Cara Wisława,

ti chiedo di metterti in ascolto e di armarti di pazienza. Se collaboriamo, forse, alla fine di questa lettera avrai capito cosa provo oggi in quanto tua traduttrice a tenere Canzone nera fra le mani. Anche se è come se fossi sconfitta in partenza: qualunque cosa dica, sento che non mi è dato esprimermi esaustivamente. Ci sono troppe emozioni in circolo cui è difficile dare un nome.

Ponti verso il lettore

Jakub Halun

Per semplicità potrei etichettarle come gioia, incredulità, senso di inadeguatezza; in verità si tratta di un gran misto di tutto questo alternato a momenti di completa incomprensione di quanto successo, come fossi immersa in uno strano limbo, rintontita. Lo diceva Ungaretti a proposito della poesia, lo dico io ora in riferimento a questo mio scritto che di poetico ha ben poco: «La parola è impotente».

Lo è per forza se si pensa di utilizzarla per un’espressione di sé totale e soddisfacente, perché rimane sempre un residuo di «inesauribile segreto». Ma non per questo bisogna darsi per vinti a priori, altrimenti non si scriverebbe più niente e la letteratura tutta andrebbe a morire. Credo che ogni tipo di scrittura sia il continuo tentativo di gettare ponti verso il lettore, sperando nella magia di un incontro pieno e riuscito.

Ecco, io adesso spero di riuscire a dirti questo: l’emozione che è stata darti voce in italiano e la storia che c’è dietro. Mi sono innamorata della tua poesia intorno ai 16 anni e hai segnato il corso di tutta la mia formazione successiva, università e tesi comprese. Volevo imparare la tua lingua e leggerti in originale. Magari arrivare a tradurti. E l’ho fatto, in parte, proprio nel tuo appartamento di Cracovia, dove hai vissuto gli ultimi anni della tua vita: ho camminato, mangiato, scritto, lavorato proprio lì dove abitavi.

Eri vicina a me nello spazio e in un certo senso anche nel tempo, essendo io quasi coetanea della te che scriveva Canzone nera tra 1944 e 1948, quando eri poco più che ventenne. E mi sento enormemente grata per aver dato voce a questa tua raccolta giovanile così densa di mistero: non sappiamo con esattezza il titolo che avresti voluto dare a questa ricca silloge (la tua più ampia mai scritta, in effetti), né se tutte le poesie racchiuse avrebbero passato il vaglio delle tue severe valutazioni finali.

Ma in ogni caso dal dubbio, dalle domande e da tutti questi “non so”, come tu stessa ci insegni, possono nascere solo grandi cose, e in qualche modo sempre luminose, rivoluzionarie, sincere. Cose che potremmo sicuramente definire possibilità, quindi doni.

È andata così, infatti: come un vero e proprio dono, con Adelphi abbiamo deciso di raccoglierti e regalarti ai lettori che ti conoscono e ti amano da tempo all’interno di queste pagine inaspettate, vecchie cronologicamente eppure nuove ai nostri occhi, come un pezzo di te che fino a poco tempo fa ignoravamo ma che una volta scoperto non era più possibile tenere nascosto, soprattutto se vogliamo festeggiarti a dovere alla soglia del centenario della tua nascita (1923-2023).

L’esordio che non è stato

(AP Photo / Jonas Ekstromer, file)

Nonostante il grande mistero dietro alla genesi e alla composizione di Canzone nera – e ciò, posso dirti in tutta sincerità, non fa che accrescerne il fascino – c’è almeno una certezza: questa doveva essere la tua raccolta d’esordio, anche se così non è stato. Vuoi per un clima politico difficile, che dal ‘49 in Polonia avrebbe imposto forti censure anche alle opere letterarie per mezzo dei dettami del realismo socialista, vuoi perché tu stessa avevi ritenuto queste poesie non più attuali o abbastanza valide (in tal caso avresti peccato di eccessive insicurezza e modestia, al solito).

Per fortuna c’è chi ha sempre creduto in te fin dall’inizio, come il tuo allora marito Adam Włodek, anch’egli scrittore, grazie al quale il tuo prezioso lavoro di quegli anni si è conservato e trasmesso fino a noi, apparendo prima in Polonia nel 2014, pubblicato da Znak, e ora finalmente anche in Italia.

Lavoro prezioso perché insolito: intonando un “noi” collettivo-generazionale cui non siamo affatto abituati, ci racconti di guerra, rimpianto e patriottismo, ma inizi ad aprire anche timidi spiragli di speranza, rinascita, leggerezza; quella stessa miscellanea di «incanto e disperazione», tanto tipica delle tue creazioni più mature, risulta percettibile già fra i versi di questi primi componimenti.

Fucina di idee

(AP Photo / Jonas Ekstromer, file)

È dunque una raccolta-embrione, una fucina di idee che andrai poi a riprendere e a plasmare in forma nuova nelle tue più note poesie successive: è vero che si potrebbe avviare un’avvincente caccia intertestuale alla scoperta di similarità e rimandi nascosti fra i versi di Canzone nera e delle tue raccolte più recenti, come invita a fare il prof. Ceccherelli nella postfazione al libro.

A leggere la tua penna di allora, talvolta, sembri partire dalla Storia, sì, ma per andare oltre, immergendoti in un dialogo con te stessa che sfocia in una serie di domande e in una forsennata ricerca di risposte che restano irrisolte, di fronte a una realtà ai tuoi occhi incomprensibile.

Sono pagine, queste, da cui traspira tutta la tua gioventù nel suo entusiasmo più impetuoso, dove la forte voglia di cambiamento diventa un groviglio di rabbia, dolore e gran fiducia insieme; pagine da cui comincia già a trapelare la tua inimitabile voce, però velata, incerta e acerba perché intenta a ricercare la sua strada verso un Nobel ancora ben lontano e – avresti detto – imprevedibile.

Sei caleidoscopica perché presenti tentativi stilistici diversi, tra cui tratti avanguardisti alla Przyboś con ellissi e antitesi, una certa attenzione alle rime, un linguaggio talvolta complesso, enigmatico e altisonante: tutte sfumature che spero di aver reso al meglio anche nella versione italiana.

È stato bellissimo per me tradurti qui, proprio all’inizio del tuo lungo viaggio di poetessa. Un vero e proprio sogno diventato realtà, per me e per tutti i tuoi lettori, che adesso finalmente ti conosceranno anche così: giovane scrittrice in cammino verso un futuro grandioso.


Canzone nera (Adelphi 2022, a cura di Andrea Ceccherelli, traduzione di Linda Del Sarto, pp. 154, euro 14) è una raccolta di poesie di Wisława Szymborska, vincitrice del Nobel per la letteratura nel 1996.

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