Milano, la città che non si ferma, con il calendario affollato di weeks. Dopo le più famose, moda e design, ci sono la green, la beauty, la walking, la football e via così. Di qualcosa si deve pur campare, come si suol dire. E Milano, dall’Expo in avanti, su questo genere di cosa ci campa tanto da essere arrivata alla paventabile bolla immobiliare. Tanto da essersi fatta una certa reputazione, quella della città patinata, anonima e indifferente.

Eppure. Eppure, se attraversi Milano, una cosa ti salta all’occhio subito: ogni quartiere è così diverso dall’altro che basta girare un angolo e ti sembra di essere altrove. Se sei a Milano e ti viene voglia di fare un viaggio, non serve andare lontano: prendi una bici e inizia a pedalare. Certo, l’aria familiare rimane, quell’energia frizzante, un po’ nevrotica, molto schietta di Milano, però… Però ogni quartiere ha la sua anima ed è impossibile non accorgersene.

Non ho parlato di bicicletta a caso. Trovarci al centro della pianura padana qualche vantaggio dovrà pur averlo, sorvolando sull’inquinamento e le zanzare: viviamo in una città piana per davvero, dove si può arrivare in bici dappertutto, con il minimo di fiato e forma fisica.

Quartiere universo

È nei quartieri che si vive, a Milano, non nelle weeks. A partire da quelli più centrali, come Cinque vie, Ticinese, Porta Venezia o Porta Romana, passando per l’anello mezzano con Risorgimento, Città studi, Sempione, Chinatown, Meda, per citarne alcuni, fino ai quartieri con una densità di giovani sempre più alta, come Affori, Villapizzone, NoLo, Isola, San Cristoforo, Bovisa, Dergano. Ogni quartiere vive delle sue peculiarità: c’è quello con i canali, quello con il parco così grande che ti ci perdi dentro, quello delle gallerie d’arte, quello a impronta orientale, quello universitario…

Che te ne fai di una città quando hai un quartiere? Ogni tanto bisognerebbe chiederselo.

Perché il quartiere-universo può bastare, per la maggior parte del tempo. La pandemia è stata la dimostrazione che non solo è possibile una vita improntata sulla solidarietà di vicinato e la valorizzazione delle realtà locali, ma anche auspicabile: la nostra potenziale salvezza in un mondo sempre più alla mercé di forze ingovernabili.

Quotidianità a chilometro zero

Certo, la speculazione immobiliare è una realtà. È notizia recente che è stata demolita una palazzina liberty in zona porta Romana. Si cerca il nuovo. Proliferano locali che servono il frappuccino o ristoranti di poké con interni pastello. Gli affitti delle case lievitano, la gente è costretta a muoversi sempre più verso le periferie, finché non decide di abbandonare la città del tutto, svuotandola di quello che potrebbe darle se rimanesse.

Ma se, da una parte, la gentrificazione tende a livellare le differenze di quartiere e a rendere sempre più omogenea e, se vogliamo, impersonale l’esperienza della città, dall’altra noto una forte volontà di ritorno alla vita rionale, fatta di traiettorie brevi e conosciute e di rapporti giornalieri con le persone. Lo smart working ci permette sempre più spesso di rimanere “in zona”, una quotidianità a chilometro zero.

In tutti i quartieri sopravvivono botteghe e locali storici, posti imperfetti e genuini, posti fatti dalle persone. Ne cito alcuni della Milano che conosco meglio, la fascia sud: la famosa Lina Orsolina, dove più che per mangiare, si andava a sentirla raccontare di quando era giovane; Gabriele, Toni e Vera della pasticceria La dolce vita, che da trent’anni offre una selezione di dolci cult, come il soufflé con il cioccolato fuso sopra; la signora Paola della Lanterna, con i suoi cavalli di battaglia: gnocchi al gorgonzola, pasta con la salsiccia, noce alle erbe, brasato e ossobuco.

Tra bar e bottega

Molti negozianti sono orgogliosi, ci mettono del loro. Il proprietario della drogheria sotto casa mi sgrida quando compro i cereali in scatola per la colazione («Che roba l’è chel chi?») o mi raccomanda di mangiare il parmigiano che ha i sali minerali, mentre se ne sta a braccia conserte dietro al bancone, con su scritto: «Chi se parla el milanes».

Dipende dai giorni: può essere divertente o frustrante, perché se non è di buon umore lo si sente in tutto il negozio, ma se lo è e io invece sono un po’ giù, mi sorride e mi dice «ma va là che la vita l’è bela». E io sto subito meglio. Se quella serranda dovesse abbassarsi, ci farei un piantino e al supermercato mi sentirei sola e sciocca, mentre cerco di decidermi tra i cereali con frutta secca o ai frutti rossi, tentando di convincermi che avere scelta è un lusso, ma in realtà chiedendomi se la voglio davvero, tutta questa merce.

Vado anche al bar della via, dove si spettegola. È l’internet prima dell’internet: niente foto, ma sai tutto di tutti, e in anticipo. È proprio in quel bar, che scrivo. Tavolo in fondo, dietro l’angolo. Ordino sempre “il solito”, e posso stare anche tutto il giorno. Frequento quasi quotidianamente la libreria di quartiere. In quella libreria, proprio lì, ho incontrato l’uomo che tre anni dopo è diventato mio marito. Vivevamo entrambi “in zona”, per l’appunto. Il nostro primo appuntamento è stato dalla Lina, giusto per chiudere il cerchio.

Nuova autenticità

I posti autentici non sono solo quelli antichi, di recente molti hanno aperto attività dal carattere personale, piantando la loro tenda nel quartiere per farne un luogo di scambio. Non solo bar e ristoranti, ma librerie, appunto, e ciclofficine, fiorai, cascine, associazioni, come quella degli amici del parco Guastalla: ci vado con mio figlio, facciamo giardinaggio. Il giorno in cui li abbiamo sorpresi per la prima volta, con vanghe in mano e sacchi di terriccio, loro hanno messo un enorme annaffiatoio in mano a mio figlio di due anni e gli hanno detto: «Aiutaci, che questo è anche il tuo parco». 

 Quello stesso giorno abbiamo perso una sua scarpa, dev’essersi sfilata mentre lo aiutavo a sedersi sul passeggino. Neanche il tempo di arrivare a casa, che ho ricevuto una telefonata: avevano recuperato il mio numero grazie a una delle mamme che sostavano vicino allo scivolo e volevano riportarci subito la scarpa. Amici della Guastalla. O anche solo amici, si può dire.

La vita di quartiere a Milano è una forma di resistenza: non ai vantaggi che ci porta il progresso ogni giorno, ma alla standardizzazione della vita, alla distanza che mettiamo sempre più tra noi e gli altri, al diktat della crescita a ogni costo, a questa corsa sfrenata verso non sappiamo più cosa.

Ritrovare un senso di appartenenza, riappropriandosi di un spazio e di un ritmo propri, tornare a parlare a chi ci sta di fianco, sono modi per non perdere di vista il senso della vita.

La prossima volta che entrate in una libreria guardatevi in giro, non si sa mai chi potreste avere vicino. Quando nel bar in fondo alla via parlano di voi, prendetelo come un buon segno. E se passate accanto a un negozietto con l’insegna sbilenca e la vetrina stracolma, fateci caso. Magari, entrate. Ci sono buone probabilità che il proprietario critichi le vostre scelte o inveisca contro tutto il creato, ma almeno saprete di essere in un quartiere. Non più solo a Milano.

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