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Alla Cop26 il settore moda e abbigliamento è stato uno dei più attivi dentro questa fiera della decarbonizzazione, sia perché è un mercato rivolto ai consumatori, sia per i numeri catastrofici del suo impatto.
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L’8 per cento delle emissioni di gas serra vengono dalla produzione di vestiti e scarpe. Il settore ha un miliardo di tonnellate di emissioni annue in più di quelle che dovrebbe avere per essere in linea con l’accordo di Parigi.
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I dati dicono due cose: la moda produce male e produce troppo. Serve un indirizzo nel commercio globale, a sostegno di materiali sostenibili come le fibre riciclate o il cotone biologico. E poi c’è l’elefante nella stanza: per la moda è la sovrapproduzione.
Le Cop sul clima ormai non sono più soltanto lo spazio dove la scienza e la politica negoziano i termini dell’apocalisse. Negli ultimi anni è cresciuto un terzo ramo, che a Glasgow è stato molto visibile: quello ottimista e sempre sul filo del greenwashing delle aziende impegnate a dimostrare che fanno sul serio nella corsa verso zero emissioni. Alla Cop26, chiusa il 13 novembre, il settore moda e abbigliamento è stato uno dei più attivi dentro questa fiera della decarbonizzazione, sia perché



