L’attore abruzzese: «Produzioni ferme e troppi lavoratori a casa». Martedì il Tar decide sul tax credit: «Deve aiutare gli indipendenti»
«Chi non soffre sulla propria pelle la mancanza di lavoro ora – e parlo di tutto l’indotto che gira intorno al cinema – soffre l’ansia per la prospettiva». Tra gli attori italiani più amati, Lino Guanciale ci risponde durante una pausa sul set a Palermo dove sta girando una serie tv sull’arresto di Matteo Messina Denaro. Mentre si aspetta la decisione del Tar, attesa per oggi, sul tax credit.
«Le produzioni sono ferme, tanti lavoratori sono a casa e questo vuol dire che molte persone stanno soffrendo. Si dovrebbe costruire una dialettica al di là dei pregiudizi ideologici che, invece, è evidente ci siano nei confronti di un comparto che rappresenta una voce economica importante per il paese».
Dopo gli attacchi del ministro Alessandro Giuli a Elio Germano e Geppi Cucciari, è arrivato un appello con centinaia di adesioni di attrici e attori. Avete avuto risposte?
C’è stata una dichiarazione pubblica di disponibilità da parte del ministro. Ma ora si deve tradurre in un dialogo che funzioni: deve incontrare il comparto nella sua interezza. Mai come oggi, persino noi attrici e attori abbiamo riscoperto l’importanza della rappresentanza. Ci siamo ritrovati in un angolo, senza nessuno che riuscisse a intercettare i nostri bisogni in una fase di crisi come quella pandemica. Abbiamo iniziato a confrontarci di più tra di noi, ma anche con la politica. Facciamo un lavoro intermittente, precario per sua natura. È necessario che il legislatore ne individui la specificità e lo tuteli. La crisi è grave, il blocco del tax credit ha fermato l’industria cinematografica.
Il presidente della commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone, ha dichiarato che la riforma del tax credit aiuta il cinema indipendente.
Non mi va di pensare alla malafede, qui c’è una mancanza di ascolto. Posso dire, da interno che raccoglie anche le voci dei produttori, che non è così. L’attuale assetto del tax credit favorisce soltanto pochi grandi centri di produzione. Di sicuro non aiuta le produzioni indipendenti che, peraltro, sono quelle che scommettono sullo scouting di talenti nuovi, su operazioni autoriali più rischiose. Basta ricordare Vermiglio come ultimo grande caso di attenzione internazionale: il nostro cinema è in grado di esprimere qualità, ma la qualità si esprime là dove c’è un mercato plurale. Bisogna creare le condizioni per cui il merito dei piccoli riesca a trovare spazi.
«La sinistra ha riempito di soldi le tasche di attori amici e finanziato pellicole flop», è un post di FdI, che riassume le accuse della destra di questo ultimo periodo.
Torniamo alla necessità di affrontare il confronto al di là degli schieramenti ideologici. Cerchiamo di farla finita con questa campagna per cui sembra che il cinema abbia rubato miliardi alle tasche dei cittadini. C’è una legge del 2016 che stabilisce che la dotazione del Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema va parametrata ogni anno all’11 per cento delle entrate Ires e Iva dell’audiovisivo. Quindi è finanziato dalle tasse del settore. Tutti pensiamo che si dovesse intervenire sul vecchio tax credit, ma gli interventi non possono essere tesi allo sbarramento dell’accesso che penalizza i più piccoli. Lanciare delle campagne denigratorie verso il cinema, poi, è dannoso per tutti, anche per il governo. Inoltre, non è un’equazione che corrisponde alla realtà. Nessuna produzione può contare solo sui finanziamenti pubblici. Da molto tempo c’è una disaffezione verso la sala; la sostenibilità produttiva del cinema passa per altri tipi di circuitazione. Bisogna considerare le vendite televisive, quelle delle piattaforme, gli incassi pubblicitari.
Cosa si aspetta dalla sentenza del Tar sul tax credit?
Mi aspetto che dia impulso a una revisione complessiva e che nel farlo vengano ascoltati tutti i lavoratori. Per tutti intendo in primis attrici e attori, tecnici, produttori, chiunque si occupi di audiovisivo. E l’ascolto deve passare per una dimensione collegiale. Un sistema democratico funziona così, a prescindere da chi sia al governo. Ognuno guarda il mondo come vuole, ma bisogna tornare a mettere al centro del discorso, come prioritaria, la vita delle persone che lavorano in questo comparto e la sua salute economica.
È anche uno tra i 400 lavoratori del mondo della cultura che hanno promosso un appello per sostenere i referendum. Perché sono importanti anche per il comparto?
I lavoratori, a prescindere dai contratti che si trovano fra le mani, hanno diritto alle tutele che la nostra Costituzione fa vivere come necessarie. Io credo che sia importante andare a votare, e che sia importante votare cinque sì. Anche il referendum sulla cittadinanza è di un’importanza straordinaria anche per le ripercussioni che può avere sul mondo del lavoro in generale. Qualunque sia l’opinione che si ha. L’importante è votare.
Elio Germano, ospite dell’evento di Domani dopo gli attacchi di Alessandro Giuli ha detto: «Terrorizzare è uno strumento del potere per silenziare il dissenso». Che ne pensa?
Io sono profondamente convinto che si debba dire come la si pensa. Sempre. Anche perché il rischio più grande è di prodursi in autocensure. E poi credo una cosa, anche banale se vuoi: democrazia ed educazione vanno a braccetto. Se si rispettano le regole del confronto, si può sempre dire come la si pensa. Anzi, in questo momento siamo veramente chiamati a testimoniare quel che crediamo.
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