Un’accelerazione improvvisa a cavallo delle feste di fine anno. Il dossier della Superlega europea del calcio pareva destinato a rimanere ancora un po’ nel cassetto. E tutt’al più a essere tirato fuori alla bisogna come arma di pressione a disposizione dei grandi club europei, per estorcere ulteriori prebende all'Uefa e ridurla sempre più a un simulacro di istituzione calcistica internazionale. E invece da dieci giorni a questa parte è stato messo definitivamente in campo, con una dinamica che sa tanto di intenzione sfuggita di mano.

A parlarne come di un progetto da realizzare prima possibile, anziché in futuro indefinito, è stato Florentino Pérez, presidente del Real Madrid, a margine dell'assemblea annuale dei soci tenuta domenica 20 dicembre. E a nemmeno una settimana di distanza, sabato 26 dicembre, gli ha dato risposta il presidente dell'Uefa, Aleksander Čeferin, con un'intervista concessa al sito sloveno 24ur.com. E non si tratta di schermaglie verbali. Piuttosto è la certificazione che si sia giunti alla prova di forza. Ma perché adesso?

Col pretesto del Covid-19

Una risposta a questa domanda è contenuta nel discorso di Florentino Pérez. Il presidente madridista ha parlato della crisi da pandemia come fattore di pressione per compiere scelte indispensabili in difesa del business. Dunque, ancora una volta entra in gioco la narrazione sul “Covid come acceleratore”, quasi un format con cui forse un giorno faremo i conti (salati) e non soltanto nel mondo del calcio. Ma intanto è dal mondo del calcio, e segnatamente dai suoi club più ricchi e potenti, che parte un segnale forte. E il segnale è quello della tentazione di secessione da parte delle élite. Una risposta chiara su quale sia il senso della responsabilità sociale d'impresa coltivato dalla razza padrona del calcio europeo. In termini sintetici, la linea del ragionamento di Pérez è che il Covid-19 ha posto il calcio in una grave situazione di crisi, e che in conseguenza di ciò servano scelte drastiche e non più differibili. E fin qui nulla da eccepire. È invece la soluzione proposta per uscire dalla crisi che lascia sconcertati: non tutti insieme, coi club più forti a dare il contributo principale mostrando senso di solidarietà, ma ciascuno per conto proprio e coi propri mezzi. Il pretesto perfetto per sganciare il resto dei movimenti calcistici nazionali come fossero zavorre.

Super ma non troppo

Pur non avendola mai nominata, il riferimento alla Superlega europea è evidente. Lo ha colto chiaramente e vi ha dato risposta Čeferin durante la chiacchierata con la testata web del suo paese. Il presidente dell'Uefa ha provato a ostentare sicurezza dicendo che quella del presidente madridista è una posizione isolata, non condivisa dai due candidati alla presidenza del Barcellona né da club dell'élite europea come Juventus e Bayern Monaco e le big della Premier League inglese. Quindi ha fatto riferimento alla nuova formula della Champions League che prenderà il via a partire dalla stagione 2024-25 e prevede ai nastri di partenza 36 squadre anziché 32, con un minimo garantito di 10 partite per squadra anziché 6.

Invero, le parole di Čeferin ricordano più un esorcismo che una rappresentazione oggettiva della situazione. Puro wishful thinking. È però probabile che molti fra i club da Superlega, quelli che nella competizione semi-chiusa troverebbero il posto garantito, non siano convinti fino in fondo di fare un salto così netto. E i più recalcitranti potrebbero essere quelli della Premier League inglese. Ma non già per amore dell'Uefa o per senso di solidarietà verso il resto del movimento calcistico inglese. Piuttosto c'è il fatto che si tratta di lasciare la macchina da soldi sicura per andare a far parte della macchina da soldi tutta da sperimentare. Proprio sicuri di voler correre il rischio? Se si dà retta alle rivelazioni fatte lo scorso ottobre dal Daily Telegraph, si direbbe proprio di no. Perché viene fuori che le 6 grandi del calcio inglese (Chelsea, Liverpool, Tottenham Hotspur, Arsenal e i due Manchester) progettano di farsela in casa loro, la lega blindata. Una via calcistica alla Brexit, col continente sempre più isolato. E senza le inglesi qualsiasi progetto di Superlega continentale nascerebbe morto.

Lo strano timing

Rimane insoluto il quesito sulla scelta di Florentino Pérez: come mai questa tempistica? Una risposta potrebbero darla soltanto lui e gli altri presidenti che eventualmente siano a lui allineati. E non si avrebbe nemmeno la certezza si tratti di una risposta veritiera. In assenza di una chiara motivazione, non si può non osservare una coincidenza. Sarà l'anomalia della stagione calcistica interamente vissuta sotto il giogo del Covid-19, o perché un po’ ovunque i cicli si esauriscono, o per chissà quale altro motivo. Fatto sta che, mai come in questa stagione, i 4 campionati europei fra i 5 Top caratterizzati nelle annate recenti da monopolio (Serie A, Ligue 1 e Bundesliga) o duopolio (Liga) risultino tanto contendibili. E proprio in Spagna questo andazzo è lampante, col procedere a strappi di Real e Barça. Esagerato dire che rischierebbero di non accedere alla fase a gironi della Champions con la formula attuale. Ma per chi a casa sua conosce soltanto il verbo “stravincere”, già la condizione di competizione comporta un senso del disordine. Sarà mica questo, anziché il Covid, il vero acceleratore?

La frattura generazionale

Fra i molti argomenti contro la Superlega vi è quello del rischio d'inflazione da super-partite. Il concetto è che un eccesso di big match fra le grandi d'Europa toglierebbe fascino a quelle gare. Ma davvero si tratta di un'opinione condivisa? E in generale, è davvero così vasto il sentimento degli appassionati di calcio europei contro la Superlega e per la difesa dei campionati nazionali? Un recente sondaggio commissionato da BBC Sport a Savanta ComRes ha permesso di scoprire una realtà molto diversa. Caratterizzata da una frattura generazionale. Su un campione di 2100 intervistati, il 48 per cento dei rispondenti di giovane età si dice favorevole contro il 18 per cento che si dice contrario. Ma con l'elevarsi delle fasce d'età il rapporto si rovescia e tocca il picco opposto con la coorte che va dai 55 anni in su: 63 per cento contrari e soltanto 10 per cento favorevoli. Numeri che in modo chiaro dicono quanto diverse, al limite dell'inconciliabilità, siano le idee di calcio alimentate dalle vecchie e dalle nuove generazioni. E se davvero il calcio è chiave d'interpretazione sui fenomeni culturali generali, forse si sta parlando di una frattura incomponibile fra modelli di consumo culturale.

© Riproduzione riservata