Antonio Delfini, nel racconto Ritorno in città, per descrivere il continuo vagare della mente del protagonista tra passato e presente si serve dell’immagine di un treno che, oltre ad attraversare «quell’immensa distesa che è la pianura padana», garantisce con il suo movimento «il tornar dei ricordi in un turbine di pensieri».

Come se la strada ferrata azionasse lo stesso meccanismo della madeleine proustiana (non a caso nel Contro Sainte-Beuve Marcel Proust, per illustrare i movimenti della memoria involontaria mette in comunicazione il suono del cucchiaio sul piatto della colazione con il ricordo infantile del suono dei martelli dei ferrovieri sulle ruote di ferro del treno) scatenando le rimembranze, prima considerate perdute, del bambino.

Nella storia della letteratura sono moltissimi gli episodi in qualche modo dipendenti dal viaggio in treno, da Pirandello a Pascoli, da Agatha Christie a Émile Zola, dai perturbanti vagoni di Charles Dickens all’esaltazione dei futuristi: ciò che sembra accomunare ogni esperienza letteraria legata alla ferrovia, i «treni di carta» come li ha chiamati Remo Ceserani, è la possibilità che offre il treno di annullare i concetti di spazio e di tempo in modo che, obbedienti a questo tipo di percezione confusa, i personaggi perdano il contatto con la realtà e le sue dinamiche.

Smuovere l’animo

Ciò che si muove attorno a loro vive infatti su piani temporali e spaziali differenti che pian piano però finiscono per sovrapporsi in una sorta di rêverie, unico viatico per la conoscenza del mondo. Il treno è quindi luogo di epifanie e decisioni inattese, di imprevisti che però, proprio grazie alla sospensione dei paradigmi del reale, possono portare in luoghi, concreti e metaforici, in cui altrimenti non si sarebbe mai giunti.

Talvolta è addirittura lo stesso dettato narrativo a seguire lo sferragliare sulle rotaie, come accade nel romanzo di Mathias Énard Zona, un racconto completamente incentrato sul viaggio in treno da Milano a Roma del protagonista e costituito da un’unica frase di cinquecento pagine che segue i flussi di coscienza del protagonista, tra digressioni e deviazioni, in un caleidoscopio oscuro da cui emergono le guerre e le violenze che segnano l’azione umana.

Anche nel nuovo romanzo di Fabio Stassi Notturno francese (Sellerio) è proprio un viaggio in treno a smuovere l’animo del protagonista, il biblioterapeuta Vince Corso, a far risuonare in lui storie mai del tutto sepolte e a spingerlo a incontri che solo il caso può offrire.

Corso sbaglia a salire sul suo treno, anziché sul Frecciarossa che va verso la compagna Feng a Napoli si trova a viaggiare verso Milano, e questo errore scatena una serie di conseguenze che lo porteranno a percorrere una strada che credeva impossibile. Corso fa anche la conoscenza di un compagno di viaggio che sarà una figura fondamentale per la scelta di approfondire la sua ricerca sul passato: è proprio lui, assieme al movimento del treno, ad azionare nella sua mente lo stesso smarrimento tra realtà e sogno che caratterizzava il racconto di Delfini, come testimoniano le parole di Keats che lui gli cita: «Was it a vision, or a waking dream? Fled is that music: – Do I wake or sleep?».

Xavier infatti, questo il nome del misterioso compagno di viaggio che rimanda alla memoria il notturno di Tabucchi, omaggiato da Stassi nel titolo e nella descrizione dei fantasmi dell’esistenza («Come in uno dei suoi racconti di fantasmi, avevo avuto l’impressione che mi fosse comparso lì accanto, in carne e ombra, per inquisirmi con una domanda silenziosa»), spinge Corso a non tornare indietro, a perseverare in quell’errore per spingersi in un viaggio incontro al proprio desiderio radicale in una regressione decisa verso l’infanzia.

Un’esistenza in una notte

Il grande bianco che abita l’esistenza tranquilla di Vince Corso, figlio di una donna che faceva la cameriera negli alberghi, è infatti l’assenza del padre, che non ha mai conosciuto. L’unico indizio su di lui, rivelatogli dalla madre in punto di morte, è che si incontrarono durante una calda notte all’hotel Le Negresco di Nizza e che, la mattina dopo, quell’uomo non esisteva più: «Un’esistenza intera da consumare in una notte, prima di lasciarsi senza sapere più nulla l’uno dell’altra, con la promessa di non cercarsi più».

Nizza e la Costa Azzura sono quindi i luoghi dell’infanzia del protagonista e l’unico appiglio rispetto al vuoto paterno: ma se tutte le cartoline inviate all’hotel non hanno sortito alcun effetto, sarà proprio la scelta, inizialmente dettata dall’errore, successivamente consapevole, di raggiungere in treno i luoghi dell’infanzia per ritrovare sé stesso a rivelarsi decisiva.

La notte trascorsa nell’hotel dove è stato concepito (il momento della registrazione diviene metafora della mancanza di una vita intera, con il registro della reception scambiato per quello dell’anagrafe) e il viaggio in treno alla ricerca delle poche tracce paterne (con un soggiorno alla pensione dal sorprendente nome Le Port des Orphelins) sono immerse in un mondo che la letteratura riempie di magia e di ulteriori riserve di senso (da Paul Valery a Léo Ferré, da Tabucchi a Pessoa, da Goethe fino a Gadda) senza che questi rimandi, come sempre accade con Stassi, prendano il sopravvento in maniera saccente o didascalica.

In un altro romanzo ambientato quasi completamente durante un viaggio ferroviario, Il treno di Georges Simenon, si incrociano tra le carrozze i destini amorosi di tre persone: durante la fuga dalle Ardenne, nel pieno dell’invasione nazista, un uomo viene separato dalla moglie incinta e vivrà su quel treno un’intensa storia d’amore con una donna polacca, in fuga come loro.

Quell’amore, all’arrivo del treno, dovrà prendere una direzione, così come le esistenze di tutti gli altri attori in scena: ancora una volta sarà il viaggio a far maturare decisioni complesse, così come accade nel libro di Stassi dove gli sbalzi, i sommovimenti e le deviazioni ferroviarie diventano ritmo del testo letterario e specchio delle indecisioni, dei dubbi e della ricerca del protagonista.

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