Immersi come siamo in questo eterno presente accelerato, un fast-forward esistenziale in cui le emergenze (o anche solo i topic da commentare obbligatoriamente per apparire arguti sui social) si susseguono a ritmo vertiginoso, sembra già un’epoca storica lontanissima. Eppure da quando un gruppo di rivoltosi prese d’assalto Capitol Hill, aizzati dal presidente uscente Donald Trump, per impedire il riconoscimento da parte del Congresso della vittoria di Joe Biden, sono passati solo sei mesi: era il 6 gennaio 2021.

In Italia era la tarda serata, ricordo che immediatamente fummo tutti attraversati dalla consapevolezza di assistere a un evento storico, uno di quei momenti in cui la Storia è in bilico, sospesa come un masso in cima a una montagna, ed è impossibile sapere da che parte cadrà, quale direzione prenderà. La più antica e potente democrazia del mondo che veniva rovesciata da un gruppo di assalitori di estrema destra, un manipolo di variopinti complottardi, suprematisti bianchi, fascisti post-post-moderni, alla cui testa sembrava esserci lo stesso presidente: un po’ notte dei cristalli, un po’ Guerre stellari quando la repubblica diventa un impero.

Attraverso i social

Negli ultimi vent’anni non sono mancati momenti così, giornate in cui il mondo irrompe nelle nostre case, come uno tsunami che filtra attraverso uno schermo: l’11 settembre 2001, ovviamente, ma anche la strage di Charlie Hebdo, quella di Nizza, il tentato golpe in Turchia… Come in quei casi, anche a gennaio c’era la sensazione disturbante di assistere a qualcosa di inedito, di inaudito, e allo stesso tempo già visto, una replica “nella realtà” di tanti film americani o videogiochi sparatutto.

Ciò che rende i fatti del 6 gennaio particolarmente angoscianti e perturbanti (sebbene negli esiti immediati meno tragici) è che l’assalto di Capitol Hill l’abbiamo vissuto in diretta attraverso i social network, scrollando compulsivamente la timeline di Twitter in attesa di aggiornamenti del New York Times o della Cnn, certo, ma anche di post fatti direttamente dai rivoltosi, dall’interno di aule e corridoi di colpo trasformati nel set di un brutto film di Arnold Schwarzenegger. I social, il fatto che li fruissimo dal telefonino, sugli stessi display in cui leggiamo i messaggi dei nostri amici o raccontiamo i fatti nostri, hanno reso il racconto dell’evento particolarmente frammentato (e quindi più incomprensibile, e quindi più spaventoso), ma anche paradossalmente più “intimo”, più vicino, capace di toccarci di più.

Non è un caso allora che Enrico Deaglio prenda proprio quegli eventi come punto di partenza per il suo ultimo romanzo, Cose che voi umani, appena pubblicato da Marsilio. Se esistesse la carica di “Narratore della Repubblica” senz’altro la ricoprirebbe Enrico Deaglio. Campione di quella (ristretta) cerchia di giornalisti e scrittori che nel corso degli anni hanno raccontato l’Italia agli italiani, un’Italia che gli italiani non sempre avevano voglia di conoscere, Deaglio non è mai venuto meno non solo al desiderio di capire, di dare un senso agli eventi della nostra vita pubblica, ma anche di farne un racconto che potesse arrivare alle orecchie (e sperabilmente al cervello e al cuore) di tanti, una narrazione capace di coinvolgere e trascinare il lettore, ma anche di scuoterlo. L’opposto, insomma, di quello che oggi si chiama storytelling, e che spesso è solo propaganda foderata di supercazzole. Inoltre Deaglio ha anche una lunga esperienza di “americanista” e in questo romanzo lo dimostra ampiamente.

Un giallo

Cose che voi umani è un giallo, un giallo in cui c’è una scena del crimine, Capitol Hill, un delitto, l’assalto dalla democrazia americana, e un investigatore che vuole vederci chiaro. Anthony Sanfilippo, il protagonista del libro, è un americano di origini italiane, orami in pensione, che un giorno riceve una telefonata da un avvocato: suo cognato, una brava persona, un convinto democratico e elettore di Clinton l’ultima volta che l’ha visto anni fa, è stato arrestato perché tra i partecipanti dell’assalto a Capitol Hill. Che ci faceva lì? Chi o cosa l’ha spinto a unirsi ai cultisti di QAnon? È l’inizio di un’indagine dai risvolti inaspettati e che sostiene la trama gialla divertita e appassionante del libro. Ma l’indagine di Sanfilippo è anche il palinsesto che permette a Deaglio di portare avanti la sua inchiesta: come siamo arrivati al 6 gennaio 2021 e a uno “sciamano” radicalizzato su internet con un cappello con le corna seduto sullo scranno del vicepresidente degli Stati Uniti?

Forse una delle possibili risposte, come nella Lettera rubata di Poe, è sempre stata davanti a noi: è la forma stessa che Deaglio ha scelto per il suo libro, e cioè il romanzo. Poteva scrivere un saggio, un pamphlet, un’inchiesta: ma scegliendo di scrivere un romanzo è come se ci volesse indicare la caratteristica più peculiare di questi tempi folli. Mai come oggi, e direi mai come il 6 gennaio, la finzione ha influenzato la realtà: l’invenzione romanzesca, l’immaginazione cinematografica, le narrazioni seriali, gli scherzi su internet sono diventati qualcosa che produce degli effetti nel mondo reale, che portano a delle conseguenze imprevedibili e catastrofiche. Trump ha consapevolmente soffiato sul fuoco del culto di QAnon, un’ipotesi di complotto nato su internet, “giocato” dai suoi adepti come fosse un gioco di ruolo in cui si devono scoprire gli indizi di un enigma. Lo “sciamano” con il copricapo di pelliccia e le corna che si è seduto sullo scranno del vicepresidente ha il corpo ricoperto dei tatuaggi di moda nell’ultradestra che hanno l’aspetto norreno e vichingo, ma spesso arrivano dai videogiochi. Il grido “rope”, corda, che circolava nella folla degli assalitori, viene da un romanzo neonazista di fantascienza del 1975, in cui si immagina una seconda Guerra civile americana in cui l’autopercepita minoranza bianca porterà a compimento la pulizia etnica degli Stati Uniti. E così via.

Lo stile paranoide

«Come possiamo spiegarci la nostra situazione attuale senza credere che uomini ai vertici di questo governo stiano lavorando di converto per consegnarci al disastro? Dev’esserci una grande cospirazione, una cospirazione di scala così immensa da far impallidire ogni altra simile impresa nella storia dell’uomo»: sono parole del senatore McCarthy riportate in un prezioso libretto, grande classico della filosofia politica e ora tradotto da Adelphi, Lo stile paranoide nella politica americana di Richard Hofstadter. La paranoia, l’aizzare la paura verso un nemico più o meno immaginario, spesso inerme e subalterno, a fini politici è una strategia, una postura, uno stile appunto che caratterizza il discorso pubblico americano (e non solo…) da sempre.

In questo Trump non ha inventato niente: lo mostra bene Deaglio e il suo “investigatore” Sanfilippo quanto il palazzinaro di New York abbia cavalcato e radicalizzato la paura di una certa fascia della popolazione bianca del minaccioso “nemico” nero o ispanico… nemici tanto pericolosi quanto in realtà costretti alla marginalità da un vero e proprio razzismo sistemico che ha radici profondissime nella storia americana. Le novità che ha portato Trump sono altre: la prima è che queste posizioni esplicitamente suprematiste fossero espresse dal presidente in carica. Superando così una linea rossa del dicibile da cui sarà impossibile tornare indietro. La seconda non riguarda soltanto Trump ma è tipica del regime discorsivo in cui siamo immersi, rendendo così unico questo stile paranoide rispetto a quello novecentesco: proprio la commistione di immaginario e reale di cui dicevo prima. Le teorie di Q sono così assurde e ridicole che potrebbero essere una presa in giro del complottismo di destra, e forse nascono proprio con questo intento! La caratteristica delle fake news non è di essere false – la propaganda è sempre esistita – ma di cancellare la distinzione stessa tra vero e falso, reale e immaginario, discorso serio e presa in giro, affermazione o ironia. La Storia, spiata dal buco della serratura dei social, ci mostra il suo nuovo volto enigmatico e inscalfibile, l’impenetrabile sorriso ebete del guru o dell’idiota, un totem che non dà risposte e a cui, terrorizzati, possiamo solo chiedere: ci sei o ci fai?

 

© Riproduzione riservata