La statale Jonica calabrese, una piazzola di sosta, il buio e la pioggia di una sera di novembre, il corpo di un giovane di 27 anni sotto le ruote di un camion carico di mandarini. Sono i macabri tasselli che compongono uno dei puzzle più indecifrabili della cronaca nera recente, i pezzi che avvolgono la misteriosa morte di Donato “Denis” Bergamini, centrocampista del Cosenza Calcio ritrovato senza vita il 18 novembre 1989.

A riannodare i fili di questa intricata e inquietante vicenda ci ha pensato Pablo Trincia, fuoriclasse della narrazione true crime, con la docuserie Il cono d’ombra – La storia di Denis Bergamini, in onda sui canali Sky (in contemporanea su Sky Tg24, Sky Crime, Sky Documentaries, Sky Sport e in streaming su Now) le sere del 27 e 28 giugno e anticipata da un podcast in sette episodi.

Realizzata con Debora Campanella e con la regia di Paolo Negro, la serie/podcast torna a riaccendere i riflettori su una storia che ha segnato l’immaginario calcistico degli anni Ottanta e Novanta e che in oltre tre decenni non ha finito di produrre supposizioni, depistaggi, colpi di scena.

Quel pomeriggio di novembre, un sabato precedente una partita di campionato, Bergamini lascia improvvisamente il cinema nel quale si trovava con i compagni di squadra e riaffiora cadavere a quasi cento chilometri di distanza, nei pressi di Roseto Capo Spulico, la sua Maserati bianca parcheggiata poco lontano. Con lui c’era Isabella Internò, la giovane ex fidanzata, la prima a sostenere che Bergamini si è suicidato lanciandosi sotto al camion «come un tuffo in piscina».

Il racconto 

Denis e Isabella: il racconto di Trincia parte proprio da questa relazione tormentata e segnata dalla gelosia. Nel loro lavoro di scavo, nel quale fondamentale è stato il contributo di Donata, la sorella del calciatore, Trincia e Campanella hanno “saccheggiato” carteggi, lettere, articoli di giornale, fascicoli processuali e, soprattutto, videocassette che ritraggono momenti di quotidianità di Bergamini con la fidanzata e i compagni di squadra girati personalmente dal calciatore con la sua videocamera.

Proprio uno di questi frammenti rappresenta il punto di partenza della docuserie televisiva e uno snodo cruciale del podcast: è il marzo del 1988 e Denis e Isabella viaggiano in auto verso il mare. Lei è alla guida, sorride, lui le fa domande, poi scendono in prossimità di una spiaggia; Denis monta il cavalletto e la videocamera li ritrae in riva al mare che scappano dall’acqua per non bagnarsi. Si cercano e si sfiorano, ma – e Trincia lo sottolinea – sembra ci sia freddezza tra i due, quasi un presagio della fine della relazione.

È grazie a documenti privati come questi che il racconto della morte di Bergamini fornito da Il cono d’ombra assume una valenza ancora più intima, vera, dolorosa. Vedere la vittima, sentirne la voce, interpretarne i gesti è un aspetto cruciale di arricchimento emotivo del true crime; non solo un fatto di cronaca, ma il ritratto umano di un ragazzo, il morto oggetto di indagini e autopsie che in qualche modo torna a vivere.

La dinamica 

Nell’ottobre 2024, Isabella Internò è stata condannata in primo grado a 16 anni di carcere per l’omicidio dell’ex fidanzato; rimangono ancora molti dubbi sulla dinamica, sul coinvolgimento di altre persone, sulle motivazioni, ma una prima sentenza è stata scritta e ciò ha convinto Pablo Trincia ad accendere nuovamente la luce su questa tragica storia.

Rimasta a lungo sopita e avvolta dal silenzio, la vicenda Bergamini era salita alla ribalta una prima volta nel 2001 con la pubblicazione del libro Il calciatore suicidato, scritto da un ex calciatore, Carlo Petrini, nel quale per la prima volta si collegava la morte di Denis ai ricatti della criminalità organizzata e del giro del cosiddetto “totonero”; se ne occupò poco dopo anche Giorgio Porrà che dedicò alla vicenda una puntata del suo Lo sciagurato Egidio (allora su Telepiù).

E poi gli approfondimenti di Chi l’ha visto?, il podcast Una morte da mediano di RaiPlay Sound con Tgr Calabria, una recente puntata di Cose nostre di Emilia Brandi (Raiuno) alla fine di maggio, nella quale compaiono molti documenti e testimonianze che tornano poi anche nel lavoro di Trincia e Campanella.

Il cono d’ombra aggiunge quel tono intimo e la capacità di tessere molteplici fili che caratterizza il giornalista milanese: nel combinare podcast e docuserie, audio e video, Trincia si conferma formidabile storyteller transmediale. Nel podcast, come si conviene al mezzo, la narrazione si fa più immersiva, avvolgente, ti trascina nel fondo più nero di un mistero italiano; nel documentario, le descrizioni minuziose prendono forma, quel biondo «leader silenzioso» del Cosenza Calcio ci appare con i suoi sorrisi e le sue debolezze, in campo come in camera coi compagni, alle cene di squadra e ospite nelle trasmissioni delle tv locali.

È solo nel consumo congiunto dei due contenuti che possiamo completare l’esperienza di sentirci parte della storia; Trincia eccede nello stupore verso un cold case dalle infinite tortuose traiettorie, ma mai nel giudizio. Mette voce e corpo a servizio della narrazione ricordandoci come scrive Scott Bonn in Why we love serial killers, che il true crime «innesca la nostra emozione più primordiale e profonda, la paura». Esorcizzando quella paura, riusciamo poco alla volta a intravedere la luce in quel cono d’ombra che da una piazzola di sosta di una strada calabrese è calato per troppi anni sull’esistenza di un giovane calciatore.

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