Il mondo dell’arte americana contemporanea ha bisogno di un cambiamento rapido. Il cambiamento politicamente più importante degli ultimi anni è stato l’emergere di moltissimi artisti neri, uomini e donne. Oggi gli artisti, i curatori, gli scrittori e anche i collezionisti neri sono sui giornali. Quando ho iniziato a occuparmi della critica, quasi tutte le opere che ho visto e di cui ho scritto a New York erano di bianchi. In effetti, è stato solo nel 1997, dopo quasi due decenni, che ho recensito un artista nero per la prima volta.

Le forze armate americane hanno iniziato a essere “integrate” (per usare un verbo datato) immediatamente dopo la Seconda guerra mondiale. Poi i giocatori neri sono comparsi nel baseball della Major League e i cantanti neri nell’opera. Ma il mondo dell’arte è stato fino a poco tempo fa molto lento nell’includere i neri. Perché ci è voluto così tanto tempo? Nel porre questa domanda non voglio criticare nessuno. Sto solo cercando di comprendere la storia recente.

Uno su mille

Il nostro mondo dell’arte è liberal e di sinistra. Una volta un noto mercante d’arte mi rivelò un piccolo segreto: era un repubblicano liberal. Ci sono pochi repubblicani nel nostro mondo dell’arte. Quando ho incominciato la critica marxista era ancora importante. In effetti è ancora una forza viva nella storia dell’arte accademica americana. Ma nonostante la sua politica, questo mondo dell’arte è molto segregato. Un giamaicano mi dice che a volte le sue visite alle gallerie hanno destato sospetto.

All’università, molto tempo fa, semplicemente non vedevo che tutti i miei compagni (e insegnanti) erano bianchi. Poi, quando più recentemente, per undici anni, ho insegnato storia dell’arte a Cleveland, una città in cui più della metà della popolazione è nera, ho tristemente preso coscienza che non avevamo che un solo studente nero. Se non ci sono studenti neri oggi, non ci saranno molti curatori neri domani.

Ci sono due modi opposti di pensare all’arte contemporanea. L’artista lavora all’interno di una tradizione artistica continua; l’artista si impegna in una forma di espressione personale. Si dà valore a una nuova opera perché padroneggia, amplia o sviluppa la tradizione artistica. Il secondo modo incoraggia a volte la politica identitaria. Apprezziamo l’arte innovativa perché esprime la cultura dell’artista. E crediamo che ogni cultura visiva ha valori differenti e distintivi che meritano l’attenzione e il riconoscimento pubblico. Spesso nella pratica queste due cose sono alleate.

Gli anni Cinquanta

Quando l’arte americana ha ottenuto per la prima volta vasto riconoscimento, negli anni Cinquanta, la nostra storia delle opere contemporanee è passata dal primo modernismo della fine del Diciannovesimo secolo a Parigi al trionfo dell’espressionismo astratto a New York. Poi negli anni Ottanta questa storia si è complicata un po’ con la comparsa dell’arte concettuale, il minimalismo e la pop art. Era ancora comunque una storia incentrata su bianchi americani. L’arte creata altrove influenzava o rifletteva questo sviluppo della tradizione principale. L’arte povera, come si legge su un recente libro americano, può essere intesa come «il fraintendimento degli italiani della scultura americana minimalista».

Nel 2004 i quattro storici dell’arte che hanno lavorato alla pubblicazione di Ottobre (October) hanno dato alle stampe questo imponente testo in due volumi: L’arte dal 1900: Modernismo, Antimodernismo, Postmodernismo (Art Since 1900: Modernism, Antimodernism, Postmodernism), concepito per l’insegnamento nelle università.

Il primo volume dedica sei pagine ai pioneristici artisti e studiosi afro americani, e il secondo offre tre presentazioni, tutte brevi, di alcuni artisti neri recenti. L’attenzione principale è dunque sull’arte in Europa e negli Stati Uniti. Tuttavia, ora le rassegne più nuove, comprese alcune scritte dagli autori di October, dedicano un’attenzione costante agli artisti non bianchi.

Quella più antica visione dell’egemonia di New York era collegata al nostro potere economico e politico dominante. L’espressionismo astratto era l’arte dei vincitori. E quella visione del mondo rifletteva la marginalizzazione della cultura visiva nera. Ora però quella narrazione è stata abbandonata. Rispondere efficacemente al cambiamento è una sfida.

Quando trentasei anni fa scrissi dell’Olympia (1865) di Édouard Manet affrontai le diverse interpretazioni di quello che chiamai pittura «postmodernista», un’espressione di moda allora tra i critici, ma che ora è scomparsa dal discorso della critica.

Revisionismi

Poi due anni fa ho recensito la grande mostra revisionista di New York organizzata da Denise Murrell, una donna afroamericana che da poco è stata assunta come curatrice al Metropolitan Museum. Murrell studia il servo nero, il cui ruolo visivamente cospicuo nell’immagine non era mai stato considerato prima. Guardando indietro è impressionante osservare la cecità dei commentatori precedenti. Come abbiamo potuto quasi non vedere e parlare di questa donna?

Il recente corteggiamento di artisti, curatori, commercianti e scrittori neri è da tempo esagerato. È una ragione per essere ottimisti riguardo alla nostra cultura visiva in questo momento altrimenti buio.

La grande mostra Dopoguerra di Enwezor presentava opere d’arte dall’Europa, dall’America del nord e del sud, ma anche dall’Africa, dall’Asia e dal medio oriente. È un vero peccato che questa mostra visionaria non abbia girato per gli Stati Uniti, com’era previsto in origine. Sono convinto però che ispirerà l’emulazione, nel mio paese, e si spera, anche nel vostro.

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