L’immortalità è un sogno comune, ma appena ci pensi un attimo diventa un incubo

Bryan Johnson è un imprenditore tecnologico americano che forse avrete sentito nominare. Ha 48 anni e dice di essere fra le persone più sane del mondo. Non per caso. Da qualche tempo conduce su di sé un esperimento radicale: centinaia di test clinici, routine controllate con la massima precisione, diete calibrate per prolungare la vita di ogni organo, persino trasfusioni da persone molto giovani. E digiuni intermittenti, e terapie ormonali. Il suo progetto si chiama Blueprint. Il corpo, per Johnson, è un edificio che si può riparare all’infinito, se si seguono le istruzioni giuste. Nelle foto, a dirla tutta, sembra un po’ una statua di cera: ha spesso un aspetto molto lucido, e intendo proprio dermatologicamente. È pallidissimo, ha gli occhi spiritati. Del resto, la bellezza non coincide per forza con la salute. (Faccio bodyshaming? Tanto ormai è «finito il woke»). L’obiettivo dichiarato di Johnson è la reversibilità dell’invecchiamento. Ma l’ideale, per ora ovviamente irraggiungibile, è quello dell’immortalità degli umani. Un corpo che non cede, che non tramonta mai. Ciò che questo tipo di esperimenti nega è la dipendenza dal tempo. L’idea, molto contemporanea, che ogni limite sia una disfunzione da correggere. Se il corpo è una macchina, la morte è un guasto tecnico. Se tutto è misurabile, tutto può essere ottimizzato: sonno, microbiota, serotonina, ormoni. Immaginare gli immortali Dietro questo entusiasmo biomedico si nasconde una pulsione antica: controllare la fine, renderla obsoleta. Ma l’immortalità fisica è davvero un sogno? Nel momento in cui proviamo a immaginare un’umanità immortale, immediatamente vediamo che il progetto si incrina. L’immortalità è un sogno proibito. E lo resterà anche per i più potenti Se nessuno muore più, a un certo punto nessuno può più nascere, perché semplicemente non ci stiamo, manca lo spazio sulla Terra. (Gli imprenditori visionari direbbero che ci stiamo, basta andare su Marte. Ma a me questa storia di Marte non convince mai: mi sembra un po’ Dubai). In un mondo di immortali la popolazione deve smettere di riprodursi. Viste le tendenze demografiche attuali, non sembra neanche un grosso problema. La popolazione deve restare ferma, ok, proviamo. Ci ritroviamo di colpo in un mondo abitato da un numero fisso di persone, sempre le stesse, impegnate a migliorarsi continuamente, a perfezionarsi, ma senza più la tensione del tempo che scorre e non torna più. Un pianeta di Soliti Stronzi, insomma. Con qualche Venerato Maestro. Mi auguro che questi immortali siano almeno senza stress. Chissà. Non c’è ricambio generazionale, non c’è la necessità di tramandare qualcosa. La memoria, più che l’assillo di non perdere il vissuto, diventa un peso insostenibile, un archivio infinito da cui non si può uscire. Una biblioteca inesauribile dei ricordi. (Tranne per me, perché io non mi ricordo mai niente, e nel mondo degli immortali continuerei a vivere nel mio splendido presente). C’è poi la questione della motivazione: nel mondo degli immortali, qual è la nostra spinta al fare? Da mortali, facciamo le cose anche per la consapevolezza del tempo che finisce. Ogni gesto, ogni scelta, ogni desiderio è definito dal suo contrario, e cioè dal non fare, e se non fai adesso forse non farai mai più. Se abbiamo invece a disposizione un tempo illimitato, possiamo sempre rimandare. L’urgenza sparisce. È il paradiso e l’inferno dei procrastinatori. La mortalità, perlomeno, ci costringe a scegliere. È la condizione di ogni decisione, forse anche di ogni amore (ora piango). Xi e Putin progettano l’immortalità. Il potere sogna sempre la vita eterna Una trappola Il sogno dell’immortalità, più ci si pensa, più diventa irragionevole. Non so come mai, ma se mi penso immortale mi viene la sensazione di essere intrappolata invece che libera. Forse perché più cerchiamo di vivere per sempre, più ci allontaniamo dalla vita come esperienza. L’immortalità non è una forma superiore di vitalità, ma una sospensione dell’esistenza, è la stasi perfetta, la conservazione assoluta: immagino sia una cosa fredda, a questo punto un bel frigorifero. Sicuramente stare in un frigorifero tot ore al mese sarà un esercizio che gli immortali faranno. Forse, più che un sogno di immortalità, quello di Johnson e dei suoi imitatori è un sogno di purezza, persino di innocenza: non dover mai decadere, mai fallire, mai invecchiare. Saltellare per i prati eternamente, consumando funghi allucinogeni. (Non invento: l’altro giorno Johnson ha fatto un esperimento con i funghi allucinogeni, documentandolo su X). Mi viene il sospetto, più di tutto, che l’immortalità non sia un inno alla vita. Forse fuggire dalla morte ci porta a uno stato paradossale. L’immortalità è uno strano approfondimento della morte. Connessi oltre la morte. Come cambia il lutto nel mondo digitale