L’era dell’uomo decostruito: ma la vera sfida è ricostruirlo

Che cos’è un maschio? Come si deve comportare? In che modo la società si aspetta che si approcci all’altro sesso? Ma soprattutto: dove è scritto, chi ce lo spiega? Il libro di Manolo Farci, Quel che resta degli uomini (nottetempo), potrebbe essere un buon punto di partenza per rispondere a queste domande. Sfortunatamente non ce l’avevo nel 1999, ai tempi della mia adolescenza. Combattere il patriarcato è anche una questione di dati Modelli tossici Mi sono dato le prime risposte dal punto di osservazione di un ragazzo timido che passava il suo tempo a casa leggendo fumetti. Erano risposte, di tutta evidenza, completamente sbagliate: alimentate dai racconti leggendari (forse inventati) degli altri maschi, ma anche dal cinema in cui a forza di ellissi tutto sembra svolgersi in maniera automatica quando scatta il magnetismo tra i personaggi, dal primo sguardo alla scena della sigaretta nel letto. Così automatica e irreale che sospetto che ogni uomo sottoposto a quest’amara Bildung finzionale viva portando nel proprio cuore come ferita narcisistica il senso d’inadeguatezza per non saper ottenere con il proprio fascino quello che James Bond ottiene con un solo sguardo. Nella mia testa di adolescente che il mondo cercava d’immaginarselo raccogliendo gli indizi, l’immagine paradigmatica della seduzione alla fine del Ventesimo secolo coincideva con la scena di Trainspotting in cui lei e lui s’incontrano in discoteca sulle note di Blondie, limonano come pazzi sul taxi, fanno l’amore a casa di lei e alla fine lui scopre che lei è minorenne. Finale a parte, questa idea approssimativa di come girasse il mondo (perlomeno per gli altri) mi sembrava pressoché confermata da quello che mi era capitato di vedere sulle piste e nei bagni delle discoteche – cose che se le avessero sapute gli editorialisti del New York Times avrebbero mandato una missione umanitaria a Milano. Mentre invece il fatto che Trainspotting fosse, tutto sommato, un film sugli eroinomani (dettaglio non da poco) non ha mai scalfito troppo questa visione delle cose mezza perplessa e mezza invidiosa. Ora, se da questa confessione si può intuire che io non fossi una cima (e neanche, ahimé, James Bond) c’è da dire che probabilmente non sono l’unico a essere cresciuto con questo frame interpretativo e con questo set di aspettative sempre tragicamente deluse. Tutte le persone nelle discoteche, luoghi che comunque ho frequentato pochissimo, mi parevano alla ricerca disperata di questo ideale dénouement, «went to a dance looking for romance», il pudico «get lucky» cantato dai Daft Punk che ovviamente non parlavano di trovare un paiolo di dobloni sotto le casse; ma mi pareva anche che questo esito dei nostri ragguardevoli sabato sera fosse tutt’altro che banale, contrariamente a come veniva venduto e inciso nel nostro immaginario collettivo, producendo in tutti un senso di fallimento e d’inadeguatezza rispetto a modelli irraggiungibili (per i maschi) o pericolosamente manipolatori (per le femmine). In India la lotta al patriarcato profuma di coraggio e masala Quel che resta degli uomini Di fatto la nostra confusione deriva dal fatto che non ci sono manuali d’istruzioni, ci sono al massimo certe regole di comportamento e nello stesso tempo la consapevolezza che se non vogliamo stare a casa a leggere fumetti vadano occasionalmente infrante. E soprattutto ci sono loro, in cima a questa piramide delle infrazioni necessarie: l’alcool e le droghe, ai quali avevamo definitivamente delegato il compito di metterci in uno stato di annebbiamento sufficiente a generare un turnover stocastico di emozioni e opportunità dal quale, come viene viene, qualcosa potrebbe succedere; anche finire in galera, accoltellato, violentato, derubato, annegato, più spesso infinitamente annoiato. Essere maschi è di destra? Per quanto suoni assurdo ascrivere un genere intero a una parte politica, questa è un’associazione d’idee che rischia di imporsi nel dibattito pubblico. Da questo rischio muove il sociologo Manolo Farci nel suo saggio, analizzando come la questione maschile sia diventata uno dei fronti principali delle attuali guerre culturali, in America e poi qui da noi. Il meccanismo – ormai noto e ricorrente – è quello di una polarizzazione speculare. Da una parte, i conservatori si sono eretti a difensori di una cittadella della mascolinità assediata, trasformando il disagio in un prodotto politico capace di intercettare il risentimento di chi si sente escluso. Dall’altra parte, il campo progressista ha convertito la legittima battaglia per la giustizia in una «critica generalizzata verso tutto ciò che è associato al maschile». Il risultato è un’impasse che lascia i giovani maschi intrappolati tra la nostalgia per un ordine regressivo e la colpevolizzazione per un privilegio che spesso non sentono di possedere. Il patriarcato non esiste? Le risposte dei lettori e delle lettrici di Domani Maschio cercasi Questo risultato si manifesta prima nella società, dove cresce il fenomeno dei maschi arrabbiati (incel ovvero involuntary celibate), e poi nella politica: se essere maschi è di destra, la destra può contare su una considerevole fetta di elettorato. Innanzitutto c’è stata una rivoluzione, che ha coinciso con l’ascesa della classe media. Il vecchio patto patriarcale, che garantiva agli uomini un dividendo di status in cambio dell'adesione a un rigido codice emotivo e comportamentale, è saltato. Oggi l'investimento in virilità – forza, stoicismo, competizione – offre un rendimento decrescente in un’economia che premia competenze relazionali e flessibilità. Ciò che resta è un soggetto smarrito, sospeso tra la nostalgia per un potere che non ha mai davvero posseduto e l’incapacità, per citare Farci, di «inventarsi un copione diverso». Qui si annida il paradosso. La liberazione dai ruoli tradizionali non ha prodotto uomini nuovi, ma un vuoto. E questo vuoto è diventato, appunto, un mercato. Farci descrive bene l’ascesa dei nuovi imprenditori del risentimento: guru, manfluencer, profeti digitali che vendono identità “chiavi in mano” (in tutti i sensi) a una generazione di maschi a cui è stato detto che potevano avere tutto e che si scopre senza nulla. La manosphere non è un semplice sfogatoio per misogini, ma un ecosistema economico che monetizza la frustrazione. Offre un capitale – la red pill, la black pill, l’archetipo del sigma male – a chi si sente espropriato di ogni capitale sociale. È un’accumulazione primitiva di rabbia che promette un riscatto impossibile. Il patriarcato esiste. Oggi come ieri l’Italia non è un paese per donne Verso l’uomo aumentato Il sistema, infatti, è perverso. Secondo Farci – qui forse con qualche semplificazione – la società addestra i maschi alla disconnessione emotiva fin da piccoli (“non piangere”), per poi penalizzarli da adulti per la loro analfabetizzazione affettiva. Li spinge a costruire la propria identità sulla base di rituali omosociali (“la fratellanza degli spogliatoi”), salvo poi lasciarli precipitare in una radicale solitudine. Il risultato è una “crisi della connessione” che non è un incidente di percorso, ma il prodotto logico di un apparato che prima isola e poi offre rimedi a pagamento per l'isolamento che esso stesso ha generato. Farci analizza con cura le derive – l’abbandono scolastico, l’esilio digitale nei videogiochi e nel porno, la radicalizzazione politica – senza mai cadere nella trappola di una facile colpevolizzazione. Evita la retorica del “maschio tossico”, mostrando come questa etichetta, nata con intenti critici, finisca per diventare un’arma spuntata che moralizza invece di comprendere. Il maschio è, oggi, un problema di ordine pubblico, un’emergenza securitaria. Eppure le alternative proposte – la “decostruzione”, l’appello a diventare “uomini bravi” – non sono esenti da un’ultima, crudele, ironia. In una società della prestazione, anche l’emancipazione rischia di diventare un nuovo compito da eseguire, un’ulteriore performance da ottimizzare. L’uomo “decostruito” diventa un nuovo prodotto sul mercato delle identità, forse più eticamente presentabile, ma non per questo meno funzionale alle logiche del sistema che si vorrebbe criticare. La vera sfida che ci mostra Farci non è di decostruire il maschio, ma di ricostruirlo. La relazione fra trap e patriarcato: «Ma non è l’unico genere sessista»