L’intervista

Lella Costa: «Non siamo riusciti a rendere la parola guerra impronunciabile»

  • «Se non credessi che la parola, il racconto, possa ancora avere una funzione, se non salvifica, almeno (in)formativa, forse smetterei di fare questo mestiere. Cerco di non dimenticare mai che se ognuno di noi si facesse carico almeno per la sua parte di memoria, il mondo non sarebbe perfetto, ma di sicuro meno sbagliato».
  • «Credo che parte del problema, almeno per quanto riguarda la questione di quelli che definiamo migranti (e fatta salva la pietà, che esiste e i buoni sentimenti), stia proprio nella narrazione, se vuoi nell’epica».
  • «La conclusione è che a maggior ragione chi ha la responsabilità e il privilegio di raccontare, soprattutto ora dovrebbe continuare a farlo».

Lella, lasciami partire da una foto di mesi fa. Era una madre in fuga dall’Afghanistan lungo la rotta che arriva in Turchia. Una bufera li ha sorpresi e per proteggere i figli avrebbe usato le sue calze di lana. Se ne è andata così, assiderata nella neve. Di fronte a questo pensi che il dolore “visto” o raccontato, come il teatro è in grado di fare, abbia ancora la forza per orientare le coscienze? Da intellettuale credi che la parola può arrivare dove la politica non è più in grado di spingers

Per continuare a leggere questo articolo