Il rapporto fra genitori e figli contiene quattro menzogne, o se preferite possiamo chiamarle finzioni.

La prima: il genitore finge di essere quello che non è. Per esempio, si finge forte e tranquillo.

Vuole proteggere la figlia dalle paure e dagli orrori, perciò non può dirle sempre come stanno le cose del mondo. Non può dirle che forse ci sarà una guerra nucleare, a meno che la figlia non gli faccia una domanda diretta, in tal caso non potrà mentire spudoratamente, ma comunque dovrà rassicurare, mitigare.

Dovrà preparare una tazza di latte, aggiungere un cucchiaio di miele. Questo per quanto riguarda i mali esterni, le tragedie universali. Poi c’è lo spirito.

Il genitore non può rivelarsi interamente, non può essere del tutto sé stesso, perché significherebbe mostrare parti di sé che devono restare sconosciute al figlio.

Non può raccontare di quelle volte in cui non ce la faceva più. Può dire, questo sì, che anche lui ha preso brutti voti a scuola, queste cose anzi sono utili, ma non può dire di quando a vent’anni si voleva buttare da un ponte.

Il genitore deve celare i comportamenti estremi. Deve separare il sé reale dal sé genitore. Il rischio, altrimenti, è di trasformarsi in quegli esseri trasparenti e gelatinosi, i genitori-amici, i genitori-emergenza, i genitori buttati sul letto a piangere incuranti della presenza dei figli.

I figli in tal caso si trasformano in genitori e crescono prima del tempo, prendendosi cura della madre o del padre. No, dai. Non si fa.

Il genitore eroe

La seconda finzione è messa in atto dai figli, quando fingono che il genitore sia quello che non è. A scuola la figlia dice: “Mia mamma fa questo, fa quello, mia mamma è una persona di successo, una persona molto buona, utile al mondo.”

Racconta imprese non del tutto false, ma un po’ gonfiate, per trasformare la madre in una figura eroica. Oppure dice alle amiche “Odio mio padre”, perché ha visto una serie televisiva in cui si adottavano toni molto drammatici.

Non odia veramente il padre, ma sente che vuole mettersi in quella luce. Poi prova un senso di colpa quando torna a casa e vede i genitori stanchi.

Questo per quanto riguarda la menzogna infantile o adolescenziale. La figlia però finge che il genitore sia quello che non è anche in altri modi assai più adulti e complicati, quando da grande costruisce la propria immagine abbellendo o abbruttendo frammenti di vita passata.

Nel momento in cui le chiedono di parlare di sé stessa prova a dire le cose nel modo più reale possibile, ma la realtà le sfugge, e la realtà della sua provenienza famigliare più di tutte. Schiere di scrittori hanno tentato questo terribile esercizio, l’esercizio di raccontare chi si è. Chi l’ha svolto fino in fondo ha preso anche il Nobel.

Terza finzione. Il genitore finge che il figlio sia quello che non è. Tutto inizia nel grembo materno, quando si sviluppano le fantasie: “Ho proprio la sensazione che questo bambino sarà una persona molto profonda”.

Il figlio nasce, cresce, mostra degli interessi che subito il genitore trasforma in talenti straordinari. Oppure il figlio rivela mancanze che subito il genitore trasforma in abissi.

Quando il genitore parla del figlio ad altre persone, ad amici e conoscenti, il figlio origlia e rimane scioccato sentendosi descrivere come la persona che non è.

“Chi è questo mostro di beatitudine? Chi è questo angelo di mostruosità?” Il figlio osserva il genitore da lontano e prova la stranissima sensazione di aver tradito qualcuno, ma non sa chi. Passa il resto della vita ad assicurarsi che gli altri sappiano esattamente chi è, naturalmente senza riuscirci.

Quarta finzione. Il figlio finge di essere quello che non è. Qui siamo anzitutto nell’ambito della tutela personale. Siamo nel territorio della sopravvivenza.

Il figlio molto presto capisce che non può raccontare tutto al genitore, altrimenti il genitore si preoccupa o si inalbera. Fin dalla tenera infanzia adotta piccole strategie, naturalmente la tecnica all’inizio è scarsa, e viene quasi sempre sbugiardato.

Ma con la crescita subentra una maggiore consapevolezza, una bravura, persino. Impara che mentire non vuol dire inventare storie gigantesche, ma cambiare piccoli dettagli, lo stretto indispensabile.

Queste bugie tutelano la sua riservatezza. A lungo andare tutelano anche la salute mentale del genitore, che non potrebbe sopportare mai tutta la verità sul figlio.

Come disse una volta Houellebecq, gli esseri umani hanno in generale un cervello troppo complicato, troppo ricco per l’esistenza che sono chiamati a condurre. Per questo fingere è un bisogno.

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