Che cos’è il personalismo? Pochi oggi saprebbero rispondere a questa domanda, quasi nessuno tra i politici, al netto del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha citato il personalismo in più di un discorso.

Eppure parliamo di una delle correnti di pensiero più influenti del Ventesimo secolo, fondata dal filosofo cristiano Emmanuel Mounier, di cui è appena stata pubblicata una raccolta di scritti dal titolo Rivoluzione personalista e comunitaria (Edizioni di Comunità, 2022).

La serie di saggi pubblicati all’inizio degli anni Trenta sulla rivista Esprit, in un’epoca che lasciava intravedere tutte le ombre del domani, riassume il nucleo fondamentale del personalismo.

Al centro di tutto per Mounier vi è lo spirito, il sostrato metafisico alla base di una società che si fonda sulle «persone» destinate a vivere in una «comunità totale». Scrive l’intellettuale francese nel 1934 che «l’individualismo astratto, giuridico, egoista e rivendicatore ci offre semplicemente una caricatura della persona. Il capitalismo e gli stati totalitari ci propongono solo una società oppressiva senza vera comunione».

Secondo Mounier, il raggruppamento personalista doveva contrapporre la società civile alla società liberale e alle società totalitarie. Egli scrive in un’epoca di crisi del liberalismo e se ne mostra consapevole, pur riconoscendo a quest’ultimo la capacità di aver fatto a pezzi tutti i dogmatismi collettivi.

Mounier afferma che «dal giorno in cui il liberalismo pretese di bastare a sé stesso, inventò quegli spiriti disincarnati, quelle intelligenze senza carattere, capaci di comprendere ogni cosa e ogni essere senza mai darsi a nessuno: il più fine prodotto della cultura borghese».

Così il mondo si trovava di fronte a due vicoli ciechi, quello di un liberalismo autosabotato e oramai incapace di fornire una bussola alla società e un illiberalismo statalista che tracimava nel regime autoritario.

Era dunque necessario sviluppare una terza via che mettesse le persone prima degli individui, la comunità prima dello stato, la solidarietà prima del capitalismo ma senza deragliare verso il collettivismo.

Critica alla tecnocrazia

Interessante anche la critica che il pensatore francese rivolge alla tecnocrazia, tendenza di pensiero che si sviluppa e afferma proprio negli anni venti e trenta del Novecento e che perdura per tutto il secolo.

Nel Dopoguerra, con uno sguardo tocquevilliano rivolto alla politica del futuro, scriveva con lucidità e in coerenza con la sua filosofia che i pericoli del nostro tempo non andavano cercati «nei fascismi defunti» poiché «i tecnocratici di tutti i partiti ci preparano ad un fascismo raffreddato (…), una barbarie pulita e ordinata, una follia lucida e impalpabile, verso la quale sarebbe meglio ora volgere lo sguardo piuttosto che soddisfarci con poca fatica a condannare un cadavere.»

È l’avvertimento, che fu proprio di Tocqueville nel Diciannovesimo secolo, di una liberal-democrazia che può inclinarsi verso il dispotismo burocratico. Negli anni tra le due guerre quelle di Mounier si riveleranno prediche inutili sul piano politico, ma il personalismo svolgerà un ruolo centrale nella cultura del dopoguerra e capace di fornire una visione ancora valida.

L’idea personalista si consolidò sotto l’influenza del mensile Esprit, fondato da Mounier nel 1932, e del movimento L’Ordre Nouveau, fondato dal filosofo Alexandre Marc nel 1931 insieme a intellettuali come Arnaud Dandieu, Robert Aron, Daniel Rops e Denis de Rougemont.

Questo eterogeneo gruppo di personalità condivideva un senso di crisi di civiltà, favorito dalla dirompente recessione economica del 1929, il graduale disfacimento del sistema dei trattati europei e la crisi incombente della democrazia parlamentare di fronte all'ascesa delle ideologie totalitarie. In questo contesto storico, che implicava anche un senso di alienazione kafkiana in una società borghese decadente, egoista e atomizzata, la lotta dei personalisti francesi era filosofica e morale prima che politica.

Da un punto di vista teorico, i personalisti abbracciavano i principi del pensiero sociale cattolico. Tra questi, come si è visto, il ​​rifiuto delle premesse materialistiche del liberalismo e del comunismo, e il principio di sussidiarietà, entrato nel lessico del cattolicesimo politico con la Rerum Novarum di papa Leone XIII (1891), secondo il quale lo stato non dovrebbe interferire con le attività dei «corpi intermedi» e dei governi più prossimi ai cittadini.

Influenza in calo

Il rifiuto sia del capitalismo che del collettivismo aveva inoltre avvicinato i pensatori personalisti a un modello di «economia comunitaria» corporativa e decentralizzata che l’economista francese François Perroux (che avrebbe influenzato il piano per la creazione della Ceca di Jean Monnet) teorizzava negli anni Trenta e all’inizio degli anni Quaranta.

Al di là della Francia, i filosofi personalisti avrebbero trovato terreno fertile nel mondo cattolico italiano. Giovanni Battista Montini (il futuro Papa Paolo VI) che prestò servizio presso la segreteria di Stato della Santa sede dal 1924 e fu assistente nazionale della Federazione universitaria cattolica italiana dal 1925 al 1933, contribuì a diffondere in Italia la filosofia di Maritain e Mounier insieme ad un gruppo di giovani accademici e politici cattolici con sede presso l’università Cattolica di Milano negli anni Trenta.

Questi ultimi includevano i futuri leader della Democrazia cristiana italiana –  tra cui Giuseppe La Pira, Giuseppe Dossetti e Amintore Fanfani –  che si incontravano regolarmente a casa del filosofo personalista Umberto Padovani a Milano.

Eppure, dalla metà degli anni Cinquanta, l’influenza del personalismo francese sulla politica dell’Europa occidentale e sui principali partiti di ispirazione cristiano-democratica –  dal francese Mouvement Républicain Populaire, dalla Democrazia Cristiana italiana e dalla Christlich Demokratische Union della Germania occidentale – è gradualmente diminuita con l’emergere della democrazia parlamentare come modello politico incontrastato dell’Europa occidentale.

In questo quadro, profondamente influenzato dalla logica polarizzante della Guerra fredda, i democristiani di tutta Europa si sono spostati verso il polo capitalista, abbandonando l’idea di una terza via.

La tradizione personalista, compresa la sua critica aperta al capitalismo liberale, è stata quindi progressivamente rilegata alla sfera filosofica e religiosa.

La visione europea

In risposta a questa espunzione dalla politica, gli animatori di Esprit e de L’Ordre Nouveau concentrarono il loro impegno a livello europeo, divenendo i punti di riferimento del cosiddetto “federalismo integrale” di ispirazione personalista.

Mentre la loro visione “europea” era stata vaga durante gli anni Trenta, il loro coinvolgimento nella resistenza francese li portava ad abbracciare il federalismo come dimensione politica del personalismo, a complemento della dimensione intellettuale sviluppata negli anni precedenti proprio da Mounier.

La svolta federalista mirava più a delineare una separazione costituzionale di poteri e competenze tra livelli di governo, a valorizzare la società civile, la sussidiarietà, la competizione istituzionale e la pluralità nell’unità, più che a spingere gli stati a cedere e riunificare la loro sovranità a livello sovranazionale come invece prefigurato dalle correnti di pensiero del socialismo europeo.

L’obiettivo dei personalisti era l’Europa federale delle comunità e dei corpi intermedi più che quella degli stati. La storia ha preso una piega diversa: oggi l’Unione europea è un legame importante e interdipendente tra paesi sul piano economico, monetario e politico, ma si fonda ancora sui trattati e sulla logica funzionalista della cessione di sovranità degli stati alle istituzioni europee senza un processo politico e costituzionale alla base.

Ne risulta una macchina politicamente ancora fondata sugli accordi tra governi nazionali, ma integrata su una centralizzazione burocratica e spesso dirigista nei suoi programmi.

Un’Unione che risucchia competenze agli stati-membri e sovrappone funzioni senza un assetto davvero federale fondato su un momento costituzionale. In questo sistema europeo che andrebbe riformato la lezione dei personalisti può ritornare preziosa.

E lo è ancora di più se allarghiamo lo sguardo sul piano internazionale: non siamo forse di fronte ad una crisi del liberalismo nei regimi democratici e ad una crescita aggressiva ed esponenziale dei regimi autoritari?

Sulle orme di Mounier ci si può opporre con decisione ai secondi, ma senza rinunciare a ripensare ai primi attraverso un percorso spirituale, personale e comunitario. Che sia giunta l’ora di un neo-personalismo per fronteggiare i tempi nuovi che viviamo?

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