La prima volta che ho incontrato Veeraporn Nitiprapha erano le 11 del mattino, al Coffee club di Rivercity, Bangkok. Avevo già letto Memories of the Memories of the Black Rose Cat (Memorie delle memorie del gatto dalla rosa nera) e stavo finendo The Blind Earthworm in the Labyrinth (Il lombrico cieco nel labirinto), trovandoli superbi.

Cosa prendi, le ho chiesto, aspettandomi un caffè, un tè, al limite un frappuccino. «Una carbonara», ha risposto serena. «Se vuoi la dividiamo». Non ce la potevo fare, nonostante viva da un po’ in Asia e abbia capito che il rapporto col cibo è un concetto culturalmente relativo: è asiatico che si mangi quando si ha fame e che il cibo si condivida.

Ho capito che il futuro è qui, ma posso farne parte fino a un certo punto. Così ho ordinato un caffè e acceso il registratore.

Realismo magico thai

È un peccato che non si possa (ancora) leggere in italiano questa scrittrice thai. Perché la sua scrittura è affascinante, le storie ipnotiche. Non a caso ha vinto due volte il Southeast Asian Writers Award, una per ciascun libro.

Molti giovani si sono riconosciuti in Chalika e Chareeya, sorelle di The Blind Earthworm, «nell’intreccio tra disperazione e romanticismo intessuto nel labirinto thailandese», scrive Kong Rithdee che lo ha tradotto in inglese per RiverBooks.

Nel secondo la saga d’una famiglia cinese emigrata nel primo Novecento in Thailandia si snoda tra conflitti individuali e universali, amori delicati e matrimoni combinati, donne sognate e destini negati, maledizioni, miseria e ricchezza, le guerre e la pace che non mantiene le promesse di felicità.

Sullo sfondo Cina e Thailandia attraversano conflitti mondiali, rivoluzioni culturali, l’arrivo degli americani in Vietnam che fa della Thailandia luogo di «ricreazione e riposo» dei soldati.

I romanzi di Nitiprapha hanno una densità labirintica che a molti ricorda il realismo magico della migliore letteratura sudamericana. Il suo è stato un debutto tardivo. «Ho cominciato a scrivere a 44 anni, per far colpo su mio figlio. L’ho cresciuto come un lettore vorace. Nella vita non ho avuto abbastanza tempo per i libri, oggi è lui a dirmi cosa leggere».

The Cat

The Blind Earthworm è adorato dai giovani. Quando dico al mio insegnante di lingua thai, Andy, che la intervisterò, quasi cade in deliquio. «Davvero incontri The Cat?», mi chiede. Chiamano così i ragazzi di Bangkok quest’intellettuale cosmopolita, ex giornalista.

È uno dei pochi adulti di cui si fidano: incarna la contemporaneità, una visione culturale moderna in un paese la cui vita politica è scandita da colpi di stato e una democrazia limitata è sottoposta a supervisione militare.

Paese che il 7 maggio dovrebbe tornare alle elezioni, ma sarà confermato solo il 31 marzo. Andy insiste che le porti un biglietto. Non chiedo cosa le ha scritto, ma vedo come sorride lei quando lo legge.

«Col primo romanzo volevo raccontare una storia sulla gente che si perde. Non avevo tecnica, ma sapevo che le storie vanno cercate “dentro”, nelle cucine, fulcro delle famiglie. Donne che parlano e bambini che ascoltano affascinano uno scrittore».

Lei scrive sempre, dice: da due anni lavora al terzo romanzo lasciando che le cose fluiscano. «Ci vuol tempo, ma le storie trovano sempre la strada. Come in questa conversazione, non sappiamo dove andrà a finire».

In attesa della rivoluzione

Il libro guarda alla società thai d’oggi, è ambientato nella capitale. «Sono bangkokian, non saprei immaginare altri sfondi. Questa megalopoli somiglia più a Tokyo, Londra, Parigi che alle altre città thai. Qui trovi i più ricchi e i più poveri, i più belli e più brutti, gli estremi e tutto quello che c’è in mezzo. Mi piace tantissimo. Non sono molti i posti del mondo in cui ricchi e poveri vivono fianco a fianco. A 5 minuti dai grattacieli e rooftop bar di Sukhumvit c’è lo slum di Khlong Toei».

Succede anche in India ma lì la disuguaglianza ha una violenza inimmaginabile qui. Perché questa differenza? Perché non sembra di avvertire disperazione nei soi di Bangkok? «C’entra il concetto buddhista del karma: sono nato povero perché ho fatto male nella vita precedente, ma posso rimediare, la prossima sarà migliore. E poi i poveri arrivano dalla campagna, sono stati poveri sempre. Qui guadagnano di più, mandano i figli a scuola, possono sperare».

Non che i thai siano incapaci di violenza, precisa: ce n’è stata eccome, per esempio nel 2010 con le proteste politiche nelle strade di Bangkok. «Ho perso tanti amici quell’anno. Non li ho più voluti frequentare: gente istruita, però approvava la repressione violenta. Sono andata in crisi. Sì, la natura dei thai è diversa, si cerca un modo pacifico di risolvere le cose, tutto del resto è fatto per renderci docili. Crediamo nel bene e nel male, spiriti cattivi e fantasmi, e non vediamo il sistema. Molta gente è convinta che si possa vincere votando, non so per quanto ancora».

I giovani hanno meno pazienza di tutti. Somkiat Tangkitvanich, del Thailand Development Research Institute, alla conferenza How to Rejuvenate Thailand ha avvertito che nel paese è tempo di finire la guerra tra generazioni, citando l’insofferenza dei giovani per le regole autoritarie delle scuole, la rabbia per i diritti repressi, il movimento Let’s Move Out of This Country (andiamocene da qui).

E un dato: per il 40 per cento dei thai under 25 solo «una rivoluzione» può cambiare il paese. Se l’élite che governa il paese non andrà incontro ad almeno alcune delle richieste di cambiamento democratico dei giovani, ha concluso, «il mondo si lascerà alle spalle la Thailandia».

Giovani e vecchi

Rivedo Veeraporn pochi giorni dopo. Voglio sapere della guerra tra giovani e vecchi. «Non credono nel futuro, non capiscono il digitale. I giovani vivono in un’altra dimensione: sono cittadini del mondo, fanno circolare idee indipendentemente dal paese in cui vivono. Come si può pensare di schiacciare questa “Youth Nation”? E loro, come possono accettare che la Thailandia arretri?», commenta.

«Si confrontano potere analogico e mondo nuovo digitale. Il governo si comporta in maniera gerarchica, tutto dall’alto verso il basso. Ma nel digitale tutto è orizzontale, simultaneo, non gerarchizzato. La Thailandia diventerà un paese incapace se farà guerra al mondo nuovo. Ma è questione di tempo: i vecchi saranno più deboli, i giovani più forti. Le società cambiano, il concetto di nazione diventa obsoleto».

Si vede tra i giovani che frequentano il master di Politics and Global Studies alla facoltà di scienze politiche della Chulalongkorn University: alla lezione sul sud-est asiatico, thai, birmani, cinesi, tedeschi, americani, malesi.

Si parla delle aree grigie della politica locale, delle elezioni che forse ci saranno; si chiarisce che non si parlerà della famiglia reale perché rischioso causa legge sulla lesa maestà (articolo 112). La stessa contro cui due ragazze di 21 e 23 anni, “Tawan” Tuatulanon and “Bam” Phuphong, da mesi fanno sciopero della fame.

Ossessioni

Istanze pro-democrazia e femminismo spesso si intrecciano. «In Asia la vita delle donne non è facile: sono cittadini di seconda classe», spiega. «La maggioranza crede di doversi adeguare a standard estetici, sposarsi e non lavorare. Aspira a essere come le Blackpink, girl-band coreano-thai che ossessiona tutte. Le donne diventano “prima classe” solo se belle. Quello è l’unico potere, evolvere da sex object a sex symbol: in realtà la stessa cosa, ma nel secondo caso sei famoso. Siamo ossessionati dall’essere “perfetti”: buddhisti perfetti, cittadini perfetti, donne perfette... Questione di controllo: pensi a questo e non a cosa vorresti davvero. La società preme per farti sentire “non abbastanza”. Tutti implorano approvazione».

Si comincia in casa, la relazione genitori-figli resta basata sul potere. «La famiglia opprime. Nei miei corsi di scrittura uno dei compiti è raccontare “cosa ti divora”. Ho scoperto che tanti giovani ne sono traumatizzati».

Penso a una ragazza thai che conosco. 20 anni, buon lavoro, allegra, quando racconta che metà di ciò che guadagna deve darlo ai suoi nasconde appena la rabbia. Mi chiedo se anche lei, come molti, se avesse una chance andrebbe via.

«È facile ora per i ragazzi andare a vivere in Canada, Australia, Germania», commenta. «I paesi ricchi sono sempre più vecchi, così comprano i giovani. Competono per assicurarsi loro e il futuro. Li incentivano a trasferirsi offrendo borse di studio, case a prezzi bassi. Gli danno un permesso di lavoro per 3 anni, poi la cittadinanza. L’occidente sta spalancando le porte alle giovani menti asiatiche».

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