Ho incontrato Chiara Valerio, per la prima volta, quindici anni fa. Non ne avevo mai sentito parlare, o forse sì, forse qualcuno mi aveva detto Devi conoscerla, o Dovresti conoscerla, con quella perentorietà che talvolta hanno anche i condizionali, almeno nelle conversazioni. Come si dice spesso – insomma, capita – di tutte le persone che in qualche modo ci incuriosiscono, senza però turbarci. Fisicamente, intendo.

Di fisico in effetti, Chiara non aveva niente. Non era bella, non era brutta, non era alta, e non era neppure bassa, non era grassa, e di certo, non era magra. Aveva una certa bizzarra eleganza. Artificiosa. Una divisa. Era insomma una donna normale, non sgradevole, con i capelli castani e occhi che, a osservarli bene – ma non era semplice, e non lo è, perché parla rivolta a terra – sono quasi verdi. Si rivelano. Verde marcio. Mi aveva colpito il suo sembrare un bambino, la sua aria puntigliosa, e i suoi racconti. Raccontava qualsiasi cosa con un entusiasmo smisurato, sempre eccessivo. Si rabbuiava, con altrettanto vigore e odiava spesso ma per un tempo assai breve. Nella sua memoria prodigiosa non c’era spazio per l’odio. La sua memoria prodigiosa era inoltre inaffidabile, una favola, il più riuscito dei suoi racconti, se posso esprimere un parere.

Anche la storia del puzzle al contrario, subito, non mi ha convinto. Lei che ha un solo puzzle, un puzzle che compone e ricompone continuamente perché la madre non gliene compra un altro, e che, a un certo punto, fiaccata dalla noia, comincia a montarlo, ma a rovescio. Aveva cinque anni, forse sei. Non le ho creduto quando me lo ha raccontato, ma poi, vedendola così analitica, vedendo con quanta precisione ricordava nomi e volti, incontri, osservando la sua capacità di intersecare e incastrare cose pure invisibili, o nebbiose, mi sono ricreduta. Posso credere oggi che forse la storia del puzzle a rovescio, quel mare di grigio cartone, crepato come un cretto, è vera.

Mi sono sempre chiesta quali fossero le forme di amore di una persona così distratta da ogni cosa e tanto ossessionata da ogni cosa. Si entusiasmava per le lucertole, i semafori a led, per una focaccia genovese con molto olio e per le pozzanghere. Le pozzanghere, quindici anni fa, le piacevano moltissimo. Avevo sempre l’impressione che ci sarebbe saltata dentro da un momento all’altro. E sarebbe scomparsa. Credo ne avrei sofferto. Ricordo distintamente di essere entrata in un negozio di accessori e averle comprato un paio di calosce. Nel caso decidesse di saltare. Non lo ha mai fatto comunque, non in mia presenza. Non è mai scomparsa, anche se si è distratta.

Quando ci siamo conosciute meglio, e abbiamo cominciato a frequentarci con una certa assiduità, ribadiva di essere una persona adulta. Cosa che ai miei occhi la faceva sembrare ancora di più un bambino, anche se non è mai saltata nelle pozzanghere. Credo sia, a oggi, la persona più falsa che io abbia conosciuto, ma non falsa come possono esserlo, e come sono, i traditori, falsa come gli infedeli. Fatua, leggera, frivola. Le piacevano troppe persone, troppe cose, in realtà non si interessava a niente. Tutti, prima o poi, le venivano a noia, tutti, prima o poi, erano troppo presenti nella sua vita, tutti, prima o poi, non erano abbastanza discreti. Io pure, che non l’ho mai cercata, a un certo punto sono diventata di troppo. Come si potesse amare ogni cosa, disprezzando sé stessi, è questione che non ho mai risolto, e credo neppure lei.

Chiara Valerio, l’ho capito quando mi ha sorriso il primo giorno che ha alzato gli occhi incrociando i miei, era falsa come un’illusionista.

Confidava moltissimo nell’intelligenza, si affidava anzi – Anche se ti derubano, o ti ammazzano, sempre meglio qualcuno intelligente, diceva continuamente e io, continuamente, mi chiedevo, perché? Ma se stai morendo o ti stanno derubando che ti importa dell’intelligenza, frivolezza, un’altra forma di frivolezza – confidava dicevo, anzi di affidava all’intelligenza, era una di quelle persone che impazzivano per qualsiasi contraddizione logica, e nel contempo, era animista. Sosteneva che l’animismo fosse razionale, l’unico sistema razionale che avesse incontrato.

L’ho sentita più volte dire Buongiorno casa, quando ritornava in un posto, o anche quando ci entrava per la prima volta. Preferiva, questo mi aveva molto colpito – non in positivo – i ritorni. Preferiva pensare che tutto fosse già accaduto. Che lei stessa fosse già accaduta. Un’ultima forma d’ansia, forse una seduzione anche questa, forse la penultima forma d’ansia perché in fondo l’ansia presuppone il dopo. Se tutto era già accaduto, e lei stessa era già accaduta, allora anche noi, nel nostro incontro e in ciò che ne è conseguito, eravamo già accadute.

Credo non amasse le sorprese, che fosse avventata per vigliaccheria, e fosse iperattiva ed efficiente per contrastare la sua pigrizia. In realtà era pigra e vigliacca. Un perfetto protagonista da romanzo russo. Era eccessiva e contraddittoria. Profondamente anarchica nonostante l’aspetto, di primo acchito, conforme. Ma non lo capivano tutti, anzi, non lo capiva nessuno. Sembrava affidabile, ferma, una che avrebbe potuto trovare un taxi ad Algeri per un ex collega di dottorato mentre era seduta con te a mangiare una pizza a Venezia, sulle Zattere, sorridendo e fumando.

Fumava per tenere le mani impegnate, così come leggeva continuamente per tenere la testa impegnata. Non ho mai incontrato nessuno che si temesse così tanto da volersi annientare. E questa era la cosa davvero seducente, o che almeno aveva sedotto me. Quella tensione a stancarsi, a fiaccarsi che rendeva qualsiasi giorno, anche piovoso, un caldo pomeriggio d’estate per sopravvivere al quale non restava che spogliarsi e cercare refrigerio in una pozza d’acqua o sotto un fico, o una vite. Preferiva le viti ai fichi. Si rischia sempre di scenderne appiccicosi, per via del latte di fico. A quel punto di solito cominciava la storia che non finiva mai sugli alberi del giardino dell’Eden, ma non avendo mai saputo la conclusione, non comincio nemmeno a riportare la storia.

Certo, avrei potuto andare a leggerla, ma il fatto era – o è quello che è successo a me – che mi piaceva sentirla raccontare. Credo che a un certo punto abbia capito di essere brava a raccontare e abbia smesso di farlo. Si annoiava delle cose riuscite. E pure questo era seducente – non il suo sorriso, nonostante il dente storto e il color avorio invecchiato, probabilmente causato dal consumo eccessivo di tè, dall’abitudine di mangiare i limoni in insalata e certo dalle sigarette, e non la sua intelligenza, non era poi tanto intelligente – era seducente la sua velocità, e i suoi capricci mascherati da necessità logiche.

Non era logica, era capricciosa, ma giustificava logicamente i suoi capricci. Ed era prepotente. La sua gentilezza, le sue attenzioni, le sue analisi e anche i suoi passi erano prepotenti.

Mi piaceva e mi annoiava, mi incuriosiva e mi intimidiva, ne ero attratta ma diffidavo. Come si fa a fidarsi di una persona che non si conosce avevo detto a un certo punto a un’amica che mi ascoltava, sorniona, come a dirmi che l’esigenza che avevo di analizzare i suoi comportamenti era in realtà un sentimento di altra natura. E io pensavo, mentre la guardavo interrogativa che, almeno su questo, avesse ragione Chiara che diceva spesso che si può passare il tempo, certe volte la vita, anche su cose, questioni e persone verso le quali non si prova in fondo che un pallido interesse.

Una voce autentica o presunta tale che racconta fatti falsi o presunti tali. Una voce inautentica o presunta tale che racconta vicende reali o presunte tali. La cosa che mi interessa della letteratura, del racconto, e della vita è la pura invenzione dell’esattezza. Deve essere l’ultima conseguenza del mio essere stata una matematica.

«La letteratura si organizza come una pseudoteologia, in cui si celebra un intero universo, la sua fine e il suo inizio, i suoi riti e le sue gerarchie, i suoi esseri mortali e immortali: tutto è esatto, e tutto è mentito»

Giorgio Manganelli, La letteratura come menzogna, Adelphi [1967] 1988, pp. 222-23)

Intervento di Chiara Valerio a Multipli Forti, prima edizione del festival dedicato alla narrativa italiana contemporanea svoltosi a New York il 6, 7 e 8 giugno. Promosso dall’Istituto Italiano di Cultura di New York con la collaborazione della Federazione Italiana Scrittori, il festival è Ideato e diretto da Maria Ida Gaeta.

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