Alle ore 20:57 di lunedì 15 marzo, un corpo luminoso, dai toni verdastri, ha solcato il cielo della capitale catturando l’attenzione di moltissimi cittadini. La palla di luce ha acceso la notte dei romani, giusto per pochi istanti, prima di sparire inghiottita dentro la prima notte di zona rossa precipitata sul Lazio.

Si parlerà di pezzi di roccia cosmici. O di qualche rubinetto di satellite avariato.

Niente di tutto questo. Io c’ero. Ho visto.

Questo è il resoconto, i fatti salienti. Io e un alieno. Roma. Dentro una notte di zona rossa.

Lo avrei immaginato diversamente. Dico il contatto. L’incontro. Sinfonie. Colori sgargianti. Invece la solita tangenziale direzione san Giovanni, visto l’ora meno bloccata del solito. Ma io soffro di vertigini. All’altezza di san Lorenzo scelgo la via bassa, taglio dentro. Perché rimanere bloccato su quei curvoni sospesi nel nulla, con gli occhi che fissano il ferro fradicio dei bulloni. Meglio la via bassa. Sempre.

E contatto è stato. Largo Settimio Passamonti per l’esattezza.

Il fascio di luce è arrivato con la velocità che gli è consona, si è fermato a un centimetro dall’asfalto, per un istante ho pensato a che sospensioni deve avere una nave dello spazio, poi alle varie listesi vertebrali dei viaggiatori. Ma non ho avuto tempo di ragionare a lungo.

Dissolta la luce, ho potuto ammirare l’ammiraglia dello spazio. Un cono gelato, nella forma, di colore iridescente. Ma anche su questo mi sono potuto soffermare poco, perché il cono gelato dal nulla ha aperto un varco, da dove, a passo di marcia, è uscito un vivente dello spazio. Uno spaziale. Alieno. Lui.

Tanta la sua fretta nello scendere e nel dirigersi da me che anche il terrore, naturale, legittimo, non è stato vissuto appieno. Meglio così sia chiaro.

Lui era alto come me, più o meno, più o meno simile nelle forme e nei colori, forse solo gli occhi, di un verde innaturale, erano diversi dalla gamma a nostra disposizione. Lui, comunque, ha alzato una delle otto dita della mano, altro evidente anomalia rispetto a noi altri, e con l’indice alzato è venuto al mio finestrino.

Purtroppo, non ho potuto spendermi molto nel giudicare il suo abbigliamento. Un Gucci spaziale, un tono contro tono a sangue, per dirla con parole povere. Un po’ come un aprire l’armadio e mettere ciò che capita, purché stia molto male.

Ho aperto il finestrino.

Il sorriso, a denti giallini, l’ho spiegato con una cura dentale non proprio da viaggio spaziale, poi ho pensato che potesse essere il loro colore naturale. Quando la confidenza, dopo una mezz’ora, era ormai da vecchi amici d’università che si rivedono stavo sul punto di chiederglielo, ma come farlo? Come chiedere a un essere venuto dallo spazio se il colore dei suoi denti sia naturale o da incuria? Alla fine, ho rinunciato.

«Io di solito quando vengo da voi parcheggio poco più avanti, più o meno di fronte alla stazione Tiburtina, ma non so che cosa è successo, la grande via sospesa non c’è più. Avete avuto una guerra? Sono stati i bombardamenti?».

Non uso droghe da vent’anni. Chissà, forse un avanzo di chimica lisergica sospeso nello stomaco, o nel colon, un movimento brusco ed eccomi qui, a parlare con un alieno che mi chiede spiegazioni sulla tangenziale Est di Roma, o meglio, sul pezzo che hanno smontato.

«No. Veramente. Veramente l’hanno smontata, per rispetto ai residenti. Nessun bombardamento. Qualche inverno fa è nevicato. Roma sembrava bombardata, ma solo per le buche, pure oggi, ora, sempre. È Roma».

«Io vengo ogni raggio interstiziale di luce. Sono i vostri cinquant’anni».

Continua a vivere nel dubbio che il mio interlocutore sia un angolo di francobollino, trip, rimasto per tutto questo tempo in una piombatura saltata. E salito tutto assieme.

«Il mio nome per voi è impronunciabile. Puoi chiamarmi come vuoi».

Silenzio. Come chiamare un alieno materializzato su un margine di tangenziale?

«Io, se, se per te va bene, stiamo a Roma, Giulio?».

Lui sorride: «Non sei il primo a darmi questo nome. A me sta bene. Vorrei chiederti anche un’altra cosa. A ogni mia visita scelgo un abitante del luogo per farmi da accompagnatore. Questa volta ho scelto te». Resta con il sorriso giallo.

In un attimo la telefonata a mia moglie prende vita: «Ciao, no, non ho dimenticato il latte, è che vicino al Verano ho conosciuto un alieno, sì, un alieno, eh, e vuole che faccia un giro con lui, come faccio a dirgli di no? Sembra brutto, se poi s’incazza?».

«Non preoccuparti, la mia visita dura quella che per voi abitanti del luogo è un’ora, poi il raggio interstiziale che mi ha condotto qui si chiuderà».

«Con un’ora a Roma fai poco, ma poco poco, se avevamo preso la tangenziale era tanto arriva’ a san Giovanni».

Ma lui, l’alieno, Giulio, è gentile e sorridente, in fondo è un’ora, magari avrò modo di strappargli qualche informazione sulla loro civiltà… «Sappi però che in alcun modo potrò rispondere ai tuoi quesiti, i viaggiatori interstellari hanno l’obbligo di lasciare inalterate le civiltà che incontrano».

Si rende conto che ci sono rimasto male. «Voi avete il vostro tempo, il vostro progresso, io non posso modificarli». Gli vorrei rispondere che il problema è proprio con il nostro progresso, ma alla fine mi limito a una parola sola: «Sali».

È il momento della vera chiamata a mia moglie. «Sì, ciao, no, il solito tamponamento in tangenziale, lo so della zona rossa, ma ho il certificato, mi sposto per lavoro. Sì, sta tranquilla. A dopo».

Giulio mi guarda con grande curiosità. «La vostra democrazia è crollata? Hai parlato di zona rossa, il mondo è in guerra? Sempre i popoli del nord contro quelli del sud?» Alzo un braccio.

«Allora, io direi prima di definire il giro, facciamo un tour del centro storico, intanto ti racconto un po’ di cose». Lui è felice come una pasqua. «Sì. Tutto. Tutto ciò che è successo negli ultimi cinquanta anni».

«Sei rimasto indietro con le puntate». Gli sorrido. Non ha capito la battuta. «Puntate. Serie. Narrazione». Resta immobile come la morte. Non avranno Netflix.

La macchina inizia il suo giro, mi butto dentro san Lorenzo, perché se vieni a Roma non puoi mancare san Lorenzo, come andare a New York senza passare mai per Brooklyn.

«Iniziamo dalla fine. Allora. Roma è zona rossa non perché è in guerra. Nel mondo è esplosa una pandemia. Come nei film catastrofici. È partita dalla Cina, c’è chi dice da un laboratorio, chi da un pangolino, chi da un pipistrello troppo al sangue». Lo devo tenere a mente. L’ironia non sembra il suo forte, forse non solo il suo ma di tutto il suo popolo. Non capisce. Niente ironia. Niente linguaggio figurato.

«A parte le battute, la pandemia è da coronavirus, stiamo messi così in tutto il mondo». Giulio è rattristato. «Mi dispiace, ma riuscirete a superarla, i vostri antenati ci sono riusciti, non è la prima volta che vi sento combattere contro questi virus. Invece tra voi come vanno le cose? Ci sono conflitti? Il mondo è sempre diviso in due grandi blocchi come cinquant’anni fa?»

«No. Il mondo. Il mondo è cambiato. È rimasto sempre lo stesso. Ma è cambiato. Nel 1989 è caduto il muro di Berlino, Russia e America non si combattono più. Anzi. Sino a poco tempo fa c’era un presidente americano tutto arancione, più alieno di te, ma non te lo racconto perché per fortuna ha perso le elezioni ultimamente. Comunque, nel mondo le guerre ci sono ancora. Qui sulla terra è questione, questione di culo, culo nel senso di fortuna, se nasci a nord ti salvi, se stai più a sud sono, sono, problemi ecco». Non credo l’espressione “cazzi amari” fosse troppo consona.

«Incredibile, vengo una volta ogni cinquant’anni da…» conta sulle otto dita della mano, «da almeno trecento anni e non avete ancora risolto questi conflitti».

«No, purtroppo». Ma è altro ora che mi eccita di curiosità. «Scusa Giulio, ma tu, quanti anni hai?» La vanità è universale. «Non posso risponderti, diciamo che il nostro rapporto con il tempo è molto più amichevole del vostro».

Superato san Lorenzo, la macchina ha preso viale Regina Margherita, senza un motivo preciso, è lei a decidere l’itinerario.

«A parte i grandi blocchi contrapposti, oramai dissolti, cosa è accaduto di veramente importante? C’è stata qualche grande rivoluzione?».

«Senza dubbio quella digitale. L’umanità che tu hai conosciuto, analogica, si è digitalizzata, ormai passiamo più tempo davanti ai display che nella vita reale. Tutto, dai divertimenti ai lavori, s’è spostato. Anche l’amore. Ormai si fa quasi tutto attraverso il digitale».

«Ma siete riusciti a spostare anche la procreazione in digitale?»

«No. Che scherzi? Quella continua a essere vera. Di carne. Adesso è vero che il digitale è comodo, però non so com’è da voi, ma certe cose so’ fatte per essere toccate veramente, sennò che gusto c’è».

«È tipico di tante adolescenze tecnologiche attribuire grande importanza alla sfera digitale, poi con il tempo raggiungerete un punto di equilibrio. Almeno lo spero».

«In che senso lo speri?». Giulio mi guarda. «Perché le civiltà che non raggiungono un punto di equilibrio con le loro scoperte spariscono. Semplicemente».

«Ah. Ecco». Da lontano un posto di blocco dei carabinieri. Dalle gambe al collo, monta con forza il panico. Io e un alieno in macchina, in piena zona rossa, lui come minimo senza autocertificazione.

«Sento perfettamente che stai provando grande paura».

«Le guardie». Niente linguaggio figurato, o dialetto, o slang.

«Scusami. Ci sono le forze dell’ordine, e noi siamo in zona rossa, senza contare che tu vieni da fuori Roma diciamo». Rido da solo. Come al solito cerco di recuperare.

«Se ci fermano che gli diciamo, non credo che tu abbia un documento d’identità». Giulio mi sorride. I denti sono troppo gialli per essere solo mal governati.

«Io sono visibile solo a te. Nessun altro mi vede».

Silenzio. Intanto la macchina passa a fianco dei carabinieri, che ci guardano sfilare senza far nulla.

«Perché non parli più? Ti ho forse offeso?». Come dirgli che nell’ultima manciata di minuti tutto, la sua identità da alieno, la mia salute mentale, la macchina che ora viaggia verso i Parioli. Il rigurgito tossico di un passato mai passato.

«È che ho paura che sia tutta, tutta una visione, una pazzia, di testa non sono mai stato benissimo, e ho paura che tu, io, questo momento, sia tutta l’esplosione di una nuova fase acuta».

Giulio ride. Ho tentato di farlo ridere dall’inizio, senza riuscirci, ora che sono disperato lui ride.

«Anche su questo non sei il primo, e non sarai l’ultimo, io esisto, è tutto vero. Il raggio interstiziale si chiuderà a breve, raccontami un poco di Roma, come vanno le cose? La città più bella dell’universo cosa dice di bello?».

«Di bello poco. Pochissimo».

Decido di tornare sulla tangenziale, la percorrerò sino a Largo Passamonti, la zona dove Giulio ha parcheggiato. Intanto, faccio i conti a mente, Giulio è stato l’ultima volta a Roma cinquant’anni fa.

«Dunque, tu sei venuto qui un mondo fa. Prima ti dicevo che le due forze che governavano il mondo hanno smesso di fronteggiarsi, anche qui in Italia, ci sono state delle rivoluzioni, senza morti ammazzati, ma i partiti che c’erano prima, quando sei venuto te l’ultima volta, so’ spariti tutti, o quasi. Prima c’è stata Forza Italia, negli anni Novanta, poi altri partiti populisti. I Cinque stelle. Ideati da un comico. Ora c’è un sindaco di quell’area lì a governare Roma. Pensa con loro si sono alleati anche i nipoti di quelli che tu dovresti aver conosciuto come comunisti. Il partito comunista. Pure quello sparito».

Giulio non sembra aver capito.

«Cosa c’entra un comico con la politica? E Forza Italia rispetto a cosa? A uno sport nuovo? Poi il populismo mi risulta una locuzione dubbia».

«Giulio, prima di continuare, ti posso chiedere una cosa?»

«Certo, purché non intralci la vostra civiltà, dimmi pure».

«Ma tu, io, questo momento, non è che è una nuova variante di Covid, romana, che fa veni’ le visioni».

«Esisti, esistiamo. Ma continua a raccontarmi, non sei un gran raccontatore, lo stato attuale qual è? Intendo di Roma. È la mia vacanza. Ogni raggio interstiziale vengo qui. Sono affezionato».

«Giulio, il momento è tremendo, come dirtelo, c’è un termine dialettale: Caciara. Ecco. È ‘na gran caciara. Una baraonda incredibile. L’Europa, ah, anche sotto quest’aspetto le cose so’ cambiate, l’Europa ora è unica, non ci sono più confini, anche la moneta è unica, dicevo che dall’Europa, dopo che per diversi anni è stato primo ministro uno scelto ai dadi, è venuto un professorone. Mario Draghi. Ora il paese ce l’ha in mano lui. È un po’ l’ultima spiaggia. Anche per Roma. Tu pensa che potevamo proporci per ospitare le olimpiadi, ma la sindaca attuale, quella legata al comico, ha detto “no, meglio di no, perché a Roma si ruba”. Allora spariamoci tutti direttamente in fronte perché si ruba».

«Belli i giochi olimpici. L’antica Grecia. Io conosco la storia antica del vostro pianeta».

«Noi poco, sempre di meno».

Intanto, eccoci giunti a Largo Passamonti.

Giulio è invaso dalla nostalgia. Almeno credo. Ha gli occhi lucidi.

«Anche questa volta la vacanza si conclude. Un intero raggio interstiziale di lavoro, e poi dura tutto così poco».

«Cioè, voi lavorate ‘sto raggio interstiziale, che dura i nostri cinquant’anni, per un’ora di vacanza?» Annuisce. «Cazzo, pure voi a sindacati state messi malissimo».

Non coglie la battuta.

Siamo arrivati. Incredibile gli scherzi che sa fare il tempo.

Mi ero affezionato a Giulio, anche fosse solo un parto di una patologia non meglio identificata.

«Non sei stato un grande raccontatore, tornerò alla mia vita senza aver compreso veramente il vostro presente». Faccio spallucce: «Nemmeno noi se è per questo, è che è proprio confuso di suo».

Giulio scende, appena mette piede a terra la sua nave interstellare si accende.

«Ciao Daniele. Buona fortuna».

«Ciao Giulio, venuto dallo spazio, buona fortuna a te».

«Tutte le civiltà si concedono la speranza di una vita oltre la morte. Prima abbiamo nominato la civiltà greca. Non posso dirti che ci rivedremo ai Campi elisi. Noi abbiamo sconfitto la morte».

Ci salutiamo così. Giulio monta sulla sua ammiraglia spaziale. Non faccio in tempo a dire né a pensare nulla che il raggio di luce lo aspira verso l’alto. Sparisce in un battito di ciglia.

Riparto, mentre nella mente continuano a ripetersi le parole del mio ospite speciale: «Noi abbiamo sconfitto la morte» inseguite dalle mie, non dette: «tacci tua e nun me dici niente?»

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