La pista anarchica ha le sue radici nell’Ottocento

Non troppi anni fa, le prime scorribande di cinghiali nelle periferie urbane di Roma scatenarono sui social una raffica di meme beffardi: come quello della lupa che allatta Romolo e Remo, sostituita però dal peloso suino. Ma il più politicamente sarcastico, all’immagine dei branchi sotto ai palazzi associava uno slogan da sempre in voga: «Si sospetta la pista anarchica». E non si trattava di un riferimento alle azioni di gruppi anarco-ambientalisti: i vandalismi contro le gabbie per rinchiudere i cinghiali trovati a spasso a Roma Nord avvennero solo alcuni anni dopo, al crescere dell’emergenza. Quella scritta era invece un’irrisione bella e buona: perché, per forze dell’ordine e magistratura, la responsabilità dei libertari è un mantra sempre pronto a scattare, per qualsiasi evento più o meno criminoso. Ma quando tutto questo è iniziato? Da poco pubblicato per Edizioni Malamente, il corposo volume I verbali segreti della conferenza antianarchica ha il merito di fissare un punto di partenza. E di farlo documentalmente come mai finora era stato fatto. Curate da Giulio Saletti, giornalista veronese classe 1958, sono 450 pagine che raccolgono i verbali integrali – così come da sottotitolo – del «primo vertice internazionale contro il terrorismo», che si tenne a Roma nel novembre 1898, a palazzo Corsini. Anzi, della Conférence international de Rome pour la défense sociale contre les anarchistes. Una convocazione, quella dell’allora ministro degli esteri del Regno, l’ammiraglio Felice Napoleone Canevaro (che presiedette i lavori), a cui risposero 54 delegati in rappresentanza di 21 paesi, che discussero e si confrontarono su misure repressive e di controllo sovranazionali per contrastare gli attentati e la propaganda anarchica. La conferenza La conferenza, promossa dal governo italiano guidato da Luigi Pelloux, si tenne dal 24 novembre al 21 dicembre 1998: dunque per quasi un mese. Due mesi e mezzo prima, il 10 settembre, era avvenuto un fatto enorme: l’assassinio dell’imperatrice Elisabetta d’Austria, la celebre “Sissi” moglie di Francesco Giuseppe, uccisa a Ginevra dall’anarchico italiano Luigi Lucheni con una pugnalata al petto. Non era il primo caso del genere. Erano anni in cui gli attentati a regnanti e governanti, per mano anarchica, accadevano di continuo: lo zar Alessandro II era stato ucciso da una bomba il 13 marzo 1881, il presidente del consiglio francese Sadi Carnot anche lui da una pugnalata dell’anarchico italiano Sante Caserio. E il 29 luglio del 1900 sarebbe toccato a re Umberto I a Monza, per mano di Gaetano Bresci. In mezzo, altri episodi tragici come gli attentati alla Camera dei deputati francese (la bomba di Auguste Vaillant che fece venti feriti) e al Cafè Terminus un anno dopo, alla stazione parigina di St. Lazare, con un’altra ventina di feriti: e lì ci scappò pure un morto. Con questi presupposti, e visto lo stesso titolo della conferenza, gli scopi del vertice internazionale erano chiari. Nell’introduzione al volume, Saletti li riassume così: «In primo luogo, stabilire gli elementi di fatto che caratterizzano l’atto anarchico, per ciò che riguarda l’individuo e la azione; poi, suggerire in materia di legislazione e di polizia i metodi più adatti a reprimere l’opera e la propaganda anarchica (rispettando ovviamente l’autonomia legislativa dei singoli stati); e, ancora, stabilire se tutti gli atti anarchici che abbiano i tratti giuridici del delitto debbano, qualunque sia il movente o la forma, dare luogo all’applicazione dei trattati di estradizione, Inoltre, esaminare il modo di mantenere gli anarchici sotto sorveglianza della polizia e in caso di necessità di effettuare la loro espulsione o estradizione; e infine, studiare i mezzi più adatti (tenendo conto delle leggi speciali di ogni stato) a prevenire o impedire la circolazione della stampa di propaganda». Mezze misure non mediocri: il moderato Montesquieu Il protocollo La conferenza fu caratterizzata dal grande protagonismo degli imperi centro-orientali (Germania, Austria e Russia), quasi sempre spalleggiati nel voto dagli altri regimi conservatori (Italia, Spagna e Turchia): portò a risoluzioni di forte impatto sulle procedure di espulsione ed estradizione e, più in generale, a una netta accelerazione del processo di modernizzazione e collaborazione tra le forze di polizia europee. I lavori si chiusero con la firma del protocollo finale da parte di tutti i paesi partecipanti, tranne la Gran Bretagna. Lo aveva peraltro profilato lo stesso ambasciatore Currie, annunciando l’astensione su tutti i documenti finali per incompatibilità con la legislazione vigente nel proprio paese. Ma la strada era ormai segnata. E con essa l’affermazione della sempiterna “pista anarchica”. La devozione francese per il papa cambiò il volto della chiesa [Missing Caption][Missing Credit] I verbali segreti della conferenza antianarchica. Il primo vertice internazionale contro il terrorismo (Roma, 1898) è un libro a cura di Giulio Saletti per Edizioni Malamente