Viva gli amanti clandestini che non hanno un posto dove andare, e che non possono neppure concedersi il lusso di una panchina del parco, perché qualcuno potrebbe sempre riconoscerli e allora guai.

Gli amanti clandestini consumano i loro amori negli androni dei palazzi, spesso infilando le scale o entrando dentro gli ascensori, ma non come ladri, no, tutt’altro, quasi con sfrontatezza, se non perfino strafottenza, perché segretamente sanno che nessuno può impedire il passo a una coppia che si desidera, il lasciapassare è la passione che sprigionano i loro volti congestionati, il modo d’incedere smanioso.

Né i portieri dei palazzi né i facchini o i postini che stazionano nelle portinerie né i lavoratori che vanno e vengono hanno il coraggio di dire niente quando incrociano gli amanti disgraziati, già vogliosi dei baci e delle carezze e dei palpeggiamenti e, chissà, anche di qualcosa di più, se non passa nessuno, se i rumori nel vano scale nascondono l’eco dei loro respiri affannosi.

Gli amanti disgraziati in genere raggiungono l’ultimo pianerottolo – quello più sicuro, dove c’è meno passaggio d’uffici o di famiglie – talvolta il sottotetto o, se c’è, la terrazza condominiale (ambitissimo pezzetto di paradiso nei giorni odorosi di primavera, ma gli amanti clandestini non esitano a frequentarla anche nelle giornate buie e ventose).

Immobiliaristi provetti

E così, anche lui e lei avevano preso a vedersi un paio di volte al mese, sempre di mattina, e andavano di palazzo in palazzo, di portone in portone, di rampa di scale in rampa di scale, di pianerottolo in pianerottolo.

A causa della loro bizzarra relazione erano diventati due immobiliaristi provetti, e l’ufficio catastale avrebbe potuto interrogarli per ottenere un accurato censimento della zona.

Lui era un uomo sui trent’anni, impelagato in un matrimonio sbagliato, occhi scuri che gli davano un’aria misteriosa e spalle larghe; lei, più giovane, era tornata libera da poco, figura lunga e magra, capelli d’orzo lisci fino alle scapole, uno stecco di liquirizia.

Si erano conosciuti per caso e adesso, quasi lo facessero ancora per caso, salivano i gradini delle scale a due a due, tant’era la voglia di ricongiungersi – lei avrebbe poggiato le spalle al muro, lui le avrebbe cinto la vita affondando il viso nel suo collo.

Presto non furono che una cosa sola tra le macchie d’umidità nell’intonaco screpolato del muro di quella palazzina, abbastanza anonima rispetto a molte altre abitazioni precedentemente visitate, senza quel viavai degli stabili nel centro storico, quel chiasso di macchine che saliva dalla strada.

C’era talmente tanta quiete che il pianerottolo si trasformò per un momento in una alcova perfetta, tant’è che lui tirò giù la cerniera della gonna di lei, e questa si afflosciò sul pavimento come un’oscena pozza di stoffa.

Il vecchio tapiro

Proprio in quel momento si sentì venire dalla tromba delle scale uno scalpiccio improvviso, che colse la coppia di sorpresa.

Un vecchio abbastanza tarchiato – basso d’una bassezza media e grasso d’una grassezza media – dal volto di tapiro, stava rientrando a casa e, non appena vide la coppia avvinghiata sul suo pianerottolo, ebbe la buona creanza di tirare a dritto, facendo finta d’ignorare che lei era praticamente in mutande, con la gonna stesa ai piedi.

Il vecchio, un poco affaticato dalla risalita, proseguì la sua rotta come se niente fosse, senza deviazioni di sorta, senza profferire neppure una mezza parola: infilò le chiavi nella toppa, fece scattare la serratura e sparì velocemente dentro casa.

Quell’eccesso di discrezione affascinò subito la coppia che decretò quel pianerottolo come il luogo ideale per il loro amore disgraziato.

«Se qui ci abita solo quel vecchio, per noi sarà una pacchia», disse lui.

E lei subito confermò: «È deciso, questo sarà il pianerottolo del nostro amore».

I due amanti ripresero a baciarsi avidamente, scambiandosi effusioni che diventavano via via sempre più audaci. A un tratto, il vecchio spuntò sul pianerottolo, stavolta salutando con un pizzico di affettuosa cordialità.

«E buon San Valentino», dichiarò, quasi soprappensiero.

Già, come avevano potuto dimenticarsene! Oggi era proprio quel giorno, quella ricorrenza un po’ antiquata dei cioccolatini e delle rose, la festa di tutti gli innamorati!

Gli amanti clandestini ricambiarono il saluto, e rimasero in attesa di veder scomparire il vecchio, risucchiato dal vano scale, con il suo passo stanco e, sotto la giacca, un paio di vistose bretelle che gli reggevano i pantaloni.

L’appartamento

Sia lui che lei pensavano già da qualche tempo a un albergo a ore o a una gita fuori porta, ma mai avrebbero immaginato che il vecchio avesse lasciato la porta di casa socchiusa per loro.

«Ma forse l’ha lasciata aperta per un errore», disse lei.

«Secondo me l’ha fatto di proposito», scrollò la testa lui. «Guarda com’è aperta, vuole farci entrare».

«Ma no, cosa dici? Se è appena discosta…»

«Non poteva mica lasciarcela spalancata!»

Gli amanti restarono così, a guardare imbambolati quella casa che sembrava chiamarli, invitarli dentro.

Lei prese la gonna da terra e se la richiuse ai fianchi. «E se il vecchio non abitasse da solo?»

Lui la prese per mano, tirandola. «Non resta che scoprirlo». 

Era l’appartamento modesto di un pensionato, con qualche caratteristica inconfondibile della vecchiaia. Un odore persistente di caramella al rabarbaro, un telefono fisso poggiato su un mobiletto di legno piazzato su una curva a gomito, la cucina con la macchinetta del caffè lasciata sul fornello. Quando gli amanti raggiunsero la camera in fondo al corridoio notarono un letto perfettamente rifatto, che sapeva di buono.

«E se avesse cambiato le lenzuola per noi?», domandò lui.

«Oh, ma cosa ti viene in mente», rispose lei, senza convinzione.

Su un comodino una foto ritraeva una coppia di giovani che si teneva stretta e sorrideva con fiducia all’obiettivo.

«Il vecchio e sua moglie?», chiese lei.

Lui annuì senza indugio.

«Ora vive solo il vecchio?»

A quella domanda macabra cominciò una breve quanto forsennata ispezione.

«Nell’armadio non ci sono vestiti femminili».  

«Sull’altro comodino non c’è niente, e il cassetto è vuoto».

«È meglio di una stanza d’albergo», rise lui, stendendosi sul letto.

Lei si irrigidì. «Ma che fai, e se torna?»

«Non tornerà tanto presto, e scommetto che suonerà il campanello».

Lei dondolava sul bordo del letto, sembrava alle prese con una lotta interiore.

«Vieni?», insisteva lui. «In fondo è San Valentino. Poi rimettiamo tutto in ordine».

Poiché se c’è il buon senso non c’è l’amore e se c’è l’amore non c’è il buon senso – in fondo le questioni di cuore sono molto semplici – alla fine si stese anche lei. Fu una festa inaspettata, cadenzata soltanto dal cigolio di una molla disabituata a certi carichi e movimenti.

Dopo, lei afferrò dal comodino la foto del vecchio e delle moglie. Se la mise sul petto, se la strinse forte. Gli amanti clandestini restarono fermi così a lungo, molto a lungo.

«Perché hai preso la loro foto?», chiese lui.

«Perché l’amore passa di coppia in coppia senza morire mai».

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