Grazie dei fior o Naufragar in questo mar? In prossimità di Sanremo nasce l’amletico dubbio: la canzone italiana oltrepassa la nostra comune percezione della realtà come fa, in genere, la poesia? Dobbiamo nobilitarla a specchio sociale o possiamo semplicemente dire che «sono solo canzonette», come sostiene Edoardo Bennato? I confronti tra poesia e canzone, sulla validità dell’una contro l’altra che spesso hanno appassionato esperti e letterati appaiono insensati. La nobile arte delle rime da una parte e la goliardìa delle parole dall’altra. Avventato fare confronti. La canzonetta comunque ha influenzato milioni di persone. Dal 1964 al 1977 ha imposto un rivoluzionario cambiamento nel costume degli italiani e di tutto l’occidente. Una sorta di età dell’oro, durata tredici anni. Una gigantesca città della musica confinante con i ghiacciai dell’Antartico e con le catene degli Urali. Una città simile a Ottavia, “città sottile” di Calvino, legata con funi, catene e passarelle. Una città con una rete che serviva da passaggio e da sostegno e che ha permesso a una moltitudine di persone di credere di cambiare il mondo. Prima e dopo quei “terribili” tredici anni le canzoni hanno preso altre strade, influendo sulla società, ma solo in modo parziale e individuale. Un fenomeno universale, irripetibile che però, non ha mai toccato Sanremo.

Impulsi ed emozioni

Il Festival, ogni anno, scatta le fotografie dei nostri contemporanei con le canzonette in gara, ma quei ritratti, belli o brutti, non riescono a essere l’album di una società, di una comunità universale e globale. Non raggiungono più un sentimento generale ma soltanto impulsi ed emozioni individuali senza incidere sulla società. Sono canzonette incerte e volatili e, dopo un breve periodo d’influenza, finiscono, per la maggior parte, nelle tubature di scarico. Perché sono canzoni liquide proposte agli abitanti di una società liquida.

I confini e i riferimenti sociali si perdono e i poteri si allontanano dal controllo delle persone (Zygmunt Bauman) e così anche le canzoni, nel loro piccolo, “combattono” per lo spazio di un mattino. Nell’età dell’oro invece semplici testi e musiche con pochi accordi hanno raccontato l’amore, il potere, la guerra, le droghe, la gioia e il dolore, cogliendo nel profondo le scatole mentali di tutto il mondo. I temi di sempre apprezzati e diffusi da un’impalpabile marea di giovani e meno giovani. Come nel 1966 quando viene pubblicata la canzone “È la pioggia che va”, proposta da un gruppo inglese italianizzato, The Rokes, capitanati da Shel Shapiro, artefice principe della canzone italiana in quegli anni. Il testo è di un cantautore statunitense, Bob Lind, riscritto da Mogol. È una cover. «Il mondo ormai sta cambiando/ e cambierà di più (…) Quante volte ci hanno detto sorridendo tristemente/le speranze dei ragazzi sono fumo recitava la canzone, spingendo verso una ribellione dei migliori». La cantavano i giovani che volevano cambiare il mondo. Erano i giovani del 1966, gli stessi che andarono di corsa in soccorso di Firenze e dei fiorentini alluvionati per lo straripamento dell’Arno. Un momento importante della gioventù canzonara. Non erano solo canzonette. C’erano comunque anche le bombe, le prime a cadere in Vietnam con relativi massacri. «Non importa se qualcuno sul cammino della vita/sarà preda dei fantasmi del passato. Infine l’avvertimento che contiene la contestazione e il cambiamento positivo. Il denaro e il potere sono trappole mortali/ Noi non vogliamo cadere (…) È la pioggia che va e ritorna il sereno». Nello stesso anno Don Milani si azzarda a parlare di obiezione di coscienza. Verrà incriminato e condannato. Una miccia. Franca Viola, la prima donna a rifiutare il matrimonio riparatore viene liberata e diviene il simbolo della crescita civile del nostro paese e dell’emancipazione delle donne mentre Bob Dylan esce con “Just like a woman”. «Parla proprio come una donna, fa l’amore proprio come una donna, ma piange proprio come una bimba», canta il menestrello che sarà negli anni a venire premio Nobel. John Lennon dichiara che i Beatles sono più popolari di Gesù Cristo e a Roma in un oratorio dei padri Filippini si tiene la prima messa beat. “È la pioggia che va e ritorna il sereno”. Esempio di canzone globale.

Dalla Terra alla Luna

Nel 1971 Franco Battiato abbandona le canzonette ed esce con un disco dal titolo Fetus che in copertina ha la fotografia di un feto umano. Un’immagine forte come furono quegli anni. «Viaggeremo più veloci della luce intorno al sole/ come macchine del tempo/ contro il tempo che non vuole» canta l’artista siciliano. Erano passati due anni dall’allunaggio e le imprese spaziali procedevano a tutto spiano. A febbraio l’Apollo 14 ritorna sulla Luna e rientra sulla Terra con estrema facilità. Siamo più veloci della luce. Cresce l’ambizione spaziale. L’obiettivo ora diventa Marte. Ma l’operazione mostra non poche difficoltà. Soltanto la nona sonda diretta verso il pianeta rosso lo raggiungerà. L’entusiasmo e l’ottimismo che accoglie i viaggi spaziali subisce però una brusca caduta. A giugno l’equipaggio della Soyuz 11 muore per una fuga d’aria causata da una valvola difettosa. È la prima missione in grado di eseguire con successo la manovra di aggancio permanente alla stazione con conseguente passaggio dei cosmonauti verso la stessa. È anche la prima missione che si conclude con la morte dei tre cosmonauti durante la fase di rientro.

Nello stesso anno Fabrizio De Andrè pubblica Non al denaro, non all’amore né al cielo, un album ispirato ad alcune poesie tratte dall’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Felice incontro tra la canzone e la poesia? Può darsi. Comunque De Andrè, con la complicità della scrittrice Fernanda Pivano, affronta due temi: l’invidia e la scienza. Nell’anno della gioia e del dolore per aver pensato che l’uomo possa superare tutti gli ostacoli che ha di fronte ma che il cammino è ancora lungo e va preparato lucidamente e con maggiore attenzione, le parole (versi?) del maestro genovese “scoprono” le ambizioni dello scienziato come potenzialmente pericolose, anche quando sono spinte da buone intenzioni. La velocità della luce ricordata da Battiato diviene per De Andrè, luce che trasforma il mondo in un giocattolo. Per non parlare del medico che diventa dottor, professor, truffatore, imbroglione.

Nel frattempo a Sanremo vince “Il cuore è uno zingaro”. La canzone è scritta da Franco Migliacci e Claudio Mattone e fa: «Catene non ha, il cuore è uno zingaro e va / Finché troverà il prato più verde che c’è/ Raccoglierà le stelle su di se». Le stelle sono quelle degli innamorati, le navicelle spaziali non ci sono.

Buoni e cattivi

Nel 1973 i Pink Floyd pubblicano The Dark Side of the Moon mentre viene lanciata la dodicesima sonda verso Marte, nell’ambito della missione russa Mars 5. La sonda raggiungerà il pianeta e invierà alla Terra alcuni primi importanti dati. La parte oscura della Luna è Marte. L’album dei Pink Floyd resterà quasi due anni nelle classifiche di vendita americane. Diviene un perno per la gioventù fluttuante di tutto il mondo. Alcuni anni dopo Roger Waters, uno dei componenti del gruppo, dirà del disco: «Era un’istanza di empatia politica, filosofica e umanitaria che chiedeva disperatamente di venir fuori». Nella canzone “Money” si prendono gioco dell’avidità e del consumismo, con un testo ironico ed effetti sonori allusivi al denaro, come il suono di un registratore di cassa e il rumore di monete sonanti. «Soldi, sono un crimine / Dividi equamente, ma non toccare la mia fetta di torta / Soldi, così dicono tutti / Sono l’origine di tutto il male di oggi». Parole semplici e dirette. Nella speranza che i buoni vincano sui cattivi. A Washington accade. In seguito alle rivelazioni di due giornalisti del Washington Post viene aperta un’inchiesta sul cosiddetto scandalo Watergate, ovvero lo spionaggio subito dai Democratici nel corso dell’ultima campagna elettorale presidenziale. Nell’inchiesta è coinvolto il presidente degli Usa, Richard Nixon che sarà costretto a dimettersi. In Italia è altra storia. Durante una cerimonia davanti alla Questura di Milano in memoria del commissario Luigi Calabresi ucciso un anno prima, l’anarchico Gianfranco Bertoli lancia una bomba a mano sulla folla per colpire l’allora ministro dell’Interno Mariano Rumor. L’attentato provoca quattro vittime e quarantacinque feriti. A Sanremo vince Peppino di Capri con “Un grande amore e niente più”. C’è un paese in piena bagarre di violenza ma le parole vincenti del Festival hanno un sapore intimo poco legato agli avvenimenti. «Solitudine e malinconia i soprammobili di casa mia / Qualche libro, una poesia e sul piano una fotografia. / Io e te, un grande amore e niente più».

Poco dopo viene rapito Paul Getty III, nipote dell’uomo più ricco del mondo. Per sollecitare il pagamento, i sequestratori tagliano un orecchio al ragazzo. La liberazione avverrà cinque mesi dopo, a fronte di un riscatto miliardario. Ancora violenza, l’avamposto di tanti anni burrascosi con uccisioni e rapimenti mentre la “maggioranza silenziosa” è a casa a fissare i soprammobili.

I mali d’amore

L’anno successivo a Sanremo s’insiste sui mali d’amore, non c’è neanche l’odore delle violenze prossime venture. «Muore la speranza / è vuota la tua stanza» canta Iva Zanicchi che vince con “Ciao cara come stai?”. E mentre il Festival si chiede come possa vivere un innamorato in una stanza vuota l’Unità, il quotidiano del partito comunista, denuncia un possibile golpe. Subito dopo cade il governo ma questa non è una novità nel nostro paese. Le Brigate rosse rapiscono il magistrato Mario Sossi, pubblico ministero nel processo contro il gruppo XXII Ottobre e successivamente propongono lo scambio dell’ostaggio con gli imputati. Sossi sarà liberato dopo la concessione di libertà provvisoria e passaporto a otto imputati. Ma non è finita. Iva Zanicchi continua a chiedere al suo caro lo stato di salute mentre a Brescia esplode una bomba in piazza della Loggia durante una manifestazione sindacale provocando otto morti e un centinaio di feriti. La strage è rivendicata dall’organizzazione neofascista Ordine Nuovo. Fatti gravissimi. C’è una grande confusione di idee, proposte, cose da fare. Una canzone di Francesco De Gregori sembra raccontare l’incertezza dell’anno. S’intitola “Cercando un altro Egitto”. Non è tra le più belle di quelle scritte dal cantautore romano, è un po’ criptica ma, sentendola oggi, sembra rappresentare il disordine e la baraonda sociale di quei momenti. «Adesso per la strada / la gente come un fiume, il terzo reparto celere controlla / “Non c’è nessun motivo di essere nervosi” / ti dicono agitando i loro sfollagente / e io dico “Non può essere vero” e loro dicono “Non è più vero niente”».

Un paese schizofrenico

Nel 1975 l’Italia si mostra un paese schizofrenico: da una parte continuano le violenze e il terrorismo dall’altra ci si avvia verso luoghi civili più maturi. Viene approvata la legge che abbassa la maggiore età da ventuno a diciotto anni e dopo le radio libere c’è il nulla osta alle tv locali. Un paese più democratico? La schizofrenia è dietro l’angolo. Viene approvata la legge che assegna maggiori poteri alle forze di polizia in ottica antiterroristica. È la cosiddetta legge Reale, dal nome del suo promotore. Nello stesso tempo al parco Lambro inizia la quinta edizione del Festival del proletariato giovanile organizzato dalla rivista Re Nudo: è la più importante manifestazione musicale e controculturale italiana.

Nelle elezioni amministrative e regionali il Partito comunista è a soli tre punti dalla Democrazia cristiana. Si avvicina il compromesso storico mentre il poeta e scrittore Pier Paolo Pasolini viene barbaramente ucciso. In questa bolgia di contrapposizioni l’anima candida di Sanremo si occupa del sud. Finalmente un tema importante sul palco dell’Ariston. Il sociale è entrato nelle canzonette da Festival? Forse, ma con queste parole. «Sei nata in un paese / di aranci e oleandri, / ti hanno insegnato a credere, / a vivere aspettando lui». Fin qui niente di male. Racconta lo stato delle donne nel sud. Poi però avverte tutte le donne che abitano da Roma in giù di non farsi illusioni, di non lottare per cambiare le cose. «Rimani a ricamare / il tuo nome sul lenzuolo, / spiando alla finestra / col primo batticuore». La canta Gilda e s’intitola “Ragazza del sud”. Siamo nel 1975 il mondo sta esplodendo verso cambiamenti epocali e il nostro paese, seppure viziato da schizofrenia endemica, non sta a guardare. Eppure la ragazza sudista deve rimanere a casa e aspettare l’uomo della vita, l’unico in grado di cambiare le cose.

Morire di droga

In realtà in tutto il mondo si comincia a morire per droga. Nel nostro paese compagni di scuola, amici, fratelli si lasciano uccidere da quella roba sporca che s’iniettano nelle vene.

Per Sanremo c’è solo l’attesa alla finestra del principe azzurro. Antonello Venditti invece non si tira indietro. Nel 1975 canta “Lilly”. «Quattro buchi nella pelle / carta di giornale / nuda e senza scarpe / Studiavamo insieme / viaggiavamo insieme / Quale treno ora? Quale libro ora? Lilly siringa, polizia». Con semplicità il dramma droga.

Sanremo, dal ringraziamento dei fiori al rumore che conviene, ha sempre cantato un mondo parallelo. Le canzonette dell’Ariston si sono sforzate di raccontare amori impossibili, quando fuori dal teatro numerose altre canzonette hanno cercato di “vivere” il sociale. Un binario, per dirla alla Claudio Villa, antico reuccio della canzonetta popolare, «fredde parallele della vita». Un binario che molto probabilmente anche il treno sanremese di quest’anno attraverserà evitando di fermarsi alle paure della pandemia.

 

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