubblico prima che privato, i romani la esibiscono, la ostentano, e quanto più il belvedere è di prestigio tanto più il potere e lo status sociale salgono (in ordine crescente: vista gasometro, vista Olimpico, vista Colosseo, vista san Pietro).

Il dottor Ribaldi era un romano doc, ma tutti lo chiamavano “cumenda” per sottolineare il suo attaccamento all’azienda e al denaro. Fatto sta che negli ultimi tempi di pandemia gli affari non andavano più a gonfie vele, la crisi era trasversale, e anche quelli che fino a poco tempo prima avevano continuato imperterriti a organizzare un festino dietro l’altro sulle loro belle terrazze, adesso dovevano tirare la cinghia.

«Quest’anno in terrazza ci andremo in vacanza», annunciò il dottor Ribaldi a sua moglie Amanda, la quale restò a dir poco stupefatta.

«Siamo messi così male?», gli domandò con un groppo in gola.

«Cara, quanto sei ingenua», concluse il dottor Ribaldi. «Male sarebbe ancora una previsione ottimistica».

«Ma noi siamo sempre andati a Capalbio», replicò Amanda. «Ne va della nostra rispettabilità».

«Capalbio quest’anno è impossibile».

«Io ho bisogno di quell’odore di resina e salmastro, di quell’impasto etrusco e romano! Magari si potrebbero ridurre i giorni di permanenza. Invece dei soliti 15 giorni soltanto una settimana. Che te ne pare?».

Il dottor Ribaldi non volle sentire ragioni, perciò il giorno stabilito per l’inizio della vacanza fece trasferire armi e bagagli la famiglia su in terrazza, un bel rettangolo spazioso che si raggiungeva tramite un’elegante scala a chiocciola, molto noto in un certo giro romano frequentato anche da qualche politico di spicco e qualche bella figliola della tv.

«E per dormire scenderemo a casa?», protestò uno dei figli del dottor Ribaldi. «E che vacanza sarebbe?».

Ma il dottor Ribaldi aveva previsto tutto, aveva pianificato quella vacanza fin nei minimi dettagli. Per le ore di canicola c’era il pergolato dove avrebbero anche mangiato, e per la notte aveva fatto predisporre dei gazebo con relativi materassini e sacchi a pelo.

«Sarà come andare in campeggio», asserì tronfio. «Ma un campeggio extra-lusso visto che si tratta pur sempre di casa nostra».

Proiettare Capalbio

Quella vacanza sui generis cominciò, e c’è da dire che le prime settimane volarono. Amanda leggeva gialli sulla sdraio quasi per tutto il tempo, mentre i figli avevano gonfiato una piscina e lì potevano illudersi di stare trascorrendo la loro pausa estiva al mare. Quanto al dottor Ribaldi, il suo piacere più grande, non senza qualche inquietudine, era assistere a quella menzogna di cui lui stesso era il creatore.

Di sera si stufarono abbastanza presto di guardare le stelle cadenti. Nonostante le proteste dei figli che ormai custodivano migliaia di scatti sui loro smartphone, rispolverarono un vecchio proiettore sul quale venivano mandate in loop le vecchie diapositive delle vacanze a Capalbio.

«Quanto eravamo felici», sospirava Amanda, mentre il dottor Ribaldi si lasciava incantare dalle immagini del mar Tirreno e della Maremma e gli sembrava di cascarci dentro, di essere ancora una volta lì. Finito l’incantamento però si doveva tornare coi piedi per terra, e tutti sapevano che erano poggiati sopra i mattoni della loro stessa terrazza.

L’altra terrazza

Quel che metteva in ansia il dottor Ribaldi era la terrazza del palazzo dirimpetto, che sfortunatamente era più in alto della loro. Ma quella terrazza in tanti anni era sempre rimasta vuota, e l’appartamento relativo sfitto. Certo sarebbe stata una gran figuraccia per il dottor Ribaldi, se qualcuno per sbaglio avesse potuto vederlo in costume e infradito sulla terrazza di casa sua, mentre tutta la società – la crème de la crème – lo credeva al mare in Toscana. L’apprensione del dottor Ribaldi lo spinse a prendere contatti con il portiere dello stabile di fronte, per reperire informazioni sulla famigerata terrazza.

«Dell’attico che mi dice?» chiese subito al portiere, che sembrava non aspettare altro che spettegolare.

«Ce ne sono due, scala A e scala B, con o senza terrazza. Di quale voleva sape’

«Di quello con la terrazza».

«Allora scala A. È sfitto da tantissimi anni, e te credo, i proprietari chiedono un occhio della testa».

«Sapevo che era sfitto, ma i proprietari chi sono?»

«È passato de mano in mano, è ‘na patata bollente».

«Cioè? Che significa?»

«Brutte storie dotto’».

Il dottor Ribaldi non era tipo da demordere. «Sarei interessato all’acquisto, posso vederlo?»

Il portiere aveva un mazzo di chiavi lasciato dall’agenzia immobiliare e non gli parve vero di uscire dalla sua guardiola.

Un delitto

Salirono in ascensore all’ultimo piano, fecero il giro della casa.

«La terrazza?», chiese infine il dottor Ribaldi, andando al punto che gli premeva.

«È sul tetto, bisogna salire una rampa di scale».

«Posso vederla?».

Il portiere annuì, facendo strada. Quando il lucchetto scattò il dottor Ribaldi si trovò davanti uno spazio di un’ottantina di metri quadri, per metà coperta da un tettuccio di legno mangiato dal sole, e diversi vasi di piante incenerite. Si poteva ancora respirare lo sfarzo del passato, sebbene nel complesso l’area ispirasse una avvilente cupezza.

«È un po’ lugubre», osservò il dottor Ribaldi. «Quali sono questi fatti brutti di cui mi parlava?».

«Una storiaccia de sangue, dotto’».

«Di sangue?».

«Un delitto passionale durante una serata letteraria. Quassù si svolgeva il premio Landolfi, forse ne avrà sentito parlare».

Il dottor Ribaldi non era ferratissimo in materia letteraria, ma la sua mondanità lo obbligò a dire di sì.

«Ecco, un accoltellamento», precisò il portiere.

«Un marito geloso della moglie?».

«Macché. Uno scrittore geloso dell’opera di un altro. Il premio da allora fu cancellato, la terrazza chiusa. Dicono che non porti tanto bene questo posto».

Il dottor Ribaldi ridacchiò. «Per questa ragione è sfitto da così tanti anni? Non riescono a vendere?».

Il portiere si strinse nelle spalle. «E chi può dirlo, dotto’».

Ritorno del premio

Il dottor Ribaldi rimase ancora per qualche secondo sulla terrazza, senza il coraggio di affacciarsi e buttare un occhio alla sua, che stava proprio là davanti, solo qualche metro più sotto.

Successe quello stesso giorno, quasi a notte fonda. Dalla terrazza più in alto cominciarono a sparare dei fuochi d’artificio. Il dottor Ribaldi, che si era già steso sopra il sacco a pelo, si riscosse dal sonno terrorizzato. Chi diavolo stava facendo una festa proprio sopra la sua testa? E allora li vide, erano tutti con gli occhi puntati su di lui.

«Siete quelli del premio Landolfi?» disse, con un filo di voce.

«Ci siamo tutti caro il nostro “cumenda”», risposero grevi, tra le esplosioni. «Sia i vivi sia i morti».

Il dottor Ribaldi riconobbe con orrore anche i suoi amici del ping-pong, del burraco, dei lunch d’affari, i politici e le belle figliole della tv.

«E voi?», urlò disperato. «Che ci fate voi su quella terrazza abbandonata?».

Ma la sua voce venne coperta dalle risate di scherno della comitiva. Il dottor Ribaldi non aspettò un attimo in più e spiccò il volo dal settimo piano. Soltanto poco prima di sfracellarsi al suolo gli venne il dubbio che poteva essersi trattato soltanto di un brutto sogno.

 

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